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QT n. 8, 22 aprile 2006 Monitor

Le 4 stagioni: non son più quelle di una volta…

La coreografia di Angelin Preljocaj, attraverso invenzioni scenografiche, l'utilizzo di costumi ed oggetti fantasiosi, rivisita in chiave vitalistica la partitura di Vivaldi, comunicando eccitazione e/o leggerezza.

"Le 4 stagioni…", spettacolo presentato a Trento nell’ambito della rassegna In Danza, è una rivisitazione in chiave estremamente vitalistica dell’omonima partitura - puntini di sospensione a parte - di Antonio Vivaldi. L’idea portante che ha spinto Angelin Preljocaj, coreografo di origine albanese ma di formazione squisitamente francese, a misurarsi con il celebre capolavoro di Vivaldi è stata la volontà di esaltare le potenzialità poetico-espressive della composizione, mettendola a contrasto con una gestualità vivace e passionale ed un’ambientazione semplice ma fortemente evocativa, vera molla propulsiva dell’azione scenica.

Il coreografo Angelin Preljocaj.

Sopra le teste dei danzatori pendono una serie di oggetti legati alle diverse stagioni (nuvole con tuoni e fulmini, l’abito di Babbo Natale, un grappolo d’uva, un ombrellone, una sedia impagliata), i quali, sfilando indistintamente uno dopo l’altro, creano una confusione atmosferica che, nelle pretese di attualità avanzate da Preljocaj, intende rispecchiare il timore dell’uomo contemporaneo verso una natura vendicativa, talmente violata e dileggiata da scatenare la sua ira in improvvise, rovinose tempeste. Ed è proprio l’inaspettata caduta dal cielo di alcuni di questi oggetti, creati dall’artista francese Fabrice Hyber, a determinare repentini cambi di stagione -nonché di umore - durante lo spettacolo.

Si tratta della prima collaborazione dell’artista francese con il mondo della danza e, per l’occasione, egli ha realizzato quella che ama definire una "caosgrafia", ovvero una scenografia nata dall’assemblaggio di costumi ed elementi scenici ispirati ai suoi POFs (Prototipi di Oggetti in Funzionamento). Tali "prototipi" sono degli oggetti immaginari, inventati senza uno scopo predefinito ma utilizzabili in molti modi, secondo le diverse esigenze personali: ad esempio la scaletta senza fine, formata da tre soli scalini su piano ondulato, che costringe i danzatori ad un continuo, dondolante andirivieni. "Con l’aiuto di questi oggetti misteriosi - dice Preljocaj - inventati da Fabrice Hyber proprio per le mie necessità coreografiche, piene di voglia di andare oltre e altrove, mi sono avventurato verso un mondo virtuale, dove gli oggetti inventati sono soltanto stimoli emblematici per esplosioni improvvise di sorrisi, di vibranti inquietudini e di scatenate energie".

Quella di Hyber è una "meteorologia su misura", in grado di influenzare i movimenti dei danzatori in maniera estremamente personale e casuale; l’ordine cronologico delle stagioni di Vivaldi viene sovvertito in un caos atmosferico che provoca la caduta di piante, di frutta, ma anche di corde, collane di perle e spugne. L’inatteso piovere dal cielo di tali bizzarre calamità, oltre a determinare brusche variazioni stagionali, produce pure delle mutazioni genetiche nei danzatori, i quali si trasformano in esseri in bilico tra il mondo animale e un immaginario artificiale tendente al post-umano: sfilano sul palcoscenico, gli uni dopo gli altri, giganti orsetti di plastica gonfiabile, grilli/extraterrestri in tuta verde fosforescente, istrici neri dotati di spine morbide e flessuose e un curioso uomo spugnoso, che piomba sulla scena, in seguito ad un’insolita pioggia di spugne. Non si tratta di personaggi a sé stanti, semplici elementi scenografici, ma dei veri protagonisti dello spettacolo, i quali, nonostante i costumi ingombranti, dialogano attivamente con i danzatori, in uno scambio di gesti e movenze che si tingono talvolta di erotismo.

Preljocaj considera infatti la composizione di Vivaldi una musica "sensualmente metereologica" e tenta, anche grazie alle ibridazioni di Hyber, di interpretarne le zone d’ombra ed i segreti più reconditi. Risulta alquanto d’effetto l’impatto iniziale dello spettacolo: i ballerini si muovono sul palcoscenico avvolti da pesanti mantelli neri che, volteggiando, lasciano intravedere parti del loro corpo, in un progressivo gioco di svelamento che si conclude infine con una scena di nudo integrale. Dalla sensualità si passa poi improvvisamente agli svaghi scherzosi e a tratti infantili dei danzatori, intenti nel riscaldamento per una gara di atletica o nel salto della corda, eseguito sempre rigorosamente a passo di danza. I giochi sono conditi da urletti di incitazione e da corse sfrenate sul palcoscenico, che testimoniano appieno e senza eccessiva finzione, il gran divertimento dei protagonisti. Una "orgia di vitalità" - come la definisce lo stesso coreografo - il cui intento è quello di "sfondare il muro dell’ovvio e della banalità per ritrovare il piacere di inventare, di giocare, di mescolare le acque".

Il senso di eccitazione che pervade il palcoscenico nel corso dello spettacolo si trasmette in maniera del tutto naturale anche al pubblico in sala: la creazione di Preljocaj riesce infatti a stabilire un contatto con gli spettatori attraverso la trasmissione di emozioni a tratti audaci e a tratti leggere, ispirate alla confusione e alla frenesia della vita contemporanea.

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