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America: dissenso e patriottismo

Mentre si esporta la democrazia, le restrizioni delle libertà sono all’ordine del giorno, oggi per i musulmani come ieri per i giapponesi. Da L’altrapagina, mensile di Città di Castello.

Questo Paese, gli Stati Uniti d’America, è stato fondato da una rivoluzione che l’ha innalzato a simbolo, incarnazione universale di libertà. Jefferson a suo tempo parlò di "Impero della libertà". Secondo questo mito fondativo l’America è costitutivamente un paese diverso dal resto del mondo; libero dalla tirannia, è il luogo nel quale tutti avranno l’opportunità di godere della libertà personale, politica, economica. Una terra di libertà e uguaglianza, con la missione, o la responsabilità, di diffondere questo ideale in tutto il mondo, attraverso l’esempio, o la conquista.

Eric Foner

Nella storia degli Stati Uniti questo linguaggio, questa ideologia è stata spesso fatta propria dai gruppi oppressi. Il movimento dei neri, delle donne vi hanno fatto riferimento per chiedere maggiori diritti e per denunciare l’ipocrisia fra il linguaggio dell’uguaglianza e la realtà dell’inuguaglianza. Evidentemente lo status dei neri oggi è diverso da quello che avevano cent’anni fa. Questo è innegabile. Ma è altrettanto vero che oggi stiamo vivendo un periodo di grandi restrizioni delle libertà. Oggi i musulmani e i mediorientali hanno molti meno diritti degli altri gruppi, negli Stati Uniti. Tuttavia molta gente pensa di non aver niente a che fare con questo, e per il momento è vero: nessuno verrà mai a cercarmi per mettermi in galera senza una precisa imputazione, senza darmi un avvocato; questo oggi capita solo ai musulmani. Così la maggior parte della gente dice: "Sono loro il problema".

Quell’ideologia di cui dicevo però è ancora profondamente radicata nella cultura americana. Lo stesso presidente Bush usa spesso questo linguaggio. Si tratta del famoso "sogno americano". Ovviamente, anche a quel tempo questa era appunto un’ideologia, non una realtà. Il Paese allora si fondava sulla schiavitù, anche economicamente, e gran parte delle persone erano escluse da quell’ideale di uguaglianza e libertà. Anche oggi permane un regime di profonda disuguaglianza negli Stati Uniti: alcuni hanno un po’ più di libertà di altri. Ma l’ideologia mantiene una forza molto potente nel linguaggio e nella politica americana, per quanto gli Stati Uniti siano lungi dal rappresentare la personificazione della libertà nel mondo. Il nostro è un paese dalla mentalità "insulare", per così dire, e isolazionista: la maggior parte degli americani sa pochissimo del resto del mondo; pensa che l’America rappresenti la libertà, e che quindi chi critica gli Stati Uniti lo faccia solo perché odia la libertà; per questo hanno attaccato il World Trade Center.

L’attentato alle Due Torri ha riaperto il dibattito sul rapporto tra libertà e sicurezza. Il dopo 11 settembre da questo punto di vista resta un laboratorio straordinario. All’indomani dell’attacco al Wtc, ci è stato comunicato che le regole erano cambiate. E la gente, sotto shock, ha delegato qualsiasi iniziativa a chi prometteva sicurezza. Il rapporto tra sicurezza e libertà è stato stravolto. E così è passato il Patriot Act, che in seguito è diventato oggetto di pesanti critiche, ma lì per lì nessuno l’ha messo in discussione. Anche perché, come dicevo, le restrizioni apparentemente riguardavano solo gli "altri".

In nome della sicurezza si sono fatti diversi passi indietro rispetto alle libertà civili. Quest’amministrazione ha promosso un senso di paura costante, con continui allarmi rispetto all’eventualità di attacchi sempre imminenti. Evidentemente sapevano che, come dappertutto, la paura batte la libertà. Fra la sicurezza e la libertà, la gente sceglierà sempre la sicurezza.

Intendiamoci, non voglio dire che non ci siano minacce esterne. In concomitanza con ogni guerra americana ci sono state delle restrizioni delle libertà. Va però anche ricordato che tali restrizioni, quasi sempre, sono andate ben oltre la misura necessaria per condurre una guerra.

Questo, tra l’altro, introduce un’altra contraddizione: oggi, infatti, si erodono i diritti qui e si esporta la democrazia all’estero; si restringono le libertà a casa in nome dell’esportazione della libertà altrove. Purtroppo, viviamo in un mondo pericolosamente miope, in cui la gente non vede oltre il proprio giardino, non conosce il resto del mondo, neanche immagina che da fuori ci criticano e se lo fa interpreta l’opposizione in modo paranoico: "Odiano la nostra libertà". La nozione di "comunità internazionale" non esiste negli Stati Uniti.

