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Brasilia: i Senza Terra a congresso

18.000 delegati per discutere di terra, di istruzione, di energia e di rapporti con il potere.

Antonio Graziano

Una città di colori, musica e giustizia sociale, con un’estensione pari ad oltre quattro campi di calcio. E’ la piccola cittadella di capanne e tende di tela nata e cresciuta nella città di Brasilia, che ha ospitato per una settimana i delegati del quinto congresso nazionale dei Senza Terra (MST) del Brasile, il più grande della storia del movimento: 18.000 delegati arrivati da 24 stati del Paese con 380 autobus e 181 presenze internazionali da 31 paesi. Al primo congresso, tenutosi a Curitiba nel 1985, c’erano 1.500 delegati e nelle edizioni successive, svoltesi nella capitale, si passò dai 4.000 partecipanti del 1990 ai 6.000 del ’95, ai 12.000 del 2000.

Uno degli eventi più forti della settimana è stata la marcia per le strade di Brasilia. Un fiume di 7 chilometri che portava i colori del movimento, formato dai partecipanti al congresso, da militanti, venuti solo per il giorno della marcia, e dagli abitanti di Brasilia.

Il corteo ha avuto quattro tappe significative. La prima davanti all’ambasciata USA, dove sono state depositate 30 bare per denunciare i morti durante le guerre dell’imperialismo nordamericano. Una seconda tappa, davanti al palazzo Itamary, sede del ministero degli Esteri, per protestare contro l’occupazione militare del Brasile ad Haiti, sotto la maschera delle forze di pace delle Nazioni Unite. Altro punto nevralgico è stata la Piazza dei Tre poteri, dove su uno striscione lungo 32 metri si leggeva "Accusiamo i Tre poteri di Impedire la Riforma Agraria". Infine davanti all’alta Corte di Giustizia, per chiedere l’annullamento della privatizzazione della compagnia Vale do Rio Doce, responsabile di un problematico sfruttamento minerario.

Il congresso ha ricevuto l’appoggio di Fidel Castro e di Hugo Chavez. E dal Chiapas è arrivata la parola del subcomandante Marcos, che ha ribadito che nessuna nazione potrà definirsi sovrana se non farà in modo che "la terra sia di chi la lavora". Marcos ha concluso il suo messaggio augurandosi che "il vento di ribellione che viene dal Brasile dia nuovo vigore alla resistenza indigena in Messico".

La cerimonia di chiusura è stata caratterizzata da una suggestiva invocazione alla madre terra e dalla stesura della dichiarazione finale, che rappresenta un’agenda di lavoro per il futuro che richiama con forza la difesa dei diritti dei lavoratori, la lotta contro le multinazionali dell’agroesportazione, la fine del lavoro in schiavitù nell’agricoltura e dell’acquisizione dei latifondi da parte di imprese straniere e dell’élite bianca del Brasile. Anche la questione ambientale riceve grande enfasi attraverso la difesa della biodiversità, delle risorse idriche e delle foreste.

Una novità assoluta è il fatto che il movimento non si oppone ai biocombustibili, ma chiede che questi siano gestiti dagli stessi lavoratori della terra, in nome della sovranità energetica regionale. Anche l’educazione viene definita una priorità, con l’obiettivo di arrivare all’eliminazione dell’analfabetismo nel Paese. Infine, l’appoggio all’alternativa bolivariana dei popoli delle Americhe (ALBA), portata avanti da Venezuela, Cuba, Nicaragua ed Ecuador, per costruire un’integrazione economica e politica basata sulla giustizia sociale e sulla solidarietà tra i popoli.

L’MST è nato nel 1985, sulla base delle prime mobilitazioni collettive sorte per protestare contro la concentrazione della terra, la presenza del latifondo e lo sviluppo del sistema agroindustriale per l’esportazione, controllato da imprese transnazionali. Forte dell’appoggio della rete di comunità cattoliche di base che costituisce la Commissione Pastorale per la Terra (CPT), il movimento è cresciuto esponenzialmente negli ultimi anni.

La strategia principale si basa sulle occupazioni, azioni "illegali" utilizzate come strumento per accedere ad appezzamenti di terra improduttiva che non possiedono proprietari, o la cui proprietà è certificata da titoli illegittimi. La Costituzione del Brasile afferma infatti che la terra deve essere utilizzata per la produzione. Nella maggior parte dei casi gli occupanti devono abbandonare la terra a causa di una decisione giudiziaria; nasce così un accampamento contiguo alla zona originariamente occupata, che può arrivare ad ospitare diverse migliaia di persone. Al suo interno si costruiscono una chiesa, una scuola ed altre strutture destinate alla formazione e all’organizzazione politica. L’accampamento rimane in piedi anche per anni, fino a quando il governo non affida ufficialmente una terra agli occupanti.

Il lavoro dell’MST prevede anche campagne d’informazione e di sensibilizzazione. L’obiettivo è di illustrare all’opinione pubblica l’importanza di una riforma agraria che assicuri una redistribuzione della terra e la sovranità alimentare. Dalla prima occupazione, avvenuta 22 anni fa, queste richieste non sono mai state attuate in pieno. Non è stata sufficiente l’elezione di Lula, il presidente operaio scelto tra le file del partito dei lavoratori (PT) e fortemente appoggiato dai movimenti popolari, a soddisfare le richieste dell’MST e di tutti i senza terra del Paese.

Oggi in Brasile, esiste un esercito di 14 milioni di persone che convivono quotidianamente con la fame, mentre 72 milioni si trovano in una condizione di insicurezza alimentare, su una popolazione totale di 190 milioni. In tutto il Paese 230.000 famiglie, senza terra, vivono in accampamenti. Di queste 140.000 fanno parte dell’MST.

Il movimento e il presidente

I rapporti fra il presidente Lula e l’MST non sono facilmente definibili; da un lato è evidente che il secondo governo Lula è più a destra del primo, dall’altro l’MST, mentre organizza le occupazioni di terre, cerca comunque di mantenere una posizione di dialogo col governo. La faccenda si complica ulteriormente perché non sempre il partito del presidente ha la maggioranza al Congresso, e poi perché in Brasile esistono due distinti ministeri che si occupano di agricoltura, gestiti in maniera molto diversa: in parole povere, uno è di destra e l’altro di sinistra.

C’è infine la questione, di grande attualità, dell’etanolo, da sfruttare come fonte energetica, e di cui Brasile e Stati Uniti vantano il 72% della produzione mondiale, e per questo si stanno accordando in vista di un mercato comune.

Se lo scopo del risparmio energetico è lodevole, potrebbe essere discutibile il modo per arrivarci. Il Brasile produce l’etanolo tramite la canna da zucchero (gli USA, invece, lo fanno col mais) e questo, secondo l’MST e non solo, comporta alcuni interrogativi. Ad esempio, un’aumentata produzione non occuperebbe troppo suolo agricolo? E l’energia tratta dal metanolo sarebbe davvero più sostenibile, visto che nella fase industriale della coltivazione si consumano comunque combustibili fossili?

Di certo c’è che l’MST sta affiancando al concetto di sovranità alimentare quello di sovranità energetica: non si critica tanto la coltivazione della canna da zucchero per fini energetici in sé, ma la concentrazione della terra che anche questa attività comporta. Insomma, sì alla bioenergia, ma con la partecipazione dei piccoli agricoltori.