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QT n. 1, 13 gennaio 2007 Servizi

Politica della famiglia: realtà o chiacchiere?

La politica della Giunta Dellai: strade sì, asili no. Questione di lobby? O di una visione economicista della società?

L’ultimo caso, la classica goccia nel vaso colmo, si è avuta nella Giunta provinciale di fine anno, in quella resa famosa dall’assessore Grisenti con una delibera che graziosamente distribuiva ai Comuni 50 milioni del fondo di riserva (vedi a p. 6). Contemporaneamente infatti la Giunta deliberava un aumento delle tariffe delle scuole materne. Vediamo come.

L’orario di apertura delle materne è dalle 8.30 alle 15.30, poco compatibile coi tempi di genitori che lavorano. Per venire incontro a queste esigenze, c’è la possibilità di anticipare e\o prolungare l’orario, rispettivamente alle 7.30 e fino alle 17.30. Queste extra-ore sono vincolate alla richiesta di un numero minimo di bambini (da 6 a 8) e sono a pagamento. Come giusto. La delibera della Giunta che fa? Triplica, quasi, la tariffa.

Non si tratta di cifre in sé clamorose (da 78 euro all’anno a un massimo di 180 per ogni ora di prolungamento); ma, peggio, di un ultimo episodio all’interno di una linea politica che non si può pensare casuale.

Anzitutto è evidente come questo aumento vada a colpire le famiglie dei lavoratori, in particolare quelle in cui la madre lavora.

Infatti a una famiglia benestante, in cui la donna non lavora o fa un lavoro elastico e part time, l’anticipo e prolungamento del nido interessa poco o punto: la signora borghese non si alza alle 6.30, e al pomeriggio il proprio figliolo giustamente preferisce accudirlo lei. La delibera, a dire il vero, non è perversa, e gradua gli aumenti in funzione della ricchezza familiare (in base all’indicatore Icef). Ma ormai conosciamo come vanno queste cose: per i più disagiati gli aumenti saranno esigui o nulli (bene), ai ricchi la cosa non interessa, e quelli che stanno in mezzo (il 50% secondo le stime della Cgil) si troveranno a pagare l’aumento massimo, 180 euro all’ora, che sono 540 euro annui per chi deve usufruire di tutte le tre ore.

E tutto questo grava su costi già elevati. Cittadinanzattiva (l’associazione presieduta dal prof. Gregorio Arena) ha effettuato uno studio nazionale sui costi che gravano sulle famiglie: bene, il Trentino, nei costi degli asili nido, svetta in testa. Un bimbo al nido ci costa in media 4.045 euro all’anno, contro i 3.049 che si pagano in Emilia o i 3.041 in Toscana.
Dal che si deduce che i famosi soldi dell’Autonomia indubbiamente vengono utilizzati per fare strade, non certo per fini sociali, e meno che meno per la famiglia.

Questa può in effetti essere una strategia: la priorità degli investimenti nell’incremento delle capacità produttive del territorio. E quindi sì alle strade di Grisenti, no agli asili. E’ in fin dei conti il vincolo che la politica italiana si è posta dopo il tracollo democristiano: puntare sulle spese in conto capitale (investimenti), contenendo la spesa corrente.

Solo che ci sono due obiezioni: la prima è nota ai nostri lettori, e qui la accenniamo appena. Per “investimenti” si intende soprattutto quello che è cemento ed asfalto: strade, bretelle, impianti di risalita; ma anche caserme dei vigili del fuoco e nuovi municipi. La priorità non è l’investimento, bensì il cantiere; nella sanità si è pronti a spendere 500 milioni per un nuovissimo ospedale (quando quello “vecchio” è del ’69 e appena ristrutturato); a questa corrente di pensiero – chiamiamola così – si è recentemente iscritto anche il sindaco Pacher, che ha proposto di costruire, al posto del “vecchio” ospedale, ovviamente da abbattere, un nuovo “polo scolastico”, come se i problemi della scuola trentina fossero i muri, quando praticamente tutte le scuole godono di edifici nuovi, belli e funzionali. Il che vuol dire per noi una cosa sola: manca un progetto, ci sono solo le lobby affaristiche.

La seconda obiezione riguarda la visione della società: che non si vorrebbe ridotta alla sola economia (anzi, a una visione ragionieristica dell’economia).

Su questo si è soffermato lo stesso presidente Dellai nella sua relazione sul bilancio provinciale. In termini un po’ mussoliniani ha proposto l’obiettivo di fare più figli, di passare da 1,2 a 1,5 figli a coppia.

Qui bisogna essere chiari. Il problema del Trentino non è la decrescita demografica, anzi. Dai 450.000 abitanti degli anni ’90 siamo agli attuali 500.000, che nel 2030 dovrebbero diventare 550.000. Una crescita evidentemente da attribuire, come altrove, all’immigrazione. Ora, ammesso che abbia un senso spronare i trentini a fare più figli, con quali finalità lo si fa? Per motivi razziali? O, più benignamente, di compattezza culturale?

