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QT n. 15, 15 settembre 2007 Cover story

La vittoria (incerta) di Dellai, la sconfitta (sicura) del Trentino

Il Partito Democratico in Trentino non si farà (forse, nel 2009...). Tutte le motivazioni (quelle vere) e le implicazioni (gravi) di una scelta arretrