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QT n. 3, 10 febbraio 2007 Servizi

La sanità trentina del dopo-Favaretti

Il direttore dell’Azienda Sanitaria è in disgrazia. Le idee di Dellai e dei medici per il futuro.

Andrea Grosselli

La sanità trentina mostra qualche acciacco e i sintomi - lo scandalo Solatrix, l’aumento dei pazienti in fuga per curarsi fuori provincia, l’eterno problema dei tempi d’attesa, un ospedale trasformato in cantiere mentre già si parla di costruirne uno nuovo, solo per citarne alcuni - non sono quelli di un semplice raffreddore. Dalla scorsa settimana – e questa è una novità - a spararle addosso non sono più solo i pazienti inviperiti dalle inefficienze dell’Azienda sanitaria o i “soliti” giornalisti accusati di soffiare sul fuoco del malcontento popolare. Anche Dellai ha infatti dovuto prendere atto che la sanità tanto bene non sta.

Remo Andreolli, assessore provinciale alla Sanità

L’ha fatto in occasione del dibattito in Consiglio provinciale sulla mozione di sfiducia all’assessore alla Sanità Remo Andreolli – primo firmatario il leghista Boso – con cui le minoranze chiedevano la rimozione dell’assessore diessino dopo le polemiche sui ticket introdotti ad inizio anno e poi aboliti in fretta e furia al montare delle proteste e sotto la pressione di Cgil, Cisl e Uil.

Ma il presidente della giunta ha liquidato il dibattito sui mali della sanità trentina scaricando ogni colpa sul direttore dell’Azienda Carlo Favaretti: “Non è vero che la scelta più corretta – ha spiegato Dellai all’aula di piazza Dante – è quella di un manager che tutto può e tutto comanda una volta che ha ricevuto l’incarico”. Ed ha proseguito: “Oggi la giunta provinciale dà gli obiettivi all’Azienda e poi, così dice la legge, tutto il resto lo decide il direttore generale: è un mix troppo sbilanciato.”. Per Dellai va rafforzato il rapporto con il territorio e con il personale sanitario. Ed ha lanciato l’idea di un organo di controllo indipendente, una Authority che controlli la sanità trentina. Di fatto, le parole di Dellai, a pochi mesi dalla riconferma – il mandato scade nel 2009 – fanno vacillare paurosamente la poltrona di Favaretti, mentre la politica sembra volersi riappropriare e gestire con più autonomia la fetta più sostanziosa del bilancio provinciale, i 900 milioni di euro destinati ogni anno da mamma Provincia alla sanità.

Innocente o colpevole che sia, Favaretti, mal sopportato da Dellai e inviso a gran parte dei medici, sembra diventato un capro espiatorio. Peccato che proprio il giorno in cui i giornali riportavano l’annuncio della detronizzazione di Favaretti, L’Adige pubblicava la seconda puntata dell’inchiesta dell’economista Silvio Goglio sui mali della sanità locale. Al Trentino manca una strategia sanitaria, diceva in soldoni il professore accusando la giunta provinciale di non voler “operare scelte risolutive seguendo un progetto strutturale” per il timore di diventare impopolare. E chiudeva il suo intervento con un altro richiamo alla politica: “Non c’è il rischio che le sue scelte (quelle della politica, n.d.r.) diventino dei ripieghi costosi per ottenere accordi politici? Quanto la localizzazione di un reparto (quasi sempre definito centro di eccellenza, almeno sulla carta) deve essere il risultato di un compromesso con un sindaco piuttosto che di una attenta riflessione generale di efficienza? Le esigenze alle quali deve rispondere la sanità non dovrebbero essere diverse? Scelte improprie sono cambiali per il futuro.”

La cura proposta da Goglio sembra quindi molto diversa rispetto a quella di Dellai. Alla sanità trentina non serve tanto una gestione politica della sanità, quanto una politica sanitaria intesa come capacità di indicare strategie ed indirizzi, utilizzando al meglio il proprio potere di programmazione e di controllo. Per l’economista sono le buone idee e le strategie avvedute la condizione indispensabile e necessaria per far funzionare il sistema sanitario.

Come si vede, di sanità in questi giorni hanno parlato un po’ tutti: giornalisti, professori universitari, sindacalisti e politici. Ma i medici, un po’ per scelta, un po’ per dovere (Favaretti ha richiamato all’ordine più volte i medici che hanno rotto l’omertà) sono assenti dal dibattito. E il loro è un silenzio che pesa e forse è un’altro sintomo della crisi della sanità in Trentino.

Carlo Favaretti, direttore generale dell’Azienda Sanitaria

Ma Giuseppe Zumiani non ci sta. Il primario di dermatologia al S. Chiara di Trento e al S. Maria del Carmine di Rovereto, nonché presidente dell’Ordine dei medici trentini, nega che durante questo dibattito i camici bianchi siano rimasti defilati: “Abbiamo seguito con attenzione il confronto consiliare in piazza Dante e qualche giorno dopo siamo intervenuti sulla stampa per ribadire la nostra posizione sui rapporti tra Provincia, Azienda sanitaria e medici.” Una posizione, quella dei medici, che si sintonizza sulla stessa lunghezza d’onda del presidente Dellai. Era già successo in ottobre, quando in un convegno a Riva i medici trentini avevano chiesto al presidente della giunta di poter contare di più, criticando l’aziendalizzazione della sanità accusata di aver aumentato la burocrazia a scapito del rapporto medico-paziente. Allora il presidente aveva dato loro ragione. Oggi Zuminai ribadisce la sintonia con Dellai.

“La settimana prima del dibattito consiliare – racconta il presidente dell’Ordine – nell’ambito del Consiglio sanitario dove si discuteva della riforma della legge 10, avevamo avanzato una proposta simile a quella di Dellai. Non era una Authority, i cui contorni peraltro oggi sono un po’ vaghi, ma un comitato di gestione, anello di congiunzione tra politica e braccio esecutivo della sanità con la partecipazione dei medici”.

Ma la proposta di Zumiani, in coerenza con il programma che dopo un’accesa campagna elettorale l’ha portato alla guida dell’Ordine, diventa anche una critica radicale all’aziendalizzazione della sanità: “Il sistema sanitario deve mettere al centro il paziente pur tenendo conto della sostenibilità economica”. Come a dire che quest’ultima viene necessariamente in secondo piano. “Dopo 13 anni dalla nascita dell’azienda unica – spiega più esplicitamente Zumiani - lo strumento non ha dato i risultati attesi. Inoltre il controllo politico sul direttore generale così com’è definito dalla legge 10 non è convincente. L’Azienda è il controllore di se stessa. Eppoi non esistono in Provincia altri enti funzionali che abbiano adottato assetti aziendali”. Una bocciatura senza appello. Uguale ed identica da quella di Dellai, che (vedi L’Adige dell’8 febbraio) nella nuova legge di riforma della sanità, già predisposta dalla giunta provinciale, vorrebbe addirittura eliminare la figura del direttore generale.

Nel concreto, per qualificare la sanità trentina, secondo Zumiani bisogna partire dal territorio: “Vorremmo un’organizzazione meno centrata sull’ospedale, che parta dal territorio. Gli ospedali di Trento e Rovereto devono essere i nodi di una rete sanitaria più ampia. Tra il territorio e gli ospedali deve esserci un raccordo più stretto”.

Intanto però le esigenze dei cittadini in materia di salute sono molto cambiate: “I cittadini chiedono sempre la stessa cosa: prestazioni sanitarie di qualità e tempestive. Quello che è cambiato è la cultura: le nuove tecnologie e la ricerca scientifica offrono strumenti più avanzati nella diagnosi e nella cura, ma aumentano anche la domanda di salute. Sta però all’organizzazione sanitaria e ai medici stabilire l’appropriatezza delle prestazioni da offrire in tempi adeguati. Forse va migliorato il sistema delle priorità, ma il meccanismo dei RAO è un modello convincente”. Dove RAO sta per “raggruppamenti di attesa omogenei”. Sono gli indici di priorità grazie ai quali il medico di base può richiedere prestazioni in tempi più stretti del normale.

Anche il problema della mobilità passiva e della fuga dei pazienti trentini verso altri ospedali, per Zumiani va affrontato migliorando il rapporto medico-utente. “I medici devono avere più tempo da dedicare ai pazienti per orientarli in termini di appropriatezza della prestazione sanitaria. E’ provato che un miglior rapporto tra medici e pazienti diminuisce i contenziosi. In questo senso le innovazioni tecnologiche agevolano il lavoro del medico ma non sono la soluzione di ogni problema. Non bisogna colpevolizzare i cittadini se vogliono la miglior prestazione possibile. Ma per risolvere il problema i medici devono tornare a fare i medici”.

Resta la realtà di una provincia con una popolazione pari a quella di una città come Bologna, priva di una clinica universitaria che attiri i medici di maggior prestigio. Con questi numeri pretendere l’eccellenza in ogni branca è pressoché impossibile. ”Trento – conferma Zumiani – non può ambire ad una facoltà di Medicina. Però si possono creare alleanze con altri atenei per aprire medical schools in collaborazione con i nostri ospedali. In questo modo i medici che studiano altrove potrebbero venire a fare tirocinio in Trentino. Ma in alcuni settori specifici possiamo però essere protagonisti a livello nazionale ed internazionale. L’esempio è quello di neuroscienze a Rovereto”.