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QT n. 16, 30 settembre 2006 Monitor

The Queen

Mirabile film di Stephen Frears sulla regina Elisabetta alle prese con il fastidioso fenomeno mediatico "Lady D": le contraddizioni tra sentimenti e razionalità, austere tradizioni obsolete e modernità volgare.

Non piange, la regina. La morte di Lady D non è un lutto, è un problema da gestire. Elisabetta II non poteva riuscire ad amare una donna così: troppo popolare, frivola, fotogenica. Troppo poco aristocratica. Troppo poco distaccata dal mondo.

Il distacco, per una casa regale, è infatti una virtù da coltivare. Il mondo può impazzire e il tempo, come sta scritto nell’Amleto, andare out of joint, fuori di sesto; ma la famiglia reale ha un albero genealogico che va indietro di mille anni. Che senso ha scuotere quest’albero per la morte di una sciocca ex principessa?

All’inizio di "The Queen", Elisabetta posa per un dipinto. E’ un gesto del passato. La regina sa benissimo che l’aura, oggi, non si guadagna più così. Che ormai i veri monumenti sono le foto giuste che finiscono sui giornali giusti. Nel seguito del film, la vediamo sdraiata davanti alla tivù mentre guarda un’intervista famosa a Lady D. Due piedi vecchi, secchi, perpendicolari al letto punteggiano l’inquadratura. Elisabetta guarda Diana con un misto di raccapriccio e invidia. Se ne rende conto: quello sì è veramente un ritratto grandioso.

Ma la regina porta avanti un ragionamento di principio che dal suo punto di vista è inattaccabile: una sovrana deve sapersi tener lontana dagli accidenti del mondo esterno. Così la regina, finché può, decide di persistere nel suo atteggiamento: rimane nella residenza estiva, invece di tornare a Buckingham Palace ad onorare il lutto. Ma "The Queen" ci mostra come questa strategia, alla prova dei fatti, non funziona: la regina vede montare intorno a sé un’aria di rivolta. La gente se la prende con la casa reale. E la stampa ci va giù pesante, contrapponendo la principessa dei cuori alla casata dei senza cuore.

Il problema illustrato dal film di Stephen Frears non è da poco: occorre adattarsi ai cambiamenti dei tempi, anche quando sono ritenuti deteriori e peggiorativi? Oppure bisogna rimanere fedeli ai propri principi, con il rischio di sfiorare l’ottusità? E’ facile reclamare una sana via di mezzo. Ma la via di mezzo è un sofferto compromesso, quando si è convinti di essere nel giusto.

Nel film il portatore della terza via è proprio Tony Blair. Il premier viene da una famiglia monarchica, ha soggezione della regina, la stima. L’unica volta in cui alza la voce è per difenderla dai sarcasmi di chi commenta così il comportamento dei reali: "Una manica di scrocconi con cervello e cuore ritardati". Tony Blair ha appena vinto le elezioni. Ha il polso della situazione. E quindi inventa o si fa scrivere una frase sulla "principessa del popolo". E tanto basta. Non occorre ovviamente crederci. Basta comunicare l’impressione di saper gestire il problema, di capire la direzione del vento, di non sottovalutare la commozione popolare.

Il culto di Diana, gonfiato solo dalle copertine e dai gossip, è scemato abbastanza in fretta. Il suo lascito è inconsistente, diversamente dalle star del rock, del cinema, della politica, la cui memoria è perpetuata dalle opere. L’atteggiamento della regina, sui tempi lunghi, non era sbagliato. Ma se si vuol essere popolari, quando il popolo prende uno sbandamento come quello bisogna seguirlo.

E quindi ha ragione Blair: la regina non poteva fare altro. In questo, però, è costretta a rivelare quanto vecchia e inutile sia un’istituzione come la monarchia. La regina non può più permettersi di comportarsi secondo le norme precise ed esatte che la tradizione le impone, le sole alle quali lei sa e vuole adeguarsi. Finisce per essere rimproverata al telefono da un primo ministro. Se così accade, ciò significa che si è ormai solo una ridicola propaggine del passato.

Il popolo britannico che la regina dice di conoscere meglio di chiunque altro appartiene a un’epoca già antica. Nella sua testa coronata, si immagina un popolo probabilmente più intelligente di quello che è. E infatti la regina è costretta ad ammettere: "Sono cambiati i valori. Quando non conosci più il tuo popolo forse è meglio lasciare".

E’ tutto riassunto nelle scene di caccia, quando Stephen Frears ci porta all’aperto, la macchina da presa su un vistoso elicottero, sopra prati verdi. Queste sequenze staccano bruscamente rispetto all’atmosfera visiva costruita nel resto del film – interni di palazzi regali, interni di uffici governativi, riprese televisive… E’ una strana scelta, che vuole aprire uno squarcio simbolico.

La regina rimane impantanata con la jeep che lei guida nel mezzo di un guado. Mentre attende i soccorsi, vede di fronte a lei il cervo che i suoi parenti stanno inseguendo. E ha un gesto molto spontaneo: lo scaccia, per allontanarlo dalle pallottole non troppo lontane. Ma la regina ha la casa piena di trofei venatori. Non fa parte della sua vocazione, avere pietà per i cervi.

La regina andrà in cerca del cervo quando avrà notizia che è stato abbattuto. Lo vede appeso a dissanguare, la testa mozzata. Per un attimo rimane scossa. Poi se ne va, dicendo di porgere i suoi complimenti a chi lo ha ucciso. La regina, toccata, riesce subito a tornare in parte. Non c’è scelta. Pur avendone la tentazione, non può e non vuole cambiare il mondo di valori in cui è cresciuta e in cui crede.

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