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QT n. 19, 12 novembre 2005 Servizi

Universitari: più studio, meno precarietà

Un po’ in ritardo rispetto ai loro colleghi di altri atenei, anche gli studenti trentini si stanno muovendo.

Metà ottobre, facoltà di Sociologia, Trento: assemblea studentesca sul disegno di legge Moratti sul riordino della docenza. Nel resto degli atenei italiani già da qualche giorno l’atmosfera è surriscaldata. Cortei, assemblee fiume ed occupazioni interessano un buon numero di università in tutto il Paese, con La Sapienza di Roma capitale non ufficializzata della protesta.

Nelle foto di questa pagina, la manifestazione studentesca del 26 ottobre al Mart di Rovereto.

Fino ad ora nel dorato ateneo trentino aveva regnato una calma fin troppo placida, come se l’Italia ed i suoi atenei occupati fossero da tutt’altra parte. Punto centrale della sorprendentemente affollata assemblea è proprio questo aspetto, ovvero l’isolamento che l’ateneo trentino sembra patire, rispetto alla generale situazione di fermento.

Emerge da più interventi l’esigenza di tentare la mobilitazione e l’assemblea si riconvoca per il giorno seguente; nel frattempo si avvia il confronto tra le varie espressioni della sinistra studentesca in università. Non c’è molto, a ben guardare: due sono le realtà che negli ultimi anni si sono mostrate politicamente attive. L’una, Charta ’91, sotto il profilo della rappresentanza istituzionale negli organi elettivi; l’altra, il collettivo Rightsinaction, come espressione diretta del "movimento" dentro l’Ateneo.

Charta ’91 è la lista della sinistra universitaria, che annovera tra i suoi membri numerosi iscritti dei democratici di sinistra. Da anni è ben radicata dal punto di vista della rappresentanza nelle varie facoltà: in termini relativi è la lista universitaria più forte, con una percentuale del 30-40%. Si tratta senz’altro di un’affermazione importante, che però non ha impedito alla lista di Comunione e liberazione e, più in generale, a quelle di centro-destra di far eleggere presidente e vicepresidente propri all’interno del Consiglio degli studenti, organo di governo dell’Ateneo recentemente insediatosi e avente il "ragguardevole" compito di fornire pareri consultivi al Consiglio d’amministrazione sulle questioni d’interesse studentesco. Particolare degno di nota ci pare essere la proporzione di presenze in quest’ultimo organo: 4 studenti a cui è affibbiato l’ingrato compito di difendere i "pareri consultivi" del proprio parlamentino, di fronte ad un plotone d’una quarantina di docenti e membri esterni.

Tutt’altro il terreno d’azione del collettivo: nessuna lista alle - peraltro assai poco partecipate - elezioni studentesche, grande attivismo invece sul piano della mobilitazione e del conflitto, sul tema del caro-affitti e su quello delle mense. L’area di riferimento - si passi l’espressione - è quella della disobbedienza, raccolta a Trento attorno alla Tanaliberatutt*.

Più sparuto ma attivo il neonato gruppo giovanile di Rifondazione comunista, che si è affacciata per la prima volta ad una concreta attività politica all’interno dell’università, a segnare il ritorno, anche in termini organizzativi, dell’impegno profuso dal partito in questi anni sui temi cari al "movimento".

Attorno a Charta e al collettivo gravitano una cinquantina di attivisti fissi, fatto non trascurabile visto il clima politico dell’Ateneo trentino, cifra che però rimane pur sempre d’élite, se rapportata ai circa 15.000 iscritti complessivi.

Tornando ai recenti fatti di cronaca è da segnalare l’elemento di novità, emerso nella seconda assemblea, ovvero la decisione di non disperdere l’ampia partecipazione con estenuanti schermaglie verbali fra le due pur diverse anime. Decisione peraltro oculata, vista la presenza di numerosi studenti non appartenenti a nessuna delle sigle in questione, che si affacciavano probabilmente per la prima volta alla partecipazione politica in università. E’ stato così deciso di agire sotto un nuovo e comune nome, in grado di rappresentare tutti, quello di sciame precario universitario.

Il nome deriva proprio dalla scelta simbolica di creare un goliardico bestiario universitario, comprendente le varie figure dell’ateneo, dal rettore camaleonte al ricercatore panda in via d’estinzione, passando per lo studente "tre più due", facocero fagocitante crediti universitari.

