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QT n. 2, 28 gennaio 2006 Servizi

La Sloi di ieri e di oggi

Da fabbrica della morte a ghetto per disperati.

La storia della Sloi (Società Lavorazioni Organiche e Inorganiche), la nostrana fabbrica dei veleni, al n° 102 di via Maccani a Trento, è stata dimenticata per tanti anni, come tante storie scomode. Ma da qualche mese si è tornato a parlarne e in modo deciso e stimolante.

La Sloi abbandonata (foto Piero Cavagna).

Per cominciare, nell’estate del 2005 l’associazione culturale di Trento "Laboratorio del Moderno" ha coraggiosamente dato luogo alla riapertura fisica e simbolica della fabbrica dismessa (vedi Di nuovo la Sloi): per tre giorni in settembre sono stati organizzati conferenze e dibattiti sulla storia della fabbrica, sulla nuova urbanistica progettata intorno all’area nell’attesa di una difficile bonifica, sulla presenza - invisibile dall’esterno - di immigrati regolari e irregolari che dell’edificio hanno fatto per anni la propria casa accanto al pericolo del traffico di droga incessante. Tre giorni di animazione della "memoria futura" (come dice Marco Rosi, del LabModerno) e dello spazio fisico, seguendo percorsi limitati in zone sicure dell’edificio, con musica, un laboratorio d’artista, spettacoli di danza, una mostra fotografica (in parte ora esposta presso il BarYCentro di Trento). Gli organizzatori stimano che circa mille persone abbiano preso parte alla manifestazione e in quei giorni infatti c’era un allegro viavai di intellettuali, studenti, famiglie con cani, bambini e biciclette, sindacalisti, giornalisti, artisti, cittadini.

La gente ha risposto bene, con interesse, e molti giovani, grazie a questa iniziativa, hanno appreso la storia di una fabbrica tragica, che dagli anni ‘30 ha prodotto piombo tetraetile, antidetonante della benzina, prodotto strategico in tempo di guerra per gli aeroplani e successivamente ancora di più in una società centrata sulla motorizzazione privata; il tutto con metodi di lavorazione privi delle minime regole di sicurezza per gli operai, causando migliaia di malattie professionali, alcune con esiti drammatici, fra decessi, violenze domestiche e suicidi. Infatti il piombo tetraetile penetra nell’organismo accumulandosi e causando danni serissimi al sistema nervoso centrale, che portano alla morte o alla pazzia in alcuni casi.

Nell’introduzione al nuovo libro"Sloi, fabbrica dei veleni" (edizioni U.C.T.) il segretario generale della CGIL Guglielmo Epifani scrive: "La storia del nostro Paese è stata anche la storia della negazione di uno dei primi diritti che va riconosciuto ad ogni persona: il diritto alla salute, il diritto a non essere uccisi dal proprio lavoro". Ecco, di questo si è ricominciato a parlare attraverso questa iniziativa di occupazione pacifica, come anche nelle pagine del volume sopra citato, ma anche grazie allo splendido spettacolo teatrale della Compagnia del Teatro di Bambas, di Andrea Brunello (scritto con Michela Marelli): “Sloi Machine".

Lo spettacolo, allestito con il patrocinio della CGIL per il suo centenario, è partito in tour l’anno scorso dal Teatro Sociale di Trento e in queste settimane sta girando il Trentino, raccontando tutta questa tragica storia ai giovani, a coloro che domani decideranno la struttura del mercato del lavoro e la sosterranno, ma anche agli adulti. A completare l’elenco delle inizative di riflessione, il libretto di Gigi Zoppello "La notte della Sloi", spettacolo breve di narrazione civile sulla memoria vissuta.

Dal 1960 al 1971 alla Sloi si verificarono 1108 casi di infortunio e intossicazione da piombo, 266 dei quali ebbero una durata superiore ai 40 giorni, 38 determinarono una residua invalidità permanente, 4 si conclusero con la morte. Questi i dati documentati dall’INAIL e raccolti dal giudice istruttore di Trento Antonino Crea nella primavera del 1973, ma sono elenchi incompleti. Oggi si sa che il numero dei morti - per suicidio o deceduti nel manicomio di Pergine, dove erano relegati come alcolisti cronici - sono molti di più.

