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QT n. 14, 14 luglio 2007 Servizi

Bisogno di sinistra?

Il nuovo spazio e ruolo della sinistra, in una società in cui sono cresciute e continuano a crescere le disuguaglianze. E al contempo la frammentazione e la fragilità delle troppe, piccole forze politiche. I progetti per uscire da questo impasse, tra piccole ambizioni, urgenze sociali, culture da adeguare.

Sinistra Democratica si chiama la nuova formazione politica; guidata a livello nazionale dal ministro Fabio Mussi, in Trentino da Ferruccio Demadonna: si ripropone di "unire la sinistra". Di primo acchitto ci viene da ridere: fare nuovi partiti che vogliono "unire" e intanto si aggiungono loro, è un film già visto, e a sinistra, tra Rifondazione, Verdi, Comunisti vari, Socialisti sparsi, le sigle – con relative mini nomenklature – si sprecano.

Con un risultato deprimente: i partiti, sempre alla ricerca della mitica visibilità, più sono piccoli più devono strepitare; la politica, già in affanno, risulta ulteriormente appannata da questo fastidioso rumore di fondo; e l’azione di governo deve fare i conti con i tanti leaderini che, alla ricerca di un passaggio in tv, rilanciano sempre un "più uno" che rimette qualsiasi accordo in discussione, in attesa della prossima impuntatura.

"Noi non nasciamo come partito, ma come movimento, con la missione di unificare la sinistra – risponde Demadonna - Noi non vogliamo discutere di contenitori, ma di contenuti".

Veniamo al sodo: vi presenterete – naturalmente ‘per unificare la sinistra’ – alle prossime provinciali?

"No. Non nasciamo per questo scopo. Ma per far incontrare, per far discutere le organizzazioni della sinistra".

Ci segniamo la risposta e la salviamo in memoria.

Il discorso di fondo è comunque di grande momento. "La confluenza dei DS nel Partito Democratico lascia uno spazio immenso" come dice Demadonna; ma soprattutto "la tutela dei ceti più deboli è la questione all’ordine del giorno", come afferma Agostino Catalano, consigliere provinciale di Rifondazione Comunista.

Ferruccio Demadonna, della Sinistra Democratica trentina.

Il tema infatti è basilare, a livello nazionale e internazionale. Come ha peraltro ampiamente approfondito il Festival dell’Economia dello scorso anno (Ricchezza e povertà), in questi ultimi vent’anni, in tutto l’Occidente si è avuto un colossale trasferimento di ricchezza, dai ceti bassi e medi a quelli alti. Se tutto questo si sia tramutato, oltre che in un aumento della povertà relativa (quella misurata rispetto agli altri) anche in un aumento della povertà assoluta (misurata rispetto a se stessi nel passato) è argomento da discutere; come tutta da discutere è l’evoluzione del welfare in questi anni.

Insomma, il tema di come sta la gente, soprattutto i meno abbienti, all’interno di una società altrimenti opulenta, è tornato – inaspettatamente? – attuale. Le parole "disuguaglianza" "ingiustizie sociali", che sembravano desuete o riservate alle società del Terzo Mondo, tornano ad urgere. E sono parole dietro alle quali ci sono persone in difficoltà, anche drammatiche.

Torna quindi lo spazio – di più, la necessità – di una forza politico-culturale che di queste urgenze si faccia carico. Non si possono lasciare politicamente orfani i più deboli, pena uno sbilanciamento dell’insieme della rappresentanza, e anche della società.

Ora, di queste istanze potrebbe farsi carico un’ala del Partito Democratico. Forse.

C’è chi non lo ritiene realistico: "Il PD nasce come partito interclassista, che non privilegia certi ceti sociali – afferma Catalano – Siamo di fronte al rischio della sparizione della sinistra non solo come entità politica, ma anche come rappresentanza sociale: basta ragionare sui lavoratori del Nord che votano a destra".

Questa riproposizione della sinistra rischia però di sapere di stantio: "Dobbiamo riprendere alcuni valori del ‘900: a partire dalla difesa dei più deboli" afferma Demadonna. Parole sante. Però...

Agostino Catalano, consigliere provinciale di Rifondazione Comunista.

"Dobbiamo rinnovarci nella cultura e nel modo di rapportarci alla società. Ci sono pezzi interi dell’elaborazione della sinistra che sono da buttare" conviene Catalano.

Per esempio, l’anticapitalismo è da buttare?

"No. Preciso: all’interno della sinistra unita non penso che debba esserci questa discriminante, non occorre essere anticapitalisti. Detto questo, io lo rimango".

E allora, cosa c’è da buttare?

"L’idea che quando prendi tu il potere cambia tutto; e così poi utilizzi l’autorità come mezzo di trasformazione, e allora non liberi, opprimi. Poi il produttivismo e la sottovalutazione della questione ambientale. E un’altra sottovalutazione, quella della differenza uomo-donna...".

Delineati, per sommi e rozzi capi, lo spazio sociale e le linee culturali di questa nuova sinistra, resta da vedere il contenitore: a livello nazionale non è che le varie nomenklature ardano dal desiderio di unirsi e quindi mettersi in discussione. Come, per altro verso, sta mostrando il travagliatissimo parto del PD.

"Beh, tra Rifondazione, SDI, Verdi, Comunisti Italiani, ci sono molte meno differenze di quelle all’interno del PD. E poi, la spinta all’unità della sinistra è un fenomeno europeo, ci sono vari livelli e paesi, a iniziare dalla Germania, in cui si uniscono organizzazioni comuniste, socialiste, ecologiste".

