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14 anni di guerra civile

Viaggio fra i profughi liberiani in Ghana. Da Quale Vita, mensile di Torre dei Nolfi (L’Aquila).

Giuseppe La Pietra

Prendiamo il primo dei tre "tro tro" che ci porteranno a destinazione; sono dei minibus che contengono circa 25 persone, ammassate, inclusi l’autista e il ragazzo che, affacciato al finestrino, grida in lingua Gha (quella in uso nella capitale e sulla costa) il nome delle località verso cui il mezzo è diretto: Burumburu, dove si trova un campo che accoglie i profughi liberiani. Ci vorranno circa tre ore.

La neo presidente liberiana Ellen Johnson Sirleaf.

Durante il viaggio, un catechista dei "Ministri dei miracoli del puro fuoco" inizia la sua predicazione. Urlando in tono minaccioso ci esorta a non fumare, ad abbandonare l’alcol ed ogni altro vizio. Poi, con il dito indice puntato contro ciascuno di noi, prosegue: "Hai problemi finanziari? Vuoi liberarti dell’erotismo e del sesso che ti opprimono? Vuoi progredire nella società? Vieni alle catechesi del pastore Enoch Aminu e sarai benedetto da Dio. Nel nome di Gesù, Enoch Aminu, unto del Signore, compie miracoli. I pastori della tua Chiesa compiono miracoli?"

Dopo una mezz’ora l’uomo termina l’orazione chiedendo denaro per il Signore. Lungo i bordi della grande strada, ancora in costruzione, vediamo spessissimo dei cartelli che propagandano le Chiese dai nomi più vari: Nuovi Apostoli, Chiesa della Riconciliazione, Apostoli del Fuoco di Dio…

Finalmente arriviamo a Budumburu. Dopo esserci guardati intorno, vorremmo scattare qualche foto, ma veniamo fermati dalla polizia che ci chiede i documenti. Vorremmo visitare il campo, ma per farlo occorre il pass dell’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati, il cui responsabile è assente. Il suo vice, dopo qualche discussione, ci dà il permesso, a condizione che non parliamo con nessuno, non scattiamo fotografie, addirittura non prendiamo appunti sui nostri taccuini.

Il campo è molto simile ad un villaggio qualunque. Non ci sono fognature, spesso scarseggiano acqua ed elettricità e non mancano i drammi del colera, della malaria e dell’Aids. Per di più la convivenza ristretta genera frequenti conflitti fra le numerose etnie presenti.

In compenso, ci sono botteghe in cui si vende un po’ di tutto, dal cibo ai vestiti, e dei bar da cui esce una musica assordante. Da una lavagna viene l’invito a seguire in TV le partite di calcio della Champions League.

Notiamo che nel campo non ci sono anziani; solo pochi adulti, molti giovani e bambini. Ne chiediamo la ragione ad una ragazza: "Molti anziani – ci spiega – sono tornati in Liberia per le votazioni. E molti altri, dittatura o democrazia, vogliono morire nella loro terra. Qui ci stiamo perché siamo obbligati dalla violenza, ma non piace a nessuno".

Ci fermiamo a scambiare due chiacchiere con un giovane; ha 16 anni e da otto vive nel campo.

Cosa pensi di Ellen Johnson-Sirleaf, la nuova presidente liberiana?

"E’ una grande donna. Spero che ci faccia ritornare nella nostra terra, liberi e in pace".

Proseguiamo la passeggiata guardandoci attorno; vediamo le scuole, l’ospedale, il campo sportivo, e diversi edifici per vari culti.

Il campo profughi è suddiviso in dodici zone; nella decima, quella in cui ci troviamo, sorgono circa 170 case, in ognuna delle quali abitano un paio di famiglie.

Reincontriamo due donne che erano con noi sul tro tro. "Ciao, sorella – domando a quella più anziana – come va la vita nel campo?"

Il suo viso si intristisce, poi con un sorriso ironico mi risponde: "Obroni (è il modo usuale per chiamare i bianchi, n.d.r.), guardati intorno. Ho quarant’anni e da quindici vivo qui, lontana dalla mia terra e dalla mia famiglia. Cosa vedi con i tuoi occhi? Hai figli? Guarda questi bambini. Cosa pensi? Non si sta tanto male, ma non è casa nostra!"

"Vorremmo tornare nel nostro Paese – aggiunge la più giovane – Sogniamo la pace, la fine di una guerra in cui abbiamo perso amici e parenti".

Il candidato sconfitto alle presidenziali liberiane, l’ex calciatore Georges Weah.

Ora avete un nuovo presidente…

"A me non importa che sia Ellen Johnson-Sirleaf invece che Georges Weah (il candidato sconfitto, ex calciatore molto noto, n.d.r.): vogliamo solo vivere senza guerra. La guerra porta distruzione e tanti orfani".

"No, non è così – interviene l’altra – Dov’era Weah quando la Johnson era in prigione? Lei si è sempre battuta per il ritorno della democrazia in Liberia, mentre lui si arricchiva in Europa. Weah non sa niente di politica, la Johnson invece è una donna istruita che ha subìto l’esilio sulla propria pelle".

Un giovane ben vestito, sui vent’anni, che ha sentito i nostri discorsi, vuol dire la sua: "Obroni, io amo il calcio e mi piace molto Weah come calciatore, ma la politica è un’altra cosa. Lui si è candidato perché conosce alcuni presidenti europei, ed anche Bush. No, alle elezioni non ci sono stati brogli, come dice qualcuno. In Africa lo si dice sempre quando si perdono le elezioni. Quella signora ha ragione: noi sogniamo la pace. Mi piacerebbe ritornare in Liberia, sposarmi, avere dei figli…".

Non vi sono statistiche affidabili per quanto riguarda le condizioni della popolazione civile in Liberia, ma 14 anni di quasi ininterrotta guerra civile hanno ridotto il Paese in ginocchio. La prima guerra civile ha provocato almeno 200.000 morti, mentre i liberiani sfollati durante il secondo conflitto sono stati circa 1.300.000, moltissimi dei quali non hanno ancora fatto ritorno alla loro terra. L’80% della popolazione vive sotto la soglia di povertà e la disoccupazione raggiunge l’85%.

Il Ghana, grazie alla sua proverbiale ospitalità e soprattutto grazie alle sue leggi in tema di rifugiati, ne ospita decine di migliaia. Da questo punto di vista, l’Italia, che non ha leggi per il riconoscimento dei rifugiati, avrebbe molto da imparare.

Ormai sono trascorse due ore e dopo aver salutato i nostri interlocutori saliamo sul tro tro che ci deve riportare ad Accra, in Ghana.

Mentre ci allontaniamo, immergendoci nell’asfissiante e assordante traffico del rientro, mi viene in mente la canzone "Sud" dei Modena City Ramblers: "Ai miei occhi foto di polvere e tramonti, di piedi scalzi nei vicoli. La tua voce parla di esuli stanchi che aspettano il ritorno. La tua casa è fra le nuvole e il deserto".