Ovviamente questo atteggiamento è reso possibile dal fatto che, come ho detto, solo in pochi sono stati toccati dalle restrizioni. La gente può ancora permettersi di pensare che la restrizione delle libertà non li riguardi. Così, in nome della protezione, la maggioranza accetta di tutto, anche arresti sommari, basta paventare la minaccia di un attacco terroristico…

Il diritto al dissenso gode di una tradizione molto forte in America, anche se non quanto la gente sembra credere. Infatti abbiamo anche una lunghissima tradizione di soppressione del dissenso. A partire dal movimento abolizionista, il movimento dei lavoratori, il movimento dei diritti civili, il movimento del controllo delle nascite, tutti, in vari periodi, sono stati impediti dall’esprimere le proprie idee. Quello che è cambiato, è che mentre nel passato il più grande pericolo per il diritto di protesta veniva dal governo (pensiamo al periodo di McCarthy), oggi la gente non viene più messa in prigione per quello che dice. Il pericolo per il diritto di protesta viene ora soprattutto da gruppi privati, organizzati in modo da intimidire la gente: chiunque faccia pubblicamente una critica all’amministrazione viene bombardato da minacce, articoli, e-mail che ti accusano di essere antiamericano o addirittura un agente del nemico. E questo può diventare molto fastidioso, per usare un eufemismo.

Ma non è un’azione governativa, per quanto incoraggiata dal governo. Si tratta di potenti gruppi privati, per lo più conservatori, mobilitati per mettere a tacere, prevalentemente attraverso delle intimidazioni, tutti coloro che sono in disaccordo con loro. E’ una modalità inedita nella storia americana.

E l’aspetto inquietante è che sta coinvolgendo anche i campus. Alla Columbia University, in particolare, oggi ci sono studenti, incoraggiati da gruppi esterni, che minacciano e attaccano i docenti che hanno un punto di vista diverso riguardo al Medioriente. I docenti considerati filo-palestinesi, o comunque non imparziali, sono sotto attacco. C’è proprio una campagna affinché siano licenziati o comunque impediti dall’insegnare, in quanto non insegnerebbero bene. Solo il punto di vista filo-israeliano ha cittadinanza. E, di nuovo, non è il governo a farlo, e nemmeno l’università.

Quando è iniziata la guerra in Iraq, io ho espresso la mia opinione di fermo dissenso. Ebbene, nel giornale locale è uscito un articolo dal titolo "Professori che odiano l’America": eravamo in sei, io ed altre cinque persone. E quest’atmosfera intimidatoria continua. Girano anche delle specie di liste nere, così i fantomatici "patrioti" possono denunciarli, se non anche peggio. Esiste perfino un sito, www.discoverthenetwork.org, che riporta una lista di persone anti-americane o anti-israeliane con tanto di foto. Oltre a me, ci sono professori, avvocati, militanti dei diritti umani e civili, ecc. (…)

Molti pensano che il patriottismo sia sinonimo di appoggio al proprio governo qualunque sia e qualunque cosa faccia. Ma non è così. Ricordiamo Martin Luther King, Mark Twain, o Abramo Lincoln, che si oppose alla guerra del Messico: gli esempi sono molti. Il fatto è che nella teoria, il diritto al dissenso è irrinunciabile, ma nella pratica… In questo senso io credo che, proprio alla luce anche delle spaccature avvenute all’indomani dell’11 settembre, i democratici, la sinistra dovrebbero fare chiarezza e riappropriarsi di questi temi. Dissentire è patriottico, non possiamo accettare il dibattito nei termini in cui è stato imbastito dall’amministrazione Bush. La sinistra radicale ha ormai un riflesso condizionato rispetto alla sola parola patriottismo, perché quella parola è ormai entrata nel patrimonio degli altri, che infatti l’hanno usata in modo cinico e spregiudicato.

Tuttavia io non condivido questa sorta di abdicazione. Non dobbiamo cedere l’ideale del patriottismo alla destra. Dobbiamo invece rivendicare la grande tradizione di protesta portata avanti dai patrioti americani. La critica alla guerra ha una lunga tradizione, quindi non c’è nulla di anti-patriottico in tutto questo. Certo, non è facile, perché i conservatori hanno il controllo del potere, hanno intimidito la stampa, i media. E hanno creato, intelligentemente, questo linguaggio di libertà, democrazia, a loro uso e consumo, per cui ora se attacchi Bush è come se attaccassi l’ideale di libertà, il che è palesemente assurdo.

Abbiamo parlato del Medioriente. Ebbene, da questo punto di vista proprio Israele è un caso istruttivo, perché in quel paese il dibattito quotidiano è franco e spregiudicato. Del resto, un cittadino si dispera di fronte al comportamento del proprio paese proprio perché lo ama. Ecco, negli USA gli israeliani che criticano Israele vengono ugualmente accusati di essere traditori del loro paese. Proprio come avviene con chi critica il governo americano. Il che è una follia. Senza contare il fatto che qui non ti è concesso dire quello che dicono in Israele, altrimenti ti accusano di antisemitismo.