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QT n. 8, 22 aprile 2006 Monitor

“Inside Man”

Su una rapina in banca, Spike Lee fa un film dalle tante sfaccettature, alla ricerca di verità più profonde dall'insieme di tante verità, storie, persone.

Quattro rapinatori si chiudono in una banca con una cinquantina di ostaggi. Fuori, la polizia è indecisa tra l’irruzione e la trattativa. "Inside Man" racconta questa classica storia di rapina. Ma la struttura è rinnovata grazie a una serie di sottigliezze di sceneggiatura e di allusioni tematiche. Un sempre più carismatico Spike Lee riesce quindi a far suo, a renderlo coerente con il suo percorso di autore, un film che in potenza era solo una buona idea commerciale.

A quasi cinque anni dalla caduta delle Torri, sembra che ogni film che ci mostra New York insista sempre a parlarci dell’11 settembre. In "Inside Man" vediamo le solite bandiere a stelle e strisce, leggiamo gli slogan, i "non dimenticheremo". Il trauma pare attanagliare tutti i personaggi che Spike Lee ci presenta, alle prese con questioni da regolare, con un passato non troppo risolto, con la loro difficoltà a interpretare il mondo.

Il primo protagonista, il rapinatore impersonato da Clive Owen, ha architettato un colpo in banca perfetto. Di lui non veniamo a sapere niente, se non che ha studiato il piano con straordinaria lucidità. Ma non ci è dato conoscere come faccia ad aver notizia del segreto che quella banca nasconde. Denzel Washington è il suo oppositore, l’uomo della polizia designato a condurre la trattativa. E’ sopra le righe, spavaldo, veste improbabili abiti da ispettore, ha in testa un panama bianco e sulle spalle un’accusa di corruzione. Willem Dafoe rappresenta l’altra opzione rispetto alla trattativa, quella dell’irruzione armata. Jodie Foster interpreta splendidamente una problem-solver di alto livello. Si è costruita una carriera con la sua mancanza di scrupoli e la sua bravura nel trovare appoggi, tessendo trattative senza guardare in faccia nessuno. Il suo è il personaggio più sfuggente, ha potere pur non facendo parte delle istituzioni, è un cervello privato in vendita a chi offre di più. Si trova a dover aiutare il fondatore della banca rapinata, che in quel caveau ha sepolto un segreto.

Anche stavolta lo scheletro nell’armadio ha a che fare – come in mille altri film, "Il maratoneta" per dirne uno – con degli abboccamenti con il nazismo. Il nazista rappresenta ancora per Hollywood il classico nemico a tutto tondo, la cui cattiveria esiste per statuto, senza bisogno di alcuna precisazione. Quando sarà difficile ipotizzare (son già passati sessant’anni) che ci sia ancora in giro gente con un passato nazista da nascondere, staremo a vedere dove il cinema americano andrà a cercare altri momenti della Storia di cui uno si deve prima o poi vergognare. Vedremo se gli USA sapranno cogliere il pretesto per andare a rovistare in qualche losco affare della loro più recente politica estera, magari gettando un occhio in America Latina.

Attorno ai personaggi principali stanno una serie di comprimari, quasi tutti dall’appartenenza etnica ben specificata: il sikh, la donna albanese, il poliziotto bianco e impaurito, la fidanzata afroamericana da cui torna Denzel Washington, il bambino nero col videogioco violento. Queste storie minori non rimangono schiacciate dai personaggi principali, ma riescono a dare, come sempre in Spike Lee, l’idea di una società composita, e sempre meno conciliabile.

Alla fine, più che una rapina, quella di "Inside Man" è una grandiosa messa in scena. Il rapporto tra rapinatori e uomini di legge, e tra sequestratori e sequestrati, è continuamente stravolto. Spike Lee continua a girare intorno alla sfaccettatissima vicenda, e lo spettatore è indotto a stare contemporaneamente sia dalla parte dell’ordine costituito che da quella dei fuorilegge. Questa messa in scena complessa serve a mostrare quanto complicati siano i piani di raccordo che uniscono le vite di un banchiere, di un poliziotto, di un ladro, di un sindaco, di persone normali che si trovavano semplicemente in coda a uno sportello. Unendo tutti i puntini emergono verità più profonde. Non solo nel passato del banchiere ma anche nei meccanismi di controllo della politica sulla polizia, in un mondo dove la corruzione e il ricatto non vanno ormai più considerati l’eccezione ma la regola.

Non ci è dato conoscere le motivazioni che stanno dietro ai gesti – una rapina, o un’avidità criminale che apre le porte delle camere a gas. Conosciamo però il risultato di quei gesti e il modo in cui essi vengono prodotti.

Di come si svolge la rapina sappiamo tutto; e la maniera con cui il banchiere accumula la sua fortuna è più che suggerita. Quel che ci manca di conoscere veramente sono le ragioni o le irrazionalità da cui nascono scelte così drammatiche.

Come nei migliori film di Spike Lee, tutto si risolve nel parlare di persone, uomini e donne, nel seguirne per qualche tempo le azioni, sperando che questa scanzonata attenzione possa attenuare il senso di confusione che ci ammutolisce di fronte ai tanti "perché?".

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