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QT n. 1, 13 gennaio 2007 Monitor

Sulle tracce delle danze popolari

A Trento il Balletto Nazionale della Georgia e la Honvéd Dance Company di Budapest, portano la ricchezza e il fascino delle danze popolari, momento di riappropriazione di cultura e tradizioni. Attraverso i due filoni: la ricerca filologica, e l'evoluzione stilistica.

Il 2007 è iniziato a Trento con un insolito quanto acclamato revival della danza di tradizione popolare, grazie alla presenza di due importanti corpi di ballo provenienti dall’Est, il Balletto Nazionale della Georgia e la Honvéd Dance Company di Budapest, esibitisi rispettivamente al Teatro Auditorium e al Teatro Sociale. Compagnie d’impronta differente, ma avvicinabili per modalità esecutive comuni ed affinità d’intenti: in primis la riscoperta e la promozione, attraverso musica e danza, delle proprie radici e della propria identità culturale.

Si è trattato di due spettacoli tecnicamente ineccepibili nonché estremamente affascinanti e travolgenti dal punto di vista espressivo, capaci di conquistare immediatamente il favore del pubblico che, fin dall’inizio, ha accompagnato con applausi -anche troppo frequenti- le evoluzioni dei ballerini. La riscoperta della danza passa anche attraverso la ripresa delle musiche, dei canti e dei costumi tradizionali; entrambe le rappresentazioni, estremamente essenziali dal punto di vista scenografico, sono state infatti arricchite dalla presenza in scena delle rispettive orchestre, nonché dallo sfoggio e dal continuo cambio di abiti sontuosi e variopinti. Altri comuni elementi di costume, le eleganti acconciature delle danzatrici, caratterizzate da lunghissime trecce sciolte sotto i veli, e gli stivali alti degli uomini, utilizzati in maniera poco convenzionale dai ballerini georgiani per le loro audaci esibizioni in punta di piedi. Simili anche i pochi ma efficaci elementi scenici, legati soprattutto ai rituali di lotta e di corteggiamento: fazzoletti e foulard sfrangiati per le donne, bastoni e pugnali per gli uomini. Reminiscenze di un passato comune che, dal Caucaso ai Carpazi, tenta con coraggio di aprirsi nuove e più spettacolari strade.

Ciò che permette di accostare molte di queste manifestazioni è l’ottica particolare con cui viene attuata la riscoperta della tradizione, caratterizzata sia da un’attenta ricerca filologica sia dalla volontà di rivitalizzare in forme più moderne ed accattivanti il ricco patrimonio delle danze popolari. Obiettivo non secondario è infatti quello di educare le nuove generazioni alla conoscenza della propria specificità culturale, in paesi come la Georgia o l’Ungheria, dove la danza sembra ancora essere una tradizione viva e spontanea, trasmessa di generazione in generazione a livello familiare, ma anche come materia di insegnamento nella scuola pubblica. Tutt’altro quindi che fenomeni locali, bensì discipline praticate da gran parte della popolazione e supportate -se non addirittura fomentate- dal sostegno dello stato, come dimostrano il titolo di “Artisti del Popolo dell’URSS” ricevuto in passato dal Balletto Nazionale della Georgia, o il nome stesso della compagnia ungherese, fondata nel dopoguerra per iniziativa diretta dell’allora Ministro della Difesa: honvéd, ovvero “difensori della patria”. Manifestazioni d’orgoglio nazionale non solo fini a se stesse ma volte al contrario ad una promozione a vasto raggio della cultura popolare, sancita dal crescente successo internazionale di entrambe le formazioni. Non si tratta neppure di operazioni puramente commerciali, visti i rigorosi intenti educativi e la passione con cui vengono portati avanti da personaggi come Iliko Sukhishvili, nipote dei fondatori del balletto georgiano, e Ferenc Novàk, etno-musicologo, coreografo e ricercatore, vera anima della compagnia di ballo ungherese.

Il caloroso e generale consenso del pubblico stupisce positivamente, soprattutto nei confronti di forme di danza tradizionali che, quando non “nobilitate” come in questo caso da una messa in scena teatrale, vengono solitamente tacciate di provincialismo e relegate nell’ambito delle manifestazioni -più o meno nostalgiche e variopinte- del folklore locale. Atteggiamenti e ottiche differenti che risentono, nei paesi dell’Occidente europeo e soprattutto in Italia, dell’incipiente livellamento culturale imposto dai meccanismi della globalizzazione, nel campo della danza particolarmente invadenti. Sopravvivono danza classica e contemporanea, anche se sempre e comunque legate ad una fruizione d’élite, mentre sono quasi del tutto scomparse le forme realmente autoctone di ballo popolare, travolte dalla massiccia importazione di mode e stili più commerciali e “televisivi”. Si registra però ultimamente, soprattutto nelle aree del centro-sud più interessate alla difesa della propria specificità culturale, qualche fenomeno di resistenza e di riscoperta delle danze tradizionali, di cui si tendono a valorizzare prevalentemente le potenzialità di comunicazione e aggregazione popolare.

Esemplare è il caso della “pizzica” nella zona del Salento, il cui recupero, grazie soprattutto alla “Notte della Taranta”, è divenuto di recente un vero e proprio evento mediatico, capace di richiamare ogni anno nel piccolo centro di Melpignano decine di migliaia di persone sedotte da quest’arcaica forma di danza collettiva.

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