Proprio questi simbolici animali hanno popolato la protesta del 26 ottobre, tenutasi al Mart di Rovereto in occasione dell’inaugurazione ufficiale dell’anno accademico, proprio nel giorno successivo alla tumultuosa approvazione in Parlamento del disegnodi legge Moratti, che ha portato in piazza decine di migliaia studenti e che ha visto episodi di tensione a seguito di gratuite provocazioni delle forze dell’ordine ad un corteo assolutamente pacifico.

Il corteo, partito da Trento nella prima mattinata con un treno regionale festosamente occupato, si è poi diretto alla volta del Mart, passando anche per la facoltà di Scienze cognitive e appendendo uno striscione sulla cancellata della sua tetra, provvisoria quanto inadatta sede, nel tentativo non propriamente riuscito di stimolare un’ulteriore partecipazione al corteo.

I circa 300 studenti annoveravano fra loro non soltanto universitari, ma anche i più giovani colleghi degli istituti superiori di Rovereto. Non si può certo affermare che la partecipazione sia stata oceanica, circoscritta com’era a coloro che avevano partecipato alle assemblee preparatorie, non essendo riuscita a coinvolgere un’ulteriore fetta di studenti.

Precarietà: questo il tema forte dello sciame, intesa non solo e non tanto dal punto di vista delle forme contrattuali, bensì come paradigma di una più generale condizione, che attraversa le esistenze di chi nell’università studia e lavora. La categoria della precarietà sta assurgendo ad elemento unificante di ampi settori del movimento, del sindacato e della politica, portando con sé la capacità d’entrare in presa diretta con il reale, ma con l’evidente limite - se non adeguatamente declinata caso per caso - di divenire una suggestiva etichetta verbale, destinata però a non saper cogliere la complessità ed eterogeneità delle cause e dei fenomeni che vorrebbe definire.

Non è probabilmente un caso che proprio i ricercatori precari, vittime per eccellenza della riforma Moratti, abbiano rappresentato la pesante assenza della giornata roveretana. Al di là della pur necessaria evocazione, la precarietà investe infatti soggetti in carne ed ossa, con contraddizioni e problemi specifici, e con una certa difficoltà ad autorappresentarsi.

E’ stato però compiuto un tentativo per superare questa assenza, coinvolgendo il sindacato università e ricerca della Cgil, con cui lo sciame sta organizzando un’iniziativa di carattere seminariale, programmata per il 14 di novembre presso la facoltà di Sociologia, sul tema delle riforme Zecchino, Berlinguer e Moratti. L’obiettivo è quello di coinvolgere nell’iniziativa altre figure precarie all’interno dell’ateneo, tra cui il personale tecnico-amministrativo, gli addetti ai servizi ed i lavoratori delle biblioteche, allo scopo di avviare un confronto su convergenze e diversità del lavoro precario negli atenei.

Al centro della mobilitazione roveretana del 26 ottobre anche la critica al rettore Bassi in merito all’applicazione del cosiddetto 3+2, ovvero la riforma dell’università in vigore da alcuni anni, che ha portato alla modifica del vecchio percorso di studi, suddividendolo in un primo triennio di base, atto al conseguimento della laurea breve o di primo livello, ed in un secondo biennio di specializzazione. Da questa innovazione anche la didattica è uscita completamente cambiata: quelli che erano gli antichi corsi, semestrali o annuali, sono ora trasformati in moduli di circa trenta ore l’uno, al termine dei quali si conseguono i cosiddetti crediti.

Gli studenti hanno duramente contestato la dequalificazione del percorso di studi. Ritengono inoltre indebolita dalla riforma la possibilità di acquisire con lo studio una più ampia capacità critica, in favore di un approccio di tipo scolastico, con una compattazione in tempi molto serrati di programmi che, per forza di cose, non si è potuto ridurre eccessivamente -pena irreparabili lacune formative - e che non lasciano dunque più spazio ad approfondimenti, discussioni, rielaborazione critica.

Gli studenti, per riprendere il titolo di un numero di Questotrentino uscito alcuni anni or sono, "vogliono studiare di più" (Università trentina: la tentazione della laurea facile). La domanda che ci poniamo è se questa sia un’esigenza largamente diffusa tra il corpo studentesco o se non sia invece patrimonio di quelle élites politicizzate che hanno finora guidato la protesta.

Il problema, anche a detta di molti tra i docenti, è reale. Resta tuttavia da capire perché non sia finora diventato, quanto meno nell’ateneo trentino, una questione in grado di suscitare l’interesse critico di una più ampia fetta di studenti.