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QT n. 18, 29 ottobre 2005 Servizi

Francoforte, viaggiando in un mare di libri

Alla Fiera del libro di Francoforte, ospite d’onore è una sorprendente Corea.

Sul ponte pedonale di ferro che unisce le due sponde del Meno a Francoforte, è impressa una citazione, in originale e con traduzione tedesca, tratta dall’Odissea di Omero: "Fendendo le salate onde verso genti d’altro linguaggio…". Da un lato del ponte c’è il lungofiume dei musei, un segno forte di attenzione di questa importante città della finanza e dell’economia verso la conservazione e la trasmissione del patrimonio culturale. Al di qua, vicino alla nuova Opera, il museo ebraico, forse il centro di cultura ebraica più importante del paese. Francoforte sul Meno era stata, ai tempi di Napoleone, l’ultima città tedesca ad avere concesso l’emancipazione agli ebrei, pur contando Rotschild e Moses Mendelssohn tra i suoi cittadini (senza cittadinanza né diritti politici).

Nelle foto, illustrazioni dai bellissimi libri per bambini (anche in inglese) di una piccola casa editrice del Tamil Nadu, che raccontano leggende del Tamil Nadu, del Punjab, del Rajasthan, del Bengala.

Da quei ponti entrarono cinquant’anni fa gli americani, che per averne ragione avevano dovuto radere al suolo la città, da cui già da anni erano stati costretti a fuggire i sociologi e i filosofi della Scuola di Francoforte: Adorno, Horkheimer, W. Benjamin, e tanti altri intellettuali e artisti ebrei.

Contrasta con questo passato l’atmosfera della Fiera del Libro, la più grande del mondo, in cui non c’è paese o regione che non sia rappresentato da editori piccoli e grandi, attirati dalla possibilità di stabilire relazioni e di mostrare il meglio delle produzioni. Il governo tedesco ogni anno invita come suoi ospiti speciali numerosi paesi.

Nella babele perfettamente comunicante di lingue e segni, migliaia di persone di tutte le età e provenienze si spostano da uno stand all’altro, secondo gli interessi e le curiosità, fra libri e incontri con gli autori, discussioni e presentazioni di novità fresche di stampa, film e nuovi media che vengono legati ad una fruizione moderna del libro.

L’ospite d’onore quest’anno è la Corea, oggetto di recente di un’attenzione mondiale (salvo l’Italia, come lamenta Maurizio Riotto, docente di lingua e letteratura coreana all’Orientale di Napoli in una delle rare pubblicazioni di "o barra o"), che cerca di recuperare in fretta il ritardo verso una regione e un paese che ci si aspetta avrà nei prossimi anni un ruolo politico ed economico determinante. E si scopre una storia sconosciuta, un grande patrimonio culturale "antico" e una letteratura emergente di altissimo livello.

Liberata di recente (fine anni ‘80) dai regimi totalitari la Corea del Sud, quella del Nord rimane ancora alla finestra. All’invito di Francoforte ha risposto di no, ma fra gli scrittori e fra i coreani (a leggere e sentire ciò che si dice) si percepisce un desiderio di incontrarsi, di superare il fossato della differenza cresciuta nel corso di cinquant’anni di separazione politica drammatica, che ha cambiato perfino la lingua. D’altro canto nel 2000, come viene ricordato da molti politologi coreani e americani, sotto gli auspici di Clinton si era preso l’impegno alla riunificazione. Il blocco impresso da Bush a questa prospettiva ha gelato la speranza, e nessuno capisce il perché.

