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QT n. 18, 28 ottobre 2006 Servizi

La Chiesa ha un nuovo (antico) nemico: la scienza

... e dei nuovi amici: gli atei devoti. Riflessione sulle ultime posizioni della Chiesa, da Ratisbona a Verona, passando per Trento.

In queste ultime settimane importanti avvenimenti hanno segnato la vita della Chiesa: in particolare il viaggio del Papa in Baviera con il discorso all’Università di Ratisbona (intervento noto soprattutto per le polemiche con il mondo islamico, ma in realtà fondamentale per altri motivi) e il IV Convegno ecclesiale di Verona, nel quale la Chiesa italiana ha fatto un bilancio degli ultimi dieci anni. Negli stessi giorni degli incontri di Verona, qui a Trento si è svolto un interessantissimo convegno, organizzato dall’Istituto italo-germanico guidato da Gian Enrico Rusconi, dal titolo “Lo Stato secolarizzato e le sue trasformazioni oggi” in cui si è parlato di laicità, giurisprudenza italiana ed europea, rapporti tra gli stati e le confessioni religiose, problema dell’immigrazione e infine, l’ultimo giorno, l’attenzione si è incentrata sul “caso Italia” cioè sui delicati rapporti tra la politica e la Chiesa.

Per commentare le novità e le conferme emerse nel Convegno ecclesiale di Verona ci rifacciamo all’intervento svoltosi venerdì 20 ottobre all’ITC (evento praticamente cancellato o mal interpretato dai giornali locali) del professor Alberto Melloni, membro della Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII di Bologna, e docente di Storia contemporanea all’Università di Modena e Reggio Emilia. Cattolico, ma odiatissimo dalla destra cattolica per i suoi interventi su Pio XII, fautore di una Chiesa non dimentica del Concilio Vaticano II, critico sul corso odierno della Chiesa italiana, Melloni è oggi uno dei più importanti e scomodi esperti di cattolicesimo.

La “sana” laicità. All’inizio del suo intervento, il professore ha riflettuto su ciò che ha definito come “disagio di vocabolario” presente spesso nella Chiesa cattolica quando si tratta di prendere posizione su termini abbastanza scomodi. E’ accaduto a Pio XII quando nel 1958 tentò di lavorare sulla parola laicità. Il Papa, entrando in una zona grigia, fece ricorso all’aggettivo “sana laicità”, come anni prima si era parlato di “vera democrazia”. Nel 1968 invece Paolo VI, dopo il Vaticano II, parlava della laicità senza aggettivi attribuendo questa parola alla necessità dell’autonomia delle varie attività umane nei loro rispettivi ambiti.

Benedetto XVI, in una lettera manoscritta a Marcello Pera (un episodio che il Papa “si poteva risparmiare”, osserva sarcasticamente Melloni), parla di “legittima e proficua sana laicità”: è sottinteso che chi decide se un comportamento è positivo o negativo è lo stesso magistero cattolico.

Il concetto di “sana e positiva laicità”, aggiungiamo noi, è stato ripreso a Verona sia dall’intervento del pontefice sia da quello, conclusivo, del cardinal Ruini. Un discorso, quest’ultimo, privo di importanti novità: né erano attese, visto che la linea Ruini è risultata trionfante soprattutto dopo il referendum sulla procreazione assistita. Squadra che vince non si cambia: il successore del cardinale (Ruini lascerà a breve per raggiunti limiti di età) non modificherà di una virgola la strategia generale.

Come al solito, nel suo intervento a Verona, spaziando dal terrorismo alla questione meridionale, dalle radici cristiane alla “questione antropologica” (bioetica soprattutto), il cardinale ha fatto un discorso molto politico, parlando della laicità “in virtù della quale le realtà temporali si reggono secondo norme loro proprie e lo Stato è certamente indipendente dall’autorità ecclesiastica, ma non prescinde da quelle istanze etiche che trovano il loro fondamento nell’essenza stessa dell’uomo”. Un discorso complesso, ma che volgarmente può essere tradotto con questo slogan: la politica è autonoma nei limiti decisi da noi. Da questa base, le richieste sulla scuola cattolica, il divieto di riconoscere a livello giuridico e legislativo “forme deboli di amore”, la condanna di aborto e eutanasia, e il richiamo alla tutela dell’identità cristiana cattolica.

Chiesa e Stato italiano: un secolo di incomprensioni. Questa difficoltà della Chiesa di rapportarsi con il mondo laico nasce dalla traumatica fine del potere temporale dello Stato della Chiesa nel 1870. Allora quell’avvenimento fu vissuto come una catastrofe, come la vittoria delle forze dell’ateismo che “volevano togliere la corona al Papa per togliere la corona a Dio”. La condanna dello Stato liberale e democratico era totale e senza possibilità di appello. Ma questo non fu che il primo scivolone (Melloni lo ha chiamato “bastonata”) che la Chiesa ha subìto nella comprensione dei positivi cambiamenti politici italiani: cento anni dopo la breccia di Porta Pia, Paolo VI parlò di un evento provvidenziale che aiutò la Chiesa a cambiare e a scoprire il senso proprio del messaggio evangelico. Ma dopo la revoca del non expedit (il divieto per i cattolici di fare politica nello Stato unitario) e una solenne marcia indietro rispetto agli anatemi di Pio IX, doveva verificarsi un altro errore di valutazione ancora più drammatico e disastroso: l’appoggio più o meno evidente al fascismo, soprattutto dopo i Patti Lateranensi del 1929.

