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Ratzinger, indietro tutta

Messa in latino e documenti del Sant’Uffizio: come massacrare il dialogo fra le religioni.

Su l’Adige dell’8 luglio Luigi Sandri ci spiega per bene la faccenda. Nel 1570 papa Pio V pubblicò il "Missale Romanum" allo scopo di "normalizzare" la celebrazione della messa in tutto il mondo cristiano. E la messa rimase così, e in latino, per 400 anni. Nel 1962 Giovanni XXIII, riconfermando quel modello, intervenne però per sostituire – nella liturgia del venerdì santo – la frase "pro perfidis Judaeis" con un meno insultante "pro Judaeis". Il resto tutto uguale; fino al 1970, quando il suo successore Paolo VI, tirando le conseguenze dall’ormai concluso concilio Vaticano II, attuò una riforma della liturgia che tra l’altro prevedeva la celebrazione della messa nelle varie lingue nazionali, e imponeva al celebrante di operare stando di fronte ai fedeli, non più voltando loro le spalle. La messa in latino, da allora, poté essere celebrata solo in particolari circostanze, e chiedendo il permesso al proprio vescovo. Con il recente "motu proprio" di Papa Ratzinger la messa in latino è liberalizzata, non c’è più bisogno di chiedere autorizzazioni.

Papa Pio V.

Quale il motivo di questa controriforma? Ufficialmente è "la sollecitudine per l’unità della Chiesa". Ma su 1 miliardo e 200 milioni di cattolici, i tradizionalisti militanti pare che ammontino a non più di 300.000, metà dei quali discepoli dello scomunicato arcivescovo Marcel Lefebvre. Ben più numerosi sono i sostenitori di altre istanze riformatrici tranquillamente ignorate dal Vaticano; e allora ci sembra che abbia ragione Luigi Sandri, quando afferma che "la questione non è quella della messa in latino, ma quale messa.. Quella post-conciliare, secondo i nostalgici, è inficiata di idee teologiche pericolose. In realtà essi rifiutano il Concilio Vaticano II, del quale la riforma liturgica è il frutto più evidente per la gente".

Lo stesso 8 luglio, su Repubblica, Enzo Bianchi fa un ragionamento analogo, chiedendosi retoricamente: "Il messale di Pio V non rischia di essere il portavoce di rivendicazioni di una situazione ecclesiale e sociale che oggi non esiste più?" Se si potrà tornare a pregare "per gli eretici e scismatici, perché il Signore li strappi da tutti i loro errori... cosa significherà questo nei rapporti ecumenici con le chiese e con gli ebrei?" E difatti, nei giorni seguenti, arrivano le prevedibili reazioni: degli ebrei che vedono "il rischio insito nell’esaltazione della conversione forzata leggibile nell’antico rito latino", ma anche di diversi ambienti cattolici, a cominciare dal portavoce della Conferenza episcopale tedesca.

Il bello è che neppure i tradizionalisti sono contenti. Almeno a sentire quelli di Rovereto, il cui portavoce, l’avvocato Diego Senter, precisa: "Quello liberalizzato non è il Messale originale di San Pio V, bensì quello modificato da Giovanni XXIII", e cioè senza il "perfidis Judaeis". E c’è di più: quando Pio V divulgò il suo messale, "lo fece contestualmente ad una Bolla Pontificale che lanciava un anatema contro chiunque lo avesse modificato". Dunque il testo liberalizzato da Ratzinger "è colpito da anatema". Terribile.

Se poi, nonostante tutto, qualcuno ancora non credesse che questo è un papa pesantemente conservatore e anzi reazionario, il cui operato rischia di vanificare quanto di buono fatto dal suo predecessore, ecco sui giornali dell’11 luglio un’altra bella trovata, stavolta del Sant’Uffizio, che dopo avere sminuito il ruolo di svolta del concilio Vaticano II e proclamato che "la Chiesa cattolica è l’unica vera Chiesa universale di Cristo", dà le pagelle alle varie confessioni cristiane. Quelle protestanti, per cominciare, non possono assolutamente definirsi chiese, "perché non posseggono il sacerdozio ministeriale e non conservano integra la sostanza del mistero eucaristico". Un po’ meglio gli ortodossi, che però sono quanto meno "carenti", perché non riconoscono la supremazia del Papa.

Niente di nuovo, in realtà. Un analogo documento era già uscito 7 anni fa, quando lo stesso Ratzinger presiedeva il Sant’Uffizio. L’unico effetto concreto, dunque, è stato quello di rinnovare le arrabbiature e le polemiche che già allora erano divampate.

Il portavoce di 200 chiese protestanti si dice "sconcertato". Il patriarca di Mosca lamenta che il documento pontificio "non aiuta il dialogo, è un’offesa", e un vescovo copto arriva ai toni offensivi: "Invito Papa Benedetto XVI a svegliarsi dal coma".

Comunque la si pensi sull’ecumenismo e il dialogo interreligioso, è un fatto che questo papa sta facendoli a pezzi. E’ questo il "papa che conquista", che "sorprende il mondo risvegliando alla gioia" come scriveva su Avvenire (Giornalismo così) il direttore dell’Adige Pierangelo Giovanetti?