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QT n. 11, 1 giugno 2007 L’editoriale

Costi della politica: sarebbe tanto facile…

In realtà quello dei costi della politica è il più semplice da risolvere fra i problemi italiani. Eppure...

E’ vero, sono troppi e prendono troppi soldi. Camera dei Deputati e Senato, con le stesse identiche funzioni. Più di cento membri del Governo e quasi mille parlamentari. Tutti con indennità, diaria e rimborsi spese che si aggirano sui 13.000 euro al mese. Un lauto assegno vitalizio al cessare della carica. I nostri rappresentanti al Parlamento Europeo che sono i più pagati d’Europa. I troppi partiti. E poi le auto blu, più di mezzo milione quando negli Stati Uniti sono appena 75.000. E i presidenti di Regione e Provincia, i sindaci, i Consiglieri regionali, provinciali e comunali, e gli amministratori di una infinita miriade di enti minori, insomma un ceto vastissimo di persone che nella funzione pubblica esercitata trovano la fonte di una remunerazione spesso cospicua.

Questi sono i costi della politica, così sfacciatamente esagerati da suscitare in chi non ne fruisce, cioè la maggioranza dei cittadini, una sdegnata reazione, un disgustato sentimento di repulsione. E’ da ciò che nasce l’antipolitica, cioè il disamore per le sue forme, l’insofferenza per i suoi rituali, il disprezzo per la sua inconcludenza. E’ questa una delle più pericolose sindromi che possono insidiare la democrazia rappresentativa, perché in essa può trovare un fecondo terreno l’avventura populista di gruppi reazionari.

In questa diffusa ostilità verso i "politici" vi sono anche motivazioni deteriori, di tipo qualunquistico. Però non vi è dubbio che la situazione reale che ho descritto è tale da giustificare le critiche che le vengono mosse. Insomma, il problema esiste ed esige di essere affrontato e risolto. Che sia venuto alla ribalta con tale evidenza è persino un fatto positivo. Infatti è un problema che può essere risolto. Se confrontato con altri problemi che ci angustiano, questo dei costi della politica ci appare addirittura come il più facile da affrontare. Pensate alla crisi fiscale dello Stato, con da una parte la generale richiesta di ridurre le tasse e dall’altra la domanda di aumentare la spesa pubblica per le pensioni minime, per la ricerca e la scuola, per la giustizia, per le grandi opere: una contraddizione insolubile. Pensate alle unioni di fatto e a tutte le altre problematiche etiche proposte dalla società civile, sulle quali si confrontano tesi religiose e tesi laiche, la cui composizione è assai ardua. Pensate alla scena internazionale, ove l’Italia mira a svolgere un ruolo civile di soluzione pacifica e negoziata delle tensioni esistenti, e tuttavia si trova a essere presente in armi in Libano ed in Afghanistan e limitata da vincoli di alleanze che non possiamo tradire. E le morti da infortuni sul lavoro, e lo smaltimento dei rifiuti in Campania, e la criminalità organizzata.

Se lo confrontiamo con questi problemi, quello del costo della politica ci appare come un gioco da bambini. Certo di bambini innocenti. In sei mesi, un anno al massimo, si può por mano ad una riforma dei nostri potere pubblici senza spendere un euro, anzi risparmiandone molti ed aumentando l’efficienza dell’intero apparato.

Una proposta di legge costituzionale che abolisca le Province (non Trento e Bolzano, ovviamente), trasformi il Senato in Camera delle Regioni, dimezzi il numero dei parlamentari. Una riforma delle legge elettorale vigente che restituisca agli elettori la scelta del candidato preferito e ostacoli la formazione dei gruppi minori. La modifica delle indennità spettanti agli eletti riducendole almeno del 30%, istituendo una imposta di solidarietà di egual misura sugli assegni vitalizi. Rivedere i regolamenti parlamentari che disciplinano i contributi ai gruppi escludendoli per quelli che sono composti da meno del dieci per cento dei membri dell’assemblea. Una legge quadro che fissi criteri analoghi per gli amministratori delle Regioni e dei Comuni. Per il nostro Trentino bisognerebbe abolire le Comunità di valle e sostituirle con Comuni di valle. E poi lanciare una pubblica asta per vendere al miglior offerente i quattro quinti delle auto blu che formano la scandalosa dotazione delle nostre pubbliche amministrazioni.

Con un simile progetto Prodi (e il Partito democratico) acquisterebbe una forza civile formidabile. Troverebbe forse molte resistenze a farlo passare in Parlamento. Ma credo che con un simile bagaglio potrebbe con fondata speranza di successo affrontare anche una consultazione elettorale anticipata.