Per noi invece – e su questo ci riserviamo di tornare con maggiori approfondimenti – il punto vero sono le politiche sociali. E in particolari quelle della famiglia. Che possiamo ridurre a due filoni: i servizi per le famiglie e la precarietà del lavoro.

Se vogliamo che si facciano figli, non servono le prediche; occorre, nelle attuali condizioni sociali, poter gestire il bambino con tranquillità ed avere un minimo di sicurezze economiche per il futuro. Ed ecco qui il discorso delle nascite uscire dalle strette del trentinismo per abbracciare invece il tema della qualità della vita. Come da recenti ricerche (ultima, quella del prof. Antonio Schizzerotto), la nostra società sta maturando aspettative decrescenti sulla qualità della vita. In parole più piane, i giovani si aspettano una vita peggiore di quella dei loro genitori. E’ un dato sconvolgente, anche perché appare per la prima volta nella storia, o per lo meno, negli ultimi secoli.

Sotto questa luce, il discorso della natalità acquista ulteriore rilievo, e si lega a quello sulla coesione sociale; non nel senso che tutti parliamo lo stesso dialetto, ma che tutti ci sentiamo partecipi di un progetto di sviluppo equilibrato. Progetto che svanisce se il presente è precario, il futuro fosco, la nascita di un figlio un azzardo.

Insomma oggi, nel 2007, c’è l’esigenza di una nuova centralità delle politiche sociali. Purtroppo questa centralità c’è invece solo nelle chiacchiere. Lo abbiamo visto appunto nella differenza tra il dire e il fare di Dellai in questi giorni. Ma non si tratta di un caso isolato.

Manifesto della Margherita alle elezioni politiche dell’aprile 2006. Ottime le intenzioni. Poi...

Vediamone altri. In questa legislatura i DS trentini hanno elaborato un disegno di legge sugli asili nido. Motivazione di fondo: venire incontro alle famiglie in cui la donna lavora. Scopo: portare gli asili nido all’interno del welfare, come le scuole materne, in maniera che l’accesso al nido sia un diritto per tutti i bambini, non un’opzione per i fortunati. Il che vuol dire strutture diffuse e tariffe molto più basse. Questa peraltro è la linea dei DS nazionali, che due anni fa avevano lanciato una raccolta di firme (promotrice Anna Serafini, più nota come moglie di Fassino) per presentare un disegno di legge di iniziativa popolare proprio per far entrare gli asili nido all’interno del welfare: e ora il ddl è depositato in Parlamento. Sulla stessa linea anche la Margherita nazionale, che nell’ultima campagna elettorale aveva battuto sul tema, con lo slogan “Senza asili nido le famiglie non crescono” (vedi il bel manifesto che riportiamo a fianco).

E in Trentino, dove i soldi (per le strade) ci sono, che succede? I DS edulcorano il loro disegno di legge, che alla fine sulla questione tariffe diventa genericissimo; la Margherita semplicemente si disinteressa della questione.

Vedremo come andrà a finire. Per ora al disagio delle famiglie si pensa si rispondere con le furbate.

Tale ci sembra l’ultima trovata dell’assessore competente Tiziano Salvaterra. Il quale, in piena estate, fa approvare un articolo che prevede per i bambini di due anni e mezzo la possibilità di un ingresso anticipato nelle scuole materne (previsto invece per i 3 anni). Lo scopo evidente è quello di venire incontro a tante famiglie, che possono così usufruire della scuola materna con sei mesi di anticipo; e con spese minimali, essendo il sistema delle materne già operante e ramificato.

Sembrerebbe una bella trovata; e le proteste vivacissime delle maestre di asilo (vedi la Lettera aperta all’assessore Salvaterra da noi pubblicata nel n° 21 dello scorso anno, ma anche quella - Lettera all’assessore Salvaterra - su questo numero) le solite resistenze corporative. Invece si tratta di un escamotage di breve respiro, nel tentativo di aggirare il ruolo degli asili nido.

Questi infatti sono, come architettura, strutture e arredi, pensati per bambini piccoli, che – volgarmente – portano il pannolone ed hanno bisogno di assistenza continua. Da qui anche un numero molto basso di bimbi per ogni educatore (dai 5 ai 10, dipende dall’età).

La scuola materna invece è pensata per bambini già autosufficienti, con tutto quello che ne consegue, ad iniziare dal numero degli educatori. E’ evidente che pensare di portare i bambini di due anni e mezzo nella struttura per i grandicelli, conviene all’ente pubblico che risparmia, ma non aiuta certo il bambino.

Con il che ritorniamo al quesito iniziale. La Giunta ha una politica per la famiglia? La ritiene importante? Per la coesione della società, contano solo i marciapiedi di Grisenti, o non piuttosto anche i bambini, e le maestre di asilo?