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QT n. 11, 3 giugno 2006 Servizi

4 gradi in cinquant’anni: e tutto cambia

I mutamenti climatici, soprattutto nelle zone alpine, sono una drammatica realtà già operante. Alla quale la politica non presta nessuna attenzione.

"Gentili signore e signori, dobbiamo prevenire prima di dover subire… Grazie. Grazie a voi che ci anticipate questi temi, grazie a voi per la cultura che sviluppate, grazie a voi per le sollecitazioni forti ed impegnative che offrite alle istituzioni, grazie a voi per l’offerta di proposte che rivolgete al mondo della politica."

Vedretta del Crozzon.

Queste non sono parole di un politico dei Verdi, ma rappresentano la sintesi di un articolato ed incisivo intervento del Ministro dell’Ambiente della Baviera, esponente della democristiana CSU, nell’accogliere i rappresentanti di C.I.P.R.A Internazionale e dell’associazionismo ambientalista dell’arco alpino. Sono contenuti incentrati sulla prevenzione, che colgono la gravità della situazione per le modifiche del clima; ma il cuore dell’intervento sta nel significativo riconoscimento del valore strategico dell’azione dell’ambientalismo nella cultura politica: purtroppo sono contenuti ancora oggi impossibili da rintracciare, in Italia, non solo nell’azione del centro sinistra moderato, ma perfino nell’area della sinistra. A noi trentini è sufficiente osservare l’inconsistente livello di elaborazione e confronto politico presente, su queste tematiche, all’interno dei DS.

Due settimane fa, in Baviera, l’associazionismo alpino si è trovato per confrontarsi sugli effetti del cambiamento del clima sull’arco alpino. Un convegno di alto valore scientifico, un convegno che nei contenuti ha stupito perfino gli ambientalisti. Infatti, pur essendo consapevoli delle importanti conseguenze che il cambiamento del clima porterà sulla vita di ognuno di noi, ben pochi avevano presente la gravità della situazione e la rapidità con cui questa situazione si sta evolvendo.

Non erano solo gli ambientalisti a non aver percepito la gravità della situazione, ma anche gli amministratori pubblici della Baviera, e in modo particolare gli operatori turistici svizzeri, austriaci e tedeschi.

Nei sondaggi presentati da diverse università si raccoglie diffusa la consapevolezza di una realtà che sta cambiando, ma gli operatori del turismo invernale sono ancora convinti che la tecnologia offrirà una risposta a qualunque emergenza, e che comunque, per i prossimi cinquant’anni, non sia indispensabile intervenire con modifiche sostanziali del modello di sviluppo delle realtà sciistiche alpine: non si ha, insomma, la minima percezione di una situazione di crisi già in atto e viene così a mancare la motivazione forte che porti ad investire in altre strategie, in altre nicchie di mercato.

Ma vediamo alcuni dei passaggi più importanti emersi dal convegno. La valutazione più ottimistica dell’evoluzione climatica in Europa lascia prevedere nei prossimi cinquant’anni un aumento medio della temperatura di 2 gradi centigradi, mentre nel secolo scorso l’aumento della temperatura media è stato di 0,6°C.

Vedretta di Ambiez.

Sull’arco alpino l’aumento della temperatura media è stato più elevato, 0,9°C: nei soli ultimi 30 anni l’aumento è stato di ben 0,6°C. Si prevede che nei prossimi 50 anni sulle Alpi si assisterà ad un ulteriore aumento medio della temperatura di 4°C, fatto dovuto alla topografia della regione e al combinarsi di fattori specifici non presenti nelle pianure.

Anche se fossimo capaci di fermare da subito l’emissione dei gas serra in atmosfera, queste proiezioni non sarebbero modificate. I gas serra attualmente presenti impiegano comunque 120 anni per venire abbattuti.

Ma la situazione non evolve in positivo: nel 2005 l’aumento del rilascio dei gas serra in atmosfera è stato dell’1,7%, e si prevede che nel 2030 si arriverà all’aumento del 53% di emissioni.

L’anno 2005 è stato l’anno più caldo mai registrato e scientificamente documentato.

Siamo dunque in presenza di un trend che al momento non siamo capaci di evitare: è un treno già partito che al momento possiamo solo rallentare nella velocità. Ma non c’è dubbio alcuno: come è stato ricordato, il clima di domani è il nostro compito dell’oggi, immediato.

Alcune ripercussioni dei mutamenti climatici in atto li stiamo percependo in modo diretto: eventi catastrofici in grande aumento, sbalzi improvvisi di temperature, il progressivo ritiro dei ghiacciai, la scarsità di acqua potabile.

Rimangono da studiare gli effetti sociali, economici ed ambientali di tale mutamento climatico; ma lo studio dei nuovi scenari che si sono già aperti sembra non interessi chi di dovere, e il mondo politico rimane spettatore, incapace di progettualità nuove.

Sono ormai vent’anni che le compagnie assicurative americane aumentano le polizze relative alle catastrofi ambientali: i costi assicurativi sono triplicati. Ed oggi anche le assicurazioni europee sono sempre più restie ad assicurare edifici o aziende su eventi catastrofici dovuti al clima. E quando lo fanno, propongono polizze economicamente sempre più impegnative.

Ghiacciaio della Marmolada.
Ghiacciaio della Marmolada.

Riguardo ai cambiamenti climatici, le zone oggi più fragili sono quelle che hanno investito nella monocultura sciistica, che vivono sulla stagione invernale e hanno sottovalutato l’importanza strategica del turismo estivo. In tempi brevissimi si passerà dalla media ottimale di 100 giorni sciabili l’anno ai 70, con la perdita, in soli 20 anni, di 14 giorni sciabili. Quanto all’innevamento artificiale, esso non riuscirà ad offrire risposte qualitativamente serie al problema, anche in presenza di una tecnologia più raffinata. Chi oggi rimane legato alla proposta del potenziamento delle aree sciabili fra pochissimi anni dovrà trovare ulteriori risorse economiche nella loro gestione, sia per l’aumento dei costi energetici dell’innevamento artificiale, che per i temi che si apriranno sul fronte della sicurezza. Mantenere efficiente il circo dello sci, ad altitudini comprese fra i 1.000 ed i 1.700 metri, sarà impossibile, le stagioni copriranno un arco temporale variabile fra i 30, al massimo cinquanta giorni utili.

Ma sarà tutto l’arco alpino a dover subire conseguenze importanti, ed i segnali già si leggono con chiarezza. Nel periodo tra il 1980 ed il 2005 si sono verificate nel mondo oltre 15.000 disastri, una media di 6-800 l’anno. Di questi, solo il 15% non è dovuto alla meteorologia (terremoti o vulcani); oltre un milione e mezzo sono i morti accertati, due terzi dei quali dovuti a catastrofi meteorologiche: i costi umani e economici sono dunque sempre più elevati.

Sulle Alpi sono aumentati i disastri dovuti ad alluvioni, le frane si diffondono, colpiscono anche le alte quote e stanno imponendosi in modo repentino modifiche sulla copertura vegetale dei suoli, con tempi tanto veloci da coprire una sola generazione, 25 –30 anni. Alla luce di questi dati, prima di costruire si dovrebbe quindi cominciare a prevedere gli effetti delle nuove urbanizzazioni nell’arco di almeno 50-100 anni. Va anche tenuto presente che ogni infrastruttura nuova imposta alla montagna porterà conseguenze a valle, fino alle pianure. Andrebbero quindi avviate politiche solidali della pianura verso gli abitanti della montagna, ma anche con un ritorno inverso. Nei momenti decisionali si dovrebbero coinvolgere tutti gli attori: il mondo imprenditoriale certo, ma anche e specialmente la società civile per arrivare a costruire scelte condivise e ben ponderate.

Ghiacciaio del Nardis.

Bisognerebbe investire solo nel potenziamento ed allungamento delle stagioni estive, anche per offrire spazi di fuga, di ricreazione ai milioni di cittadini che affollano le città sempre più invivibili. Laddove la politica sceglie l’irresponsabilità, dovrebbe essere il settore turistico capace di investire in etica. Ma fino ad oggi, su tutto l’arco alpino, il turismo (operatori ed agenzie) anziché agire, reagisce agli eventi: si è inserito in una miope logica e cultura della sopravvivenza, del banale adattarsi senza alcuna capacità di programmazione per il futuro. Oggi la pubblicità, ovunque, fa ancora leva sul sensazionalismo, su messaggi falsi che offrono una montagna in libertà, priva di limiti. E la politica asseconda questo messaggio.

I torrenti rimangono canalizzati, privati della loro naturalità e di spazio, si costruisce fino in alta quota, con il potenziamento della viabilità e la costruzione di costosissime nuove autostrade si incentiva l’uso dell’auto privata, non si investe nella cultura del paesaggio, nella storia, nell’identità autentica delle popolazioni di montagna; come abbiamo detto più volte, su tutto prevale il folclore, la maschera più banale di una popolazione, la cultura riassunta in osceni Bignami ad uso e consumo del turista più disattento.

Ma ci sono anche esempi di riposta positiva, di sperimentazioni anche consolidate. Abbiamo già detto della presa di coscienza di parte del mondo politico dei paesi del Nord Europa, una coscienza che travalica lo steccato fra appartenenze di destra e sinistra. Si stanno diffondendo esempi di turismo durevole, esempi che vanno oltre la sperimentazione di alcune aziende del settore agricolo e che diventano progetti condivisi dei comuni e di intere vallate (il progetto Dynalp, Alpen Pearls, ecc.). Ma è nel settore energetico che troviamo le dinamiche innovative più interessanti.

Mentre in Trentino si fatica perfino ad investire nelle case clima, nelle Alpi del Nord la politica incentiva l’edilizia pubblica e privata a consumo energetico zero (case passive), i comuni di intere regioni costruiscono con orgoglio alleanze fra studi professionali, artigianato, media industria per abbattere in ogni passaggio della vita umana i consumi energetici, si riprogettano situazioni di crisi idrogeologica superando errori e sottovalutazioni del recente passato, si investe in cultura, in cultura vera.

Nel Trentino siamo lontani e culturalmente fermi. Si legge della riproposizione dei progetti sciistici di Passo Rolle, della Marmolada, le autentiche follie di Lastebasse, Tremalzo o Panarotta, si parla ancora di Valdastico mentre le popolazioni ed i sindaci delle valli dell’Inn chiedono il superamento definitivo del traffico merci su gomma, su ogni rivo si diffondono centraline idroelettriche, e riguardo le case clima non si è nemmeno capaci di copiare il pur limitato passo compiuto dalla vicina Bolzano.

Come hanno più volte denunciato i docenti delle università alpine, sul tema del cambiamento climatico la politica rimane irresponsabile.