Già negli anni ‘50 gli ex-operai parlavano di molti morti; ma regnava la congiura del silenzio: i posti di lavoro erano preziosi, e poi, sotto il profilo medico, molti casi non poterono essere conteggiati, come i morti per tumore, per incidenti stradali o per gesti sconsiderati indotti dagli effetti del piombo. La malattia era pochissimo conosciuta e la vergogna per troppi anni si dovette nascondere, perché "Business must go on" e perché la cultura del diritto alla salute sul lavoro doveva ancora affermarsi.

La Sloi fu chiusa nel luglio del 1978, a seguito di un gravissimo incendio che rischiò di provocare una nube tossica che avrebbe potuto uccidere e intossicare migliaia di persone.

Ma la storia di questa fabbrica è stata anche in seguito una storia di vite messe al margine e di diritti negati. Il sociologo Charlie Barnao studia da anni la situazione degli immigrati, spesso regolari e con un lavoro, in altri casi clandestini, che hanno fatto della Casa Vecia (come viene chiamata la fabbrica) la propria precaria dimora. Barnao ha ricordato questa situazione in un recente incontro presso il BarYCentro di Trento, in un ciclo di tre serate chiamato "La festa, le quinte, la notte della Sloi". Dal 1993 al 2005 hanno dormito nella ex fabbrica mediamente 30 persone a notte, e ancora oggi questo accade, nella totala indifferenza delle istituzioni. Le persone che vivono qui, per noi, restano invisibili.

Recentemente (gennaio 2006) il sociologo è tornato fra le mura della Sloi trovandovi ancora oltre una decina di persone senza dimora, che trovano qui, nonostante la precarietà e l’inquinamneto, di cui non possono forse essere consapevoli, almeno un riparo e la possibilità di cucinare, tessere un minimo di relazione sociale con dei loro simili ed anche una vita affettiva e sessuale. Già, perché un senza dimora non ha un posto dove lasciare le provviste, dove lavarsi, ma non ha nemmeno un posto dove stare con un partner. Eppure sono persone come noi, con i nostri stessi desideri, i nostri bisogni, le nostre speranze.

Anche per questo i ragazzi del laboratorio del Moderno hanno proposto la loro occupazione pacifica, per indurci ad assumerci la responsabilità del cambiamento.

Volendo dare una immagine di sintesi, Barnao ha descritto lo spazio fisico della Sloi oggi come una casa precaria che permette una divisione etnica dei suoi ospiti, evidentemente ancora inevitabile, come un luogo per dormire di giorno (i dormitori per senza dimora non prevedono che uno lavori di notte e dorma di giorno), come un luogo dove cucinare (altra regola assurda dei dormitori: si dorme ma non si cucina), come un luogo appunto di salute, sicurezza (paradossale, ma là dentro è meglio che fuori, per alcuni aspetti) e affettività-sessualità, ma anche, tristemente, come un luogo di preparazione delle dosi di droga, di spaccio e di consumo.

Perché i senza dimora vivono qui? Perché, risponde Barnao, l’accesso ai servizi resta problematico ed è pensato in modo errato: ci sono troppe barriere, i servizi sono statici, soggetti alla discrezionalità degli operatori, inadeguati a rapportarsi agli utenti. La buona volontà degli operatori e dei volontari, quando c’è, non basta. La cultura dominante esige che queste persone non siano visibili, perché sono presenze antiestetiche, ed esige anche un controllo dell’informazione, perché la notizie al riguardo danno fastidio all’amministrazione.

E’ stato citato il caso estremo degli Stati Uniti, dove esistono i cosiddetti "Skid Row", ovvero quartieri-appartamento, inizialmente pensati come luoghi dove offrire un alloggio a bassissimo costo ai senza dimora o agli svantaggiati, che nel tempo sono però diventati dei ghetti con i servizi minimi; in alcuni Stati, per legge, agli abitanti è vietato uscire dal ghetto, pena la prima volta l’obbligo di rientrarvi con il biglietto del tram cortesemente pagato dalla polizia, la seconda volta, se ti beccano, pena la carcerazione: essere poveri è un reato, se si pretende di farsi vedere in giro.

La Sloi, oggi, è lo scabroso Skid Row di Trento. I giornali della fine di gennaio riportavano la notizia della morte di un giovane migrante irregolare che di notte camminava lungo la ferrovia presso Mori; troppo vicino al percorso del treno, che difatti lo ha colpito e scaraventato lontano. Il giovane ha battuto la testa morendo sul colpo, solo, nella notte. Solo i documenti ci hanno raccontato qualcosa di lui: era, come troppi, senza voce.