Altissimo è il numero delle pubblicazioni di carattere storico e politologico recentissime sulla Corea, sulla sua travagliata storia recente, sia di studiosi americani che di coreani sul suo difficile rapporto con gli occupanti americani, accolti come liberatori nel 1945, come scrive Arthur J.Paone in "Liberating Korea?" e che, dopo avere voluto la separazione del paese con la guerra fredda, si sono rivelati i protettori di dittature spietate e corrotte, e occupatori coloniali (ad esempio: Chay Jongsuk, "Unequal partners in peace and war"). Si democratizza il paese, sia pure fra molte difficoltà, si supera lentamente la crisi economica causata dalla liberalizzazione all’americana (come perfettamente descritto dall’economista Chalmers Johnson), e fiorisce una letteratura sorprendente, anche perché in gran parte opera di scrittrici: un fatto rivoluzionario in un paese dominato dalla cultura confuciana, che vuole per la donna un ruolo sottomesso. Di politica e storia si legge in inglese e tedesco, mentre in francese e spagnolo si trovano piuttosto titoli di letteratura, come i bellissimi "Histoire de Dame Pak" e "Histoire de Suk-Hiang", racconti del XVIII secolo tradotti con i sostegno del’Unesco, perché riconosciuti come patrimonio dell’umanità.

Nelle opere degli scrittori e delle scrittrici meno giovani (straordinario "Land", ora tradotto in tedesco di Park Kyong-Ni, una monumentale saga familiare scritta fra il 1969 e il 1994, che racconta la vicenda di una famiglia dal 1887 alla fine del XX secolo, con una grande attenzione alle figure femminili), appare apertamente o indirettamente in modo molto significativo il dramma di un paese diviso, con le conseguenze di affetti lacerati, umiliazione, prolungamento di comportamenti familiari tradizionali. La questione della separazione e il tema del confine sono molto sentiti e molto compresi in Germania, dove vengono messi in risalto i molti paralleli fra il destino dei due stati.

Un gran numero di opere presentate è di giovani e giovanissimi e giovanissime, che – come è stato detto nei dibattiti - non raccontano la storia, ma sono proiettati nel futuro, riuscendo così a parlare ai loro coetanei di tutto il mondo. Probabile risultato dell’elevata scolarizzazione delle ultime generazioni, e della loro tendenza a girare il mondo e imparare le lingua del mondo.

Ma la Germania non dimentica se stessa. Fra gli spazi più interessanti di discussione ce n’è uno dedicato a "40 anni di relazioni diplomatiche fra Israele e Germania". Un modo per parlare di letteratura, di valori morali, di relazioni fra persone e di un passato difficile. In una conversazione sul ruolo dell’autore ("L’autore è un profeta?"), che dovrebbe appurare se lo scrittore e la scrittrice costituiscono un’istanza morale, Jehoshua Sobol rifiuta fermamente la tematizzazione del confronto fra vittime e colpevoli, dicendo che alla fine di queste discussioni ognuno vuole essere solo vittima e che oggi tutti siamo ugualmente "vittime del trionfo del denaro, che sta distruggendo la politica e lo stato sociale". Un paio d’ore più tardi dallo stesso podio si alza la voce in ebraico della vedova di Jehuda Amichai, poeta oggetto di culto in USA e in Israele, che legge versi che toccano nel profondo chi ascolta. Una si intitola, nella traduzione tedesca: "Der Ort, an dem wir recht haben" (il luogo cui abbiamo diritto), in cui si descrive la desolazione di una patria contesa. Originario di Würzburg, solo oggi viene tradotto in tedesco un suo romanzo che racconta in realtà la vicenda del suo primo ritorno in Germania, alla ricerca dei ricordi dell’infanzia.

Ricordare o dimenticare? Nessuna delle due cose è possibile. "’La vita è una combinazione fra ricordare e dimenticare’ dice la moglie Hana. Lo stesso vale per le nazioni, anche in questo caso non si deve dimenticare tutto ma non si può neppure ricordare tutto, si deve trovare una combinazione". Il rapporto fra ebrei e tedeschi è ancora dolente, soprattutto per gli ebrei nati in Germania o provenienti da famiglie di origine tedesca.

La conversazione avviene fra quattro persone in tre lingue. Il pubblico fitto non usa la traduzione.

In Italia si tagliano i fondi alla scuola e alla cultura, la Germania e i paesi nuovi investono nelle giovani generazioni, moltiplicando l’impegno nonostante la difficoltà economica e finanziaria.

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