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La modernità della malinconia

Fino al 29 luglio al Palazzo della Ragione di Verona grandi capolavori provano a riscrivere la modernità.

"Il silenzio suscita nell’uomo la malinconia, perché lo richiama allo stato in cui non s’era ancor data la caduta nel peccato a causa della parola: il silenzio rende l’uomo bramoso di tornare a quello stato precedente alla caduta e alla colpa, e insieme lo rende pauroso poiché nel silenzio gli sembra che in ogni istante possa riapparire la parola e con essa ripetersi la prima caduta" (Max Picard).

Sandro Botticelli, “Il ritorno di Giuditta a Betulia”.

Per il pittore è un’altra faccenda: nella mostra di Verona dedicata al tema della malinconia si succedono con salti audaci immagini silenti, saturnine, intrise dei misteri che scuotono alle fondamenta l’animo. La malinconica umana fragilità, "la malinconia/ la mia compagna con la sua ansia, nell’aria tiepida della pioggia,/ e la sua sete di grazia" (il testo è di Pasolini), coniugata all’ansia può spiegare insieme in breve quello che è successo a Verona nei 25 anni dell’era Cortenova, il filo conduttore di queste intermittenti mostre "compendiarie" (quelle della creazione ansiosa di qualche anno fa e più indietro l’espressionismo europeo) e di storia culturale, distillate con equilibrio da tutta l’équipe di Palazzo Forti.

Prima ancora della "Melancholia I" di Dürer c’è tutto il misterioso mondo del circolo ficiniano fiorentino intriso di princìpi mistici e platonici, sospinto alla ricerca della perfezione e testimoniato dall’opera di Sandro Botticelli "Il ritorno di Giuditta a Betulia" del 1472, che trasmigra nella cultura nordica.

E’ questa la tesi che Giorgio Cortenova tenta di portare avanti con questa imponente rassegna: il viaggio verso la modernità, il sentimento del mondo passa sui percorsi astratti della mente e lo hanno già sperimentato artisti come Simone Martini e Gentile da Fabriano, l’Angelico e Piero prima ancora della codificazione simbolica raggiunta dall’artista tedesco.

Caravaggio, “Maddalena”.

Il piccolo disegno pre-Sistina di Michelangelo scelto dai curatori come immagine emblematica della classicità ci è rivelato da quel suo bellissimo paradossale sonetto che recita così: "La mia allegrez’è la malinconia/ e ‘l mio riposo son questi disagi" , come, intrisi di patologia umorale, i ritratti di gentiluomo di Lorenzo Lotto, le anatomie allungate del Rosso, i silenzi di Giorgione, il teatro barocco della storia e della vita da Caravaggio alla scuola bolognese, fino allo spettacolo del tempo che sbriciola le certezze e gli "edifici" del genio umano manifestato dalle rovine e dai viaggi del Grand Tour, il tempo sospeso tra pittura romantica e metafisica fino all’inattuale del contemporaneo.

All’inizio le opere di piccolo formato sembrano perse nel restaurato (da Tiziano Scarpa) Palazzo della Ragione; poi opere, formato, spazi si saldano con più forza. Per il contemporaneo appare invece l’opera in bronzo di Francesco Somaini, che fa da contraltare emblematico della testa michelangiolesca: il mondo visto "Da sotto. Grottanima", di piccolo formato, che rimanda allo scavo, all’analisi terminabile e interminabile mutuata da Sigmund Freud.

L’uomo comune considera l’artista un temerario per la ricerca svolta in forme inusuali, a volte profetiche, sognanti (i giocattoli dell’infanzia di Savinio, gli odori perduti nel "bagno degli uomini " di Dürer- nella figura in primo piano che stringe in mano un fiore), deflagranti ("Malinconia I e 2" di Guarienti), sospese in metafisiche attese (da Boecklin a De Chirico), infine leggere come nella bellissima opera di Medhat Shafik intitolata "Nidi di luce".

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