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La storia contemporanea a scuola

Insegnare la storia contemporanea in Europa. A cura di Alessandro Cavalli. Il Mulino, 2005, pp.360, 26,50.

A proposito di contenuti. In Ungheria, per l’ammissione all’università, un giovane di 18 anni deve superare un esame di storia contemporanea. Ecco qualche domanda.

La Prima guerra mondiale: a) Quando [anno, mese, giorno] avvenne l’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando? b) Quale generale tedesco trionfò sui russi a Tannenberg? c) Quando [anno, mese] fece il suo ingresso in guerra la Bulgaria? d) Dove iniziarono i colloqui di pace tra le Potenze centrali e la Russia? e) Quando [anno, mese, giorno]

venne firmato il predetto trattato di pace?

L’Italia tra le due guerre mondiali: a) Quando vennero fondati i due principali partiti estremisti? [anno] b) Quali erano i nomi di questi partiti? c) Quali erano i leader di questi partiti? d) Quale era il nome del leader dello Stato fascista? e) Quale era la principale caratteristica del partito di Stato?

Presidenti americani: In quale anno ebbe inizio il loro primo incarico: a) H.Truman b) H.Hoover c) J.Kennedy d) D.Eisenhover e) F.Roosevelt?

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A proposito di metodi. In Germania, sempre un giovane di 18 anni, racconta la sua esperienza così: "Durante la lezione andiamo avanti di qualche pagina sul manuale".

"Nozionismo enciclopedico" e "lezione frontale" dominano dunque, nell’insegnamento, in Germania e in Ungheria. "Mal comune, mezzo gaudio", saremmo tentati di consolarci, allora, in Italia. Ma senza poterci sorprendere se la storia, a scuola, ai ragazzi pare una disciplina noiosa.

Uno storico dell’educazione ungherese, I. Knauz, afferma apertamente che le conoscenze storiche richieste all’esame appaiono "pre-requisiti utili non tanto agli studi superiori, ma per selezionare i giovani con la memoria più sviluppata. Potremmo dire che agli esami potrebbe essere richiesta la conoscenza dell’elenco telefonico o del repertorio delle leggi".

Aggiunge però che il dibattito in Ungheria (nel 2002 i bocciati furono il 65,8%) è divenuto, da anni, molto vivace, e nel 2005 entrerà in vigore la riforma dell’esame e dell’insegnamento.

E’ Alessandro Cavalli, docente di Sociologia all’Università di Pavia, a riassumere nell’introduzione il dibattito sull’"insegnare storia contemporanea ai giovani europei del XXI secolo". Comuni, nei paesi dell’Unione Europea, sono i problemi relativi al peso che l’insegnamento della storia deve avere in un curricolo affollato di materie vecchie e nuove. Comune è il problema dello spazio da assegnare all’epoca contemporanea e, all’interno di questa, il peso da riservare alla storia nazionale rispetto, da un lato, alla storia europea e mondiale e, dall’altro, alla storia locale. Comuni sono anche gli aspetti didattici, da rinnovare, per stimolare l’interesse dei giovani, in calo quasi ovunque.

Churchill, Roosvelt e Stalin alla conferenza di Yalta.

Nei vari paesi la storia del Novecento, il "secolo breve", ha però anche aspetti specifici. Nell’indagine, di tipo comparativo, i paesi scelti sono l’Italia, il Regno Unito, la Germania, la Francia, la Spagna e l’Ungheria. I materiali della ricerca riguardano i curricoli e i programmi di insegnamento, i libri di testo, le inchieste condotte presso alunni e insegnanti.

Il dibattito tra le forze politiche, tra gli storici, sui mass-media, è vivace in ogni paese, come lo fu in Italia in occasione del decreto del ministro Berlinguer. Perché il punto focale è la costruzione dell’identità: "In gioco non è il passato, ma il nostro futuro". Fermiamoci su tre questioni, quelle che paiono a me le più importanti.

Dove ha origine la difficoltà nel rapporto tra i giovani d’oggi e la storia? Spiega Marco Silvani, nel saggio sul "caso Italia", che elaborare mentalmente una concezione di "tempo storico" significa proprio "pensare che ci sia un mondo che esisteva prima e che esisterà dopo, e che trascende la vita individuale". Questa elaborazione si struttura quando "i due piani del tempo storico e del tempo biografico si intersecano e non rimangono separati".

La "destrutturazione temporale" dipende innanzi tutto da una ragione politica. La mancata partecipazione a movimenti collettivi impegnati a costruire con fiducia il futuro, e il disimpegno della generazione precedente (a cui appartengono i genitori e gli insegnanti più giovani, che così non trasmettono "memoria") inducono negli adolescenti una crisi d’identità. Il rinchiudersi in un presente senza tempo, il prevalere di una visione ciclica della storia, vanificano la volontà individuale e collettiva di cambiamento. Ci sono state generazioni fortunate, quelle della resistenza, del sessantotto, del femminismo, in cui ognuno era chiamato a una scelta. Oggi la storia appare indifferente: "Non mi riguarda nella mia vita". E’ l’assenza di "coscienza storica" (l’agire sentendosi parte di un universo in trasformazione) che rende difficile dare un "senso storico" alla realtà.

Ma c’è anche una ragione più propriamente cognitiva. La storia diventa indecifrabile perché il modello epistemico logico-sequenziale (del linguaggio proposizionale della scrittura) sta perdendo efficacia, sostituito da un modello combinatorio. Quando elementi diversi e contraddittori convivono simultaneamente (nel linguaggio televisivo) perdiamo la percezione lineare degli eventi come "storici". L’immagine analogica, globale e simultanea, legata all’emisfero destro, rafforza l’intelligenza intuitiva ed emotiva, ma indebolisce l’analisi e la riflessione.

