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QT n. 5, 12 marzo 2005 Monitor

Una Haydn distratta

Nonostante l'impegno dell'ottimo Benedetti Michelangeli, un'orchestra Haydn insolitamente sciatta, si esibisce in una serata complessivamente deludente.

Il concerto proposto lunedì 28 febbraio dall’orchestra Haydn all’auditorium di Trento è risultato abbastanza deludente; se gli orchestrali sembravano non essere in serata di grazia, la scelta e soprattutto l’ordine di presentazione dei branihanno disorientato l’ascoltatore nella comprensione della bizzarra parabola che, partendo dal primo ‘800 viennese, tocca la poetica di Pärt e ritorna all’ "Incompiuta" di Schubert.

Umberto Benedetti Michelangeli, ottimo direttore dal gesto pulito e dalle intenzioni precise, non è evidentemente riuscito a riassettare un’orchestra un po’ svogliata, che poche volte lo ha assecondato e che nei punti più critici sembrava non affidarsi alla sua guida, facendo saltare gli equilibri timbrici e dinamici. Dopo una mediocre esecuzione dell’Ouverture in stile italiano che, pur non essendo un capolavoro, risultava ulteriormente declassata e priva di ironia, leggerezza e "humour", sono entrati in scena Alessandro Carbonare e Stefano Ricci, solisti nel concerto di Krommer per due clarinetti e orchestra. Se anche in questo caso il pezzo presentato non si fa ricordare come vetta d’ingegno musicale, è stata apprezzata l’esecuzione sia dei due clarinettisti, capaci, seppur fra loro timbricamente distanti, di grande coesione, impeccabili nei passaggi tecnici e attenti alle dinamiche orchestrali, sia del direttore e dell’orchestra, che ha svolto egregiamente il suo compito di presentazione tematica e di accompagnamento.

Arvo Pärt.

Apice della serata è stata l’interpretazione del "Cantus in memoriam Benjamin Britten" di Arvo Pärt, pezzo del 1977 per orchestra d’archi e campana; Benedetti Michelangeli è riuscito a trasmettere all’organico, finalmente ricettivo, l’attenzione al timbro, agli equilibri e alle diverse profondità prospettiche delle strutture formanti la composizione, conferendo al pezzo l’intenso pathos che è trasparso interamente all’attento ascolto del pubblico.

Chiudeva il concerto la bellissima, struggente "Incompiuta" di Schubert, di cui dispiace non aver potuto apprezzare l’esecuzione, annoiata e soprattutto non curata; le evidenti intenzioni del direttore di ristabilire equilibri ormai perduti fra le sezioni e di trascinare l’orchestra verso temperature più elevate per intensità emotiva non hanno sortito alcun effetto.

In particolare è andata persa la chiarezza nei punti più delicati, come l’inizio del primo tempo e lo sviluppo ad esso collegato, ed è mancata la continuità nella tensione dei fraseggi che definiscono i diversi temi dell’opera; per questo il percorso espressivo ha subito più di un tracollo, mentre tra lo sbraitare degli ottoni ed attacchi d’insieme non impeccabili, la sinfonia si avviava stancamente verso la conclusione.

Applausi tiepidi, per la professionalità del direttore, sono stati l’epilogo di un concerto in cui l’amaro in bocca ha lasciato spazio ad un grande vuoto, in cui rintocca solitaria la campana del "Cantus" di Pärt.

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