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Riprendiamoci l’Università

Nicola Polito

In questi giorni, sul quotidiano il Riformista è stato pubblicato l’appello sottoscritto da dodici docenti universitari (Ernesto Galli della Loggia, Angelo Panebianco, Nicola Rossi, Giorgio Rumi, Giancarlo Cesana, Biagio de Giovanni, Gaetano Quagliariello, Giovanni Sabbatucci, Aldo Schiavone, Gian Enrico Rusconi, Claudia Mancina e Daniele Bassi) per dar vita ad un dibattito trasversale sull’università italiana.

Ho trovato questo appello, che di seguito riporto, quanto mai opportuno, in un momento in cui l’Università, come comunità di docenti, studenti e ricercatori, è alla ricerca di un futuro, di un percorso di miglioramento, di valorizzazione.

Anche a Trento, nonostante la situazione positiva che stiamo vivendo, non possiamo disinteressarci di quanto accade al mondo universitario nel suo complesso. Ripartiamo da questo richiamo sottoscritto da illustri docenti per – ed uso le loro parole – cambiare l’Università cambiando noi stessi, uscendo dalla logica del no senza se e senza ma.

Ricostruiamo un’idea di università come comunità dei saperi, luogo della cultura e della crescita. Lo scopo deve essere quello di "formare" persone di elevatissimo spessore culturale, non, invece, quello di attribuire un certificato di laurea a tutti. Le chiavi di volta, inevitabilmente, dovranno essere quelle della meritocrazia, della assoluta libertà della ricerca e dell’insegnamento, dell’alleanza con il privato, senza paure ma con criteri definiti di reciproca collaborazione, dell’autonomia degli atenei.

Nicola Polito, Rappresentante dei Dottorandi d’Ateneo

L’appello

Siamo stanchi di dire e di ascoltare solo dei no: da più di trent’anni l’Università italiana non sa fare altro. O meglio: non l’Università, ma quella piccola minoranza alla quale consentiamo da troppo tempo di parlare a nome di tutti, e di bloccare tutto. Da trent’anni, infatti, questa minoranza che pretende di parlare a nome dell’intera l’Università si esprime regolarmente contro tutti i progetti, contro tutti i tentativi di cambiare le cose.

Intendiamoci: molti di questi tentativi sono stati e sono senz’altro discutibili o addirittura del tutto sbagliati, ma è un fatto che non una volta ci è capitato insieme ai no di sentire da parte delle associazioni degli studenti o delle organizzazioni dei docenti, cioè da parte di coloro che nell’Università realmente vivono, qualche proposta concreta, qualche suggerimento in positivo di portata generale e destinata a durare.

Al massimo la richiesta di provvedimenti specifici a favore di questa o quella categoria, o l’eterna domanda di "più fondi". Una richiesta sacrosanta, ma che ha qualcosa di paradossale e politicamente insostenibile quando i suddetti fondi vengono invocati per una struttura che così com’è rischia ormai il collasso.

Vogliamo cambiare questo stato di cose, cambiando innanzi tutto noi stessi e la parte che fin qui abbiamo avuto - o meglio non avuto - nell’Università. Vogliamo cioè batterci contro i progetti sbagliati proposti dall’alto, ma batterci anche a favore di proposte in positivo. Vogliamo riprenderci la parola, togliendola a quelli del no senza se e senza ma. Sappiamo per esperienza diretta che l’Università è giunta a un punto limite: vogliamo cercare di migliorarla, di riformarla.

Non ci interessa mettere alla gogna il ministro o il governo di turno, oggi quello di destra come domani quello di sinistra. Vogliamo, insomma, iniziare a cambiare il senso e il modo d’essere della presenza dei docenti e degli studenti dentro e fuori dagli Atenei. Vogliamo cercare un impegno politico di tipo nuovo, diverso dal passato.

Penseremo più tardi a scrivere programmi e documenti dettagliati, come si conviene. Qui ed ora vogliamo solo indicare quella che ci sembra la premessa essenziale di questo nuovo impegno.

Per noi l’Università non può e non deve perdere il suo senso originario di luogo dove si trasmette e si elabora la cultura. Il luogo cioè dove la nostra società acquista conoscenza e consapevolezza della sua storia, dei suoi valori, della situazione della nostra epoca, e cerca su questa base, nella necessaria molteplicità dei punti di vista, di costruire pensieri e paradigmi intellettuali e prospettive di azione in grado di accrescere e perfezionare la sua sostanza spirituale e umana. Se viene meno questa trama di fondo anche la formazione delle competenze professionali si disarticola e si riduce a ben poca cosa. Senza la sua radice culturale e umanistica, senza il carattere che è stato originariamente suo di libera comunità di studio e di saperi, l’Università non solo perde se stessa ma anche ogni vera funzione sociale.

Sulla base di questa premessa, ci rivolgiamo a tutto il mondo universitario convinto dell’urgenza di mettersi su una strada nuova perché si impegni insieme a noi per far udire la propria voce, per affermare la propria volontà riformatrice in nome dell’interesse generale.

Ma se questa voce non sarà sufficientemente forte e non riuscirà ad esprimersi in un numero significativo di adesioni, allora la nostra iniziativa non avrà più ragione di continuare.

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