Alla fine della guerra, dopo la liberazione, la Chiesa puntò tutto sulla Democrazia Cristiana: per lunghi anni il rapporto funzionò sostanzialmente bene, fino alla catastrofe morale e politica di Tangentopoli e la conseguente conclusione brusca dell’unità politica dei cattolici. Tuttavia - continua il professor Melloni - in questi decenni, non c’è stata una chiara presa d’atto del bene che ha fatto alla Chiesa la secolarizzazione dello Stato.

Oggi la strategia è cambiata (senza partito, la Chiesa italiana di Ruini continua ad aumentare la sua influenza nella politica, come si è visto nella processione di esponenti politici alla messa celebrata dal pontefice allo stadio): la CEI, in un certo modo, detta, su alcuni temi che progressivamente aumentano di numero, l’agenda politica. E il cardinal Ruini è arrivato persino a lamentarsi che l’obiettivo dell’unità politica dei cattolici sui valori irrinunciabili “sia stato mancato in larga misura nel decennio scorso”: una stoccata per quei cattolici non ancora completamente allineati. Messo da parte l’insegnamento conciliare della “Gaudium et spes” (al n.76 si legge che la Chiesa “non pone la sua speranza nei privilegi offertigli dall’autorità civile. Anzi, essa rinunzierà all’esercizio di certi diritti legittimamente acquisiti, ove constatasse che il loro uso può far dubitare della sincerità della sua testimonianza”), la Chiesa cerca di nuovo, per esempio nel settore della scuola (a Verona il Papa ha detto che bisogna togliere ostacoli anacronistici alle scuole private cattoliche), un trattamento privilegiato, ma incompatibile con la democrazia liberale. Secondo la Costituzione i privilegi dovrebbero invece essere attribuiti a tutti e quindi diventerebbero diritti.

Frenare la scienza nel nome del diritto naturale. Un’altra parola che suscita grande confusione ma che diventa il fondamento di gran parte della morale cattolica è il cosiddetto diritto naturale. La Chiesa - riprendiamo il ragionamento di Melloni - si sente depositaria di quello che è giusto fare e pensare secondo natura, cioè secondo quella legge razionale e universale che coincide anche con la legge di Dio. Il compito a cui la Chiesa si sente chiamata è quello di difendere a tutti i costi l’uomo dai suoi nemici. E qui il professore si dimostra deciso e controcorrente, affermando con una nettezza micidiale che i nemici della Chiesa sono oggi gli scienziati, come un tempo erano i massoni, gli ebrei e i socialisti. Gli scienziati vanno criminalizzati e combattuti perché stanno complottando contro l’uomo e la natura. In particolare deve essere condannata la scoperta scientifica, come nel 1800 venivano criticati i vaccini e successivamente gli antibiotici e i trapianti di organo.

Bisogna notare con molta evidenza che la Chiesa non si muove in nome delle proprie verità di fede, non parla partendo da una prospettiva confessionale, ma pretende di difendere razionalmente l’uomo indicando quali comportamenti e quali scelte sono confacenti alla sua “natura”. La visione di Benedetto XVI per cui “il nucleo della fede cristiana è dentro alla razionalità” entra, secondo Melloni, in maniera decisa nella realtà culturale e politica italiana, storicamente segnata, come si è visto, dalla difficoltà- del rapporto Stato-Chiesa.

Il cardinal Dionigi Tettamanzi.

In questo quadro, in cui la fede è secondaria rispetto alla condivisione razionale della diagnosi ratzingeriana sulla crisi di identità dell’Occidente, non sorprende che la presenza di non credenti che tuttavia avvertono il pericolo della perdita delle radici cristiane venga vista molto positivamente dal Papa (la critica a una razionalità chiusa in se stessa “viene formulata espressamente e con forza da parte di molti e importanti uomini di cultura, anche tra coloro che non condividono o almeno non praticano la nostra fede”). Oriana Fallaci, Giuliano Ferrara e Marcello Pera, gli atei devoti, sono così più vicini alla Chiesa di quei credenti in Gesù Cristo, che magari non parlano di identità, presenza, visibilità, valori non negoziabili. Una posizione sottoscritta con entusiasmo da Ruini e confermata al Convegno di Verona nonostante le parole antitetiche del cardinale Tettamanzi, che invitava a guardarsi da chi si professa cristiano solo a parole.

Nella Chiesa odierna gli atei devoti hanno per sé un importante pulpito. Un pulpito rappresentato dal “Foglio” che, nota senza margini di dubbio Melloni, ha due compiti specifici: fermare gli scienziati e fermare quel turpe abominio chiamato multiculturalismo.

Su quest’ultimo punto, il rapporto con le altre religioni, il Papa, nonostante il grave errore di comunicazione del discorso di Ratisbona, è chiaramente attento a difendere “l’identità dell’Occidente”, “le radici cristiane dell’Europa”, ma non crede affatto allo scontro di civiltà: per lui il pericolo non è rappresentato dal risveglio religioso dell’Islam, bensì dalla ragione scientifica che fa senza Dio. E questo è ritornato con forza a Verona, dove la via del dialogo con il mondo musulmano è stata ribadita nuovamente, anche se con accenti diversi rispetto a qualche anno fa.