Alle generazioni adulte, e quindi ai docenti, spetta il compito di "non abdicare". Disponibili, da storici autentici, anche a dubitare: la fase (multimediale) che a noi, che ci siamo formati sul libro, pare un appiattimento, potrebbe essere il lento formarsi di un’altra percezione del tempo. Più centrata sulle configurazioni sincroniche che sul discorso diacronico. Anche la comparsa della scrittura, fredda, a suo tempo parve una perdita rispetto al calore dell’oralità.

Il raggiungimento delle finalità che assegniamo alla storia richiede una rivoluzione nei metodi. Sia che privilegiamo i valori etico-civili (la pace, la democrazia, la tolleranza…) sia che puntiamo a fornire gli strumenti critici di lettura della realtà (e io propendo per questi secondi), è necessario passare dalla centralità dell’insegnamento a quella dell’apprendimento.

Il volume dà conto del dibattito, delle resistenze, delle sperimentazioni, nei vari paesi. Leopold von Ranke pensava, nell’Ottocento, di aver risolto per sempre il problema dell’oggettività della conoscenza storica: si tratta di ricostruire le cose "per come sono effettivamente andate". E il ministro dell’istruzione spagnolo (conservatore), E. Aguirre, nel presentare la sua riforma, nel 1996, ripete che la storia è vincolata allo studio di "persone e cose importanti e vere".

Fernand Braudel.

Noi invece sappiamo di quanta soggettività essa è intrisa. Per questo i risultati della costruzione storica non possono essere presentati indipendentemente dalle procedure usate. Nel laboratorio lo studente, attivo, non diverrà un piccolo storico, ma imparerà ad analizzare le fonti, a narrare i fatti, a spiegare i problemi, a mettere a confronto le interpretazioni storiografiche. Userà i libri, ma anche le fonti orali e gli audiovisivi. Elencherà i fatti della storia politica in ordine cronologico, e raggrupperà quelli della storia sociale in strutture tematiche. Attraverso il passato comprenderà il presente, e muoverà verso i tempi lontani spinto dalle domande che lo assillano adesso.

Alla ragazzina (inglese?) che si lamenta ("A noi piace apprendere cose sulla storia degli altri paesi, ma a noi sembra di stare sempre a studiare i nazisti tedeschi e cose del genere, e non riceviamo alcuna istruzione sulla storia del Galles"), l’insegnante risponderà legittimando la storia locale: "Scava pure lì dove ti trovi!". E l’adolescente francese scoprirà, studiando la storia d’Europa, che l’acerrimo nemico (il tedesco) o un vecchio nemico diventato alleato (l’inglese) possono essere guardati, se non ancora come concittadini, almeno come partner e non come stranieri.

Le resistenze all’insegnamento della storia contemporanea sono ancora diffuse. Citiamo, per tutti, uno storico prestigioso come Fernand Braudel: "Diffidiamo di questa storia ancora scottante, così come i contemporanei l’hanno sentita, descritta, vissuta, al ritmo della loro breve vita, breve, come la nostra. Essa ha la dimensione delle loro collere, dei loro sogni, delle loro illusioni".

I temi controversi di storia del Novecento sono numerosi in ogni paese. In Italia: il fascismo, la resistenza, la Repubblica sociale, il ruolo dei comunisti nella lotta partigiana e nel dopoguerra. In Spagna: la guerra civile e il regime franchista. In Francia: il collaborazionismo e Vichy, le guerre d’Indocina e di Algeria. In Germania: il nazismo, la Shoah, ma anche lo stalinismo nella Ddr. In Ungheria: il regime autoritario di Horty, l’antisemitismo, lo stalinismo, la rivolta del ’56, il regime di Kàdàr. In Gran Bretagna (anche se in misura ridotta): la decolonizzazione e il conflitto nordirlandese.

Quando le memorie sono divise (fra gli insegnanti, fra gli studenti, fra i genitori) è possibile insegnare la storia? Davanti alle difficoltà si sono adottate quattro modalità. La strategia del silenzio, che però opera, sui temi imbarazzanti, una rimozione collettiva.

La strategia della neutralità dei fatti: i fatti, separati dalle interpretazioni, depurati dalla loro componente etica ed emotiva, dovrebbero condurre alla "riconciliazione nazionale". La strategia dell’interpretazione ufficiale, adottata dai regimi autoritari.

Ma pensiamoci bene. Se i contenuti sono controversi, l’insegnamento (l’educazione) non può che riconoscere e riprodurre la controversia. Pierre Nora invita a tenere distinte la memoria e la storia: "La memoria è la vita, aperta alla dialettica del ricordo e dell’amnesia. Poiché è affettiva e magica, la memoria si accompagna solo con i dettagli che la confortano.Vi sono tante memorie quanti sono i gruppi, perché la memoria è per natura multipla, plurale, individualizzata".

Invece "la storia, in quanto operazione intellettuale e laicizzante, fa appello all’analisi e alla critica. La memoria inserisce il ricordo nel sacro, la storia lo stana. La memoria è assoluto, la storia conosce soltanto ciò che è relativo. Nel cuore della storia opera una critica distruttrice della memoria".

Anche se si richiama alla ragione e alla scienza, un insegnante onesto, seguendo il consiglio di Jacques Le Goff, dirà ai suoi allievi, almeno due o tre volte l’anno: "Io la penso così, altri pensano che…".

Sono parole che, forse, possono aiutare i giovani a sentirsi non testimoni della storia ma, un poco, anche attori.