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Nassiriya in TV: quanto siamo stati bravi!

Jacopo Barbarico (Fiamma Tricolore)

Lo sceneggiato andato in onda su Canale5 è stato l’ennesimo mezzo attraverso il quale il sistema imperante ha sancito la necessità dell’Operazione Antica Babilonia; si è trattato anche di un’occasione per tracciare un bilancio di tale operazione. Che la fiction, liberamente ispirata alle vicende dei soldati italiani in Iraq, abbia costituito il solito strumento di propaganda e giustificazione è sotto gli occhi di tutti: la cosa più strana riguarda il modo in cui tale messaggio ha preso corpo. Ci sono stati, infatti, una serie di elementi brutalmente realistici e veritieri, insieme ad un’altrettanto vasta gamma di fantasiose elaborazioni.

Abbiamo assistito alla presentazione dei nostri alleati a stelle e strisce come tremendi sterminatori e cinici occupanti – ma allora perché stavamo dalla loro parte? – totalmente incuranti dell’opera di pacificazione successiva al crollo del regime di Saddam, quasi del tutto assenti nei processi di normalizzazione della vita quotidiana, a fronte della salvifica presenza dei Carabinieri i quali – loro sì per davvero – hanno lavorato e sono morti per l’instaurazione della democrazia. (…)

Il messaggio di fondo è lapalissiano: abbiamo fatto bene ad andare in Iraq, abbiamo difeso la popolazione, costruito strutture, garantito la pace e le elezioni, abbiamo anche salvato la popolazione dal menefreghismo yankee!

Ma se è stato sacrosanto segnalare il terrorismo statunitense, assolutamente fuori luogo è stata la rappresentazione di un’ostilità tra i nostri comandi e quelli degli alleati americani. In primo luogo perché noi siamo andati in Iraq non certo per nostra spontanea volontà ma per ordini impartiti dall’alto, in secondo luogo perché – proprio a causa di questa posizione subordinata – non ci sarebbe stato permesso né alzare la voce (vedi i casi del Cermis o di Calipari), né assurgere ad un ruolo tale da offuscare la posizione statunitense.

Scrivere la storia della nostra missione in Iraq in questo momento è stato, senza dubbio, un atto prematuro per vari motivi: fra questi spicca la volontà di dare una forma alla storia in un momento in cui essa è tutt’altro che definita, sfruttando la sostanziale carenza informativa di quel che è stata davvero la nostra partecipazione in Iraq. (…)

Sicuramente lodevole è stata la messa in scena di una serie di fatti e situazioni realistiche: dalla constatazione dello scarso spirito umanitario di americani ed inglesi, i quali licenziano gli iracheni e lasciano marcire cibi e bevande, alla constatazione del fallimento della coalizione per quanto riguarda il mantenimento dell’ordine pubblico, così come dell’addestramento di una polizia locale affidabile, tanto quanto la reale assenza di miglioramenti nella vita dei civili dopo la fine del regime di Saddam.

La situazione dei civili, l’abbiamo visto tutti, era pessima: niente lavoro, faide interne per motivi religiosi, potere ai boss locali, cessazione del controllo statale, insufficienza economica e produttiva, esproprio della sovranità e dell’indipendenza: della serie, si stava meglio quando si stava peggio! Messaggio subliminale di questo contesto? Semplice: solo noi siamo la salvezza per il popolo iracheno, onde ragion per cui se ci rimaniamo – magari anche a lungo – non è affatto male.

Dopo la serie di scene che hanno dunque visto lo spreco di aiuti umanitari, la pessima condizione dei civili, le conseguenze dell’occupazione della coalizione, l’assenteismo dei gendarmi del mondo sui problemi da loro stessi causati, assistiamo alle vicende dei nostri paladini i quali, per aumentare il tono patetico, ancora non hanno imparato l’italiano (siamo rimasti ai tempi della prima guerra mondiale, si vede), e non sanno nemmeno loro perché sono là.

I nostri sono stati poi amati a tal punto che come ringraziamento hanno ricevuto una serie di pallottole di vari calibri, e la cosa fa pensare che il nostro lavoro non è stato troppo apprezzato. Che ci abbiano visti come anello debole della catena? Meno male che ci trovavamo in una delle zone più tranquille dell’Iraq pacificato, altrimenti ci avrebbero fatto a fettine! Un po’ come sta accadendo ai cow boys americani…

Ma non è colpa loro. Sono i fondamentalisti islamici. Sono quei fascisti islamici che non capiscono nulla e sono pazzi scatenati, quasi avessero inventato loro Abu Ghraib o Guantanamo. (…)

Ciliegina sulla torta è stato poi l’immancabile accento patetico, tipicamente italiano, che serve per incollare le signore di mezza età al teleschermo o far sognare i bambini di andare a combattere per la democrazia. E non ci hanno evitato nemmeno la storia d’amore fra il soldatino italiano e la soldatessa americana, stroncata sul nascere dalla furia omicida di Al Qaeda!

Non una parola sulle migliaia di storie di vita reale stroncate dai bombardamenti del mondo civilizzato. Io spero che le vicende inerenti lo scoppio del camion con l’esplosivo alla base “Maestrale” poi non si siano svolte proprio in quel modo, con i nostri militari presi dalle foto ricordo e dalle interviste, come se si fossero trovati in un villaggio Valtour. Si sarebbe trattato di una bella caduta di stile. Il rispetto per chiunque muoia facendo il proprio dovere non lo si rifiuta a nessuno. Troppo comodo però utilizzare la loro triste sorte per giustificare una missione di occupazione e di guerra usando il loro sacrificio da presentare all’opinione pubblica come atto di eroismo. Forse l’unico ricordo che può unire la nostra nazione e far levare le giuste lodi per i caduti italiani, per non dimenticare davvero il sacrificio di quei soldati – spesso giovani meridionali costretti da esigenze economiche alla partenza – è quella bandiera della Repubblica Sociale che emerse dalle macerie della base sventrata, appesa sopra il letto di uno dei soldati. Ricordare quel pezzo di stoffa, brandello d’onore di ieri, per molti ancora un vessillo, sarebbe stato davvero rispettare ed umanizzare dei soldati in tutta la loro persona, non solo quando dovevano parlare con mogli e parenti.