Sarà. Ma non sembra di vedere una spinta delle quattro nomenklature dei quattro partiti a farne una sola. L’idea dominante è più probabilmente quella di tirare avanti così. A meno che il PD non dia un esempio virtuoso...

"Così non si può andare avanti. Non abbiamo la massa critica per far valere le ragioni della sinistra, e siamo frenati da una concorrenza interna che è micidiale. Di questo ci si sta rendendo conto; è infatti di questi giorni il patto d’azione tra i deputati di Rifondazione, Verdi, PdCI, Sinistra Democratica (un totale di 150 parlamentari, un terzo di tutta l’Unione) grazie al quale siamo riusciti a reggere la posizione sulle pensioni. Altrimenti la campagna stampa, gli allarmismi, la diffusione di dati falsi e pretestuosi, ci avrebbero spazzati via".

Mettiamo tra parentesi il complesso argomento delle pensioni e veniamo al Trentino, che, in parte, è un caso a sé. Perché da noi "la sinistra, anche per i limiti dei suoi assessori, è stata annichilita da Dellai" secondo Demadonna; "Prima ancora di sciogliersi nel PD, si era già dissolta nella politica della Giunta" secondo Catalano.

Oliviero Diliberto (Comunisti Italiani).

La diagnosi è arcinota, e prevalente presso gli stessi DS, per i quali – come abbiamo scritto a proposito del loro ultimo congresso – il Partito Democratico è l’ultima spiaggia, dopo il deserto conseguente a una perdita verticale di idealità, progettualità, credibilità. Quando il disastro è totale (i tre assessori diessini sono concordemente giudicati i peggiori, o giù di lì, della giunta), non può non coinvolgere l’essenza stessa del partito (che difatti i tre riconferma); e anche quella dell’area di riferimento.

Sembra mancare a sinistra un giudizio compiuto sul governo Dellai. Forse perché manca anche una visione, un progetto per il Trentino. E allora è inutile scaricare le colpe sulla Margherita.

Leggi sulla scuola (con l’inusitato spazio alle private), sulle Comunità di Valle (con aumento della burocrazia e dei costi della politica), sull’Itea, sul welfare (con una legislazione vicina a quella della Lombardia di Formigoni): queste le contestazioni puntuali dei nostri interlocutori. E più in generale l’ambiente visto – nei fatti – non come una risorsa ma come un ostacolo allo sviluppo; la visione tutta amministrativa, incardinata nei sindaci, della politica nelle valli; e l’antiquata idea economica per la quale se va bene l’edilizia, va bene tutto, da cui la propensione a risolvere ogni problemi (la mobilità, ma anche la sanità o la scuola) con il cemento. "Con il risultato che poi tutto questo comparto, proprio perché assistito, è fragile". E quindi una polverizzazione delle imprese, "ma il piccolo non è bello, non fa ricerca e innovazione".

Insomma, del governo Dellai viene condivisa solo la priorità data all’università e alla ricerca (ma Demadonna è tra gli aspri critici della legge di riforma) e il progetto di distretto tecnologico e ambientale. Questo è dunque il quadro di riferimento della sinistra trentina non governativa.

Di fatto se nella società il malessere nei confronti dei DS è totale, è cresciuto anche verso l’insieme della politica provinciale. E si cercano risposte da altri soggetti, non propriamente politici. Di qui il grande coinvolgimento che riesce a suscitare la cooperazione, con le proprie assemblee affollate da migliaia e migliaia di soci, battendo tutti i record storici. Ma anche le attese che suscita il sindacato: e alcuni esponenti di spicco della CGIL (tra cui Paolo Burli e Claudia Loro della segreteria) sono tra i sottoscrittori del manifesto della Sinistra Democratica. Poi la CGIL nel suo insieme ha preso le distanze, come giusto, da "un’iniziativa solo personale": ma il fatto rimarca come parti molto consistenti di società si sentano orfani politici, e siano in preoccupata ricerca di referenti nuovi e, finalmente, credibili.

Alfonso Pecoraro Scanio (Verdi).

Queste aspettative, possono trovare una sponda in questa Sinistra Democratica? O non è ancora poca e fragile cosa? Con il solito sospetto che il tutto si riduca a qualcuno in cerca di sistemazione?

"Vogliamo parlare con Rifondazione, Verdi, PdCI, SDI: dedicheremo l’estate a questo, per ora abbiamo solo iniziato. E’ un confronto per il quale abbiamo anche aperto un blog http://asinistra-tn.blogspot.com/" risponde Demadonna.

"I sondaggi danno Rifondazione a Trento, in caso di elezioni politiche, intorno al 5%: che è poca cosa se pensiamo a un soggetto unitario della sinistra, che in Trentino è stata ben più del 30% - risponde Catalano - Se riusciamo a coinvolgere altri soggetti potremmo arrivare all’8-10%, il che ci darebbe una dimensione sufficiente per incidere. Ma il punto è che non c’è un problema di domanda di sinistra, bensì di qualità dell’offerta: e noi, da soli, sinceramente, non possiamo dare la qualità richiesta.

Per questo quello che io penso si debba fare è costruire luoghi unitari, dove non pesino appartenenze, ma conti la capacità di elaborare, di lavorare assieme, da parte di singoli o associazioni, che si riconoscano nelle ragioni della sinistra, pur senza esserle necessariamente legati.

C’è, in Trentino e in Italia, tanta gente che non si riconosce in alcuna organizzazione: li troviamo quando scendono in piazza, sono loro che hanno retto lo scontro contro Berlusconi; è a loro che dobbiamo saper rivolgerci".