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Splendori del Risorto

A Verona, iconografia della Resurrezione in mostra fino al 7 gennaio.

A Verona, presso il poco conosciuto Museo Miniscalchi Erizzo, è in corso una interessante mostra dedicata all’iconografia della Resurrezione. Non sorprenda il tema pasquale quando manca poco più di un mese a Natale; la Resurrezione è stato infatti il tema al centro del recente convegno nazionale della CEI, promotrice dell’iniziativa, tenutosi appunto a Verona. Alla mostra che ora presenteremo ne sono state affiancate altre, inerenti l’arte religiosa contemporanea, ma che per il tono minore delle opere esposte preferiamo trascurare.

La monotonia iconografica è stata puntigliosamente frammentata nella successione delle sale in sottili varianti del mainstream, dagli incontri col Risorto al rapporto Resurrezione-liturgia; pedanterie che comunque nulla tolgono alla godibilità delle opere esposte, molte delle quali di enorme interesse e non certo facili a vedersi, o perché celate in impenetrabili sacrestie, o perché, collocate al centro di mastodontici altari, sono impossibili da leggersi a una ravvicinata distanza. Un centinaio le opere esposte, provenienti da Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige, conservate per la maggior parte ancora nel loro contesto ecclesiastico d’origine, come l’opera posta in apertura di percorso. Si tratta di un grande crocifisso ligneo del secondo quarto del Duecento, proveniente dalla cattedrale di Trieste, interessante esempio di scultura ad altorilievo, ovvero a metà strada tra i classici crocifissi a tutto tondo e le antiche croci dipinte. Un polittico in alabastro di inizio Quattrocento, di ambito inglese, documenta invece il fiorente commercio in tutta Europa di tali manufatti, che venivano inseriti in cornici lignee spesso chiuse da battenti e che furono proibiti nella loro terra d’origine da un bando di Edoardo VI, nel 1550. Sempre sul versante scultoreo, segnaliamo il Cristo Risorto ligneo di struttura ancora tardogotica del Museo Diocesano di Bressanone, realizzato dalla bottega di Hans Klocker; quello di gusto rinascimentale e antiquariale proveniente dalla cattedrale di Treviso, opera in marmo di Carrara di Giambattista Brigno; quello di dimensioni monumentali realizzato da Filippo de Porri e proveniente dalla concattedrale di Pordenone.

Il cuore della mostra è però nel ricco nucleo di dipinti, scandito da alcune notevoli opere, soprattutto cinquecentesche, segnate da un forte piglio narrativo. E’ questo il caso dei Sacri Misteri di Paris Bordon (dalla cattedrale di Treviso), ove alla Resurrezione sono affiancate altre scene sacre, dell’Annunciazione all’Assunzione della Vergine, oppure dell’Incontro sulla strada di Emmaus (tema raccontato nel Vangelo di Luca), opera di Domenico Tintoretto. Fra le tele cinquecentesche più interessanti, segnaliamo pure le pale d’altare di Palo Farinati, Domenico Brusasorzi, dei Bassano e del Pordenone, mentre per il Seicento i lavori più interessanti sono forse quelli degli artisti che riprendono la lezione caravaggesca, come Luca Giordano (la sua Resurrezione, proveniente dal Santuario di Monte Berico a Vicenza, è tra le opere più intense in mostra), o, in ambito locale, il veronese Marcantonio Bassetti.

Giambattista Tiepolo, Resurrezione di Cristo. Udine, Cattedrale.

Dall’oscurità seicentesca al luminismo etereo del Settecento, ove spicca, su tutte, la Resurrezione di Giambattista Tiepolo, proveniente dalla Cattedrale di Udine e quadro-emblema della mostra. Dello stesso artista è esposta pure una piccola teletta monocroma, proveniente dalla chiesa di S. Stefano a Vicenza e utilizzata come sportello del tabernacolo dell’altare maggiore. D’un luminismo barocco quanto nordico sono segnati invece i dipinti di Johann Michael Rottmayr (dal Museo Diocesano di Trento), di Ignazio Unterperger (dal Castello del Buonconsiglio) e di Martin Knoller (dalla chiesa benedettina di Muri Gries, presso Bolzano).

Una breve sezione a carattere prettamente archeologico, ove tra le altre cose troviamo alcuni mosaici provenienti da Aquileia, un’acquasantiera del VI secolo e il celebre calice del diacono Orso, del VI secolo (da Lamon), introduce alla sezione dedicata alle arti applicate. Tra queste, le più interessanti sono senz’altro quelle di oreficeria, documentate soprattutto da calici e ostensori, da gustare appieno a distanza ravvicinata, per cogliere tutti i piccolissimi particolari figurati, realizzati a sbalzo, incisi oppure fusi. Un altro microcosmo narrativo è quello rappresentato dai libri, illustrati sia da delicate miniature che da incisioni, senza dimenticare la pregevole legatura posta in apertura del percorso, gotica ed ornata di smalti cloisonné e champlevé (dalla Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia).

In conclusione, suggeriamo di visitare nuovamente il museo, a mostra conclusa. Dietro l’accecante allestimento, più consono a una corsia ospedaliera che a una sala espositiva, sono celate infatti le eclettiche collezioni un tempo appartenute alla famiglia veronese Miniscalchi, fatte di mobili, porcellane, avori, bronzetti e un piccolo gruppo di dipinti.

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