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Quelle dei parchi

Le povere ore di libertà delle donne dell’Est. Da “Piazza grande”, giornale di strada di Bologna.

Mariella Ubergoli, Marika Puicher

“Dove sono i parchi, là siamo noi". A dirlo sono le donne dell’Est europeo, che passano il fine settimana, alcune al sabato, altre alla domenica, nei parchi pubblici bolognesi. Al parco della Montagnola, comodo perché vicino alla stazione e facilmente raggiungibile da tutte in autobus, ci sono soprattutto donne ucraine, russe e bielorusse, mentre ai giardini Margherita si incontrano più spesso donne di nazionalità moldava o rumena.

D Alcune di loro lavorano come donne delle pulizie, tutte le altre fanno le badanti e, alle volte, capita di vedere assieme a loro anche un anziano in carrozzella che le redarguisce più o meno bonariamente: "Ah, è per questo che mi hai portato qua. Ci sono le tue amiche!"

Al parco non fanno niente di particolare, passano la loro giornata di riposo in compagnia, mangiano insieme portandosi panini o altro da casa, per risparmiare, e chiacchierano.

In realtà, più che chiacchierare si sfogano, raccontano i problemi che incontrano sul posto di lavoro, si scambiano informazioni sui permessi di soggiorno e cercano di alleviare la fatica e lo stress che affrontano quotidianamente e che le spinge spesso, una volta tornate a casa, a passare lunghi periodi di inattività per curare le ferite psicologiche inferte da un lavoro duro e, in alcuni casi, estraniante.

La maggior parte delle donne che abbiamo incontrato si sono conosciute qui, al parco, e poi hanno continuato a frequentarsi. Ci sono gruppi più numerosi, vere e proprie tavolate, a cui partecipano anche gli uomini, e panchine con due o tre signore che conversano in tranquillità. "Non ci divertiamo mai – dicono - e questo è il nostro unico momento di svago".

II 15 e 16 aprile, per esempio, si sono riunite per una festività religiosa, l’equivalente della festa cattolica di Tutti i Santi e della ricorrenza dei Morti. Non erano molto espansive quel giorno e hanno chiesto di poter "rimanere da sole con i nostri pensieri". Ma, solitamente, si trovano al parco ogni fine settimana, anche d’inverno, perché anche se si sta all’aperto, "non c’è problema, i vostri inverni non sono freddi come i nostri".

Alcune, però, ammettono che quando fa più freddo si incontrano nella sala d’aspetto dell’autostazione o nelle case delle loro amiche che lavorano come collaboratrici domestiche o cameriere e vivono in case in affitto.

La sera non escono mai. Ci sono delle ragazze che escono e fanno feste in questi appartamenti, ma per le badanti ciò non è possibile perché "è come fossimo imprigionate: dobbiamo lavorare ed essere sempre disponibili per le persone che seguiamo. Anche nel nostro giorno libero rincasiamo quasi tutte verso le otto di sera, non più tardi, perché comunque dobbiamo dare da mangiare ai nostri vecchi" - dice una donna ucraina.

"Mi piacerebbe molto trovare un posto dove si può ascoltare e ballare la nostra musica - afferma una donna moldava incontrata ai giardini Margherita - L’8 marzo, per esempio, in zona Fiera era stata organizzata una festa per donne del nostro Paese. E’ stato bellissimo. Siamo passate di lì per caso e abbiamo sentito la nostra musica, così ci siamo unite alle altre persone in festa". Ma si tratta di eventi rari, lascia intendere questa donna.

I motivi sono tanti. C’è, in primo luogo, il problema del tempo libero, che per queste donne è poco e sempre a rischio e quindi non permette di progettare e organizzare feste o di creare veri e propri momenti di aggregazione. Ma, spesso, il problema è anche quello degli spazi.

"Questi luoghi di ritrovo - continua la signora moldava - qui a Bologna mancano, perché non ti affittano per più di due ore queste strutture. A Ferrara, per esempio, c’è un posto (non so se è uno stadio o un giardino), dove si può cucinare carne ai ferri, si mangia tutti insieme, si balla, si canta. Ci si diverte più lì che a Bologna. Forse perché a Ferrara ci sono meno moldave, e allora sono più unite, si organizzano di più tra di loro e vanno a ballare insieme in delle specie di balere. Così, staccano un po’ dalle solite preoccupazioni. Noi invece, anche se qualche volta siamo libere, non usciamo mai di sera, anche perché siamo troppo stanche e abbiamo troppe preoccupazioni: pensiamo sempre ai figli rimasti a casa. Le ragazze più giovani, probabilmente, escono di più".

Ma di ragazze giovani, in realtà, ce ne sono poche. La maggior parte di queste donne ha tra i 40 e i 60 anni. Le famiglie - dicono - non si fidano a far partire una figlia così per l’Italia, hanno paura che entrino in brutti giri.

Anche gli uomini sono pochi, ma per loro il problema è un altro, la scarsa offerta di lavoro regolare in Italia. Molti uomini dell’Est Europa vengono impiegati come giardinieri, muratori, autisti per anziani. Un ragazzo moldavo, ad esempio, lavora in una ditta di impianti per la climatizzazione. Nel tempo libero legge o va ai giardini Margherita a giocare a pallacanestro, anche con ragazzi italiani. Il suo cruccio, però, è che non riesce a trovarsi la fidanzata.

Spiega che fa fatica a conoscere ragazze italiane o, ancor più, a frequentarle, perché si sente rifiutato da loro. "Siamo un po’ chiusi come comunità - ammette pure - Non frequentiamo spesso italiani e, quasi per niente, italiane".

Anche molte delle donne che si incontrano in Montagnola hanno l’hobby della lettura, tanto da essersi inventate una specie di book-crossing. Ognuna di loro porta con sé un libro letto - arrivato insieme ad altra roba con i pullman dal paese di origine o preso in prestito alla biblioteca della Sala Borsa - lo scambiano con le altre e poi ne discutono insieme.

Fare amicizia con gli italiani, comunque, è difficile anche per le donne. "Abbiamo modi di vivere diversi - dice una donna bielorussa - Noi lavoriamo tutto il giorno, mentre le donne italiane di solito sono più libere, oppure sono occupate con la loro famiglia. Magari facciamo due chiacchiere con loro, ma sempre mentre lavoriamo". Per una donna moldava, invece, la riflessione è più amara: "Una donna che ha tutto, spesso non parla neanche con noi. Ci trattano un po’ come delle serve". Per andare avanti molte si affidano ai ricordi del passato. Pensano alla loro vita di prima, a quello che facevano a casa loro, ai loro studi, a quella parte della loro identità che non gli è stata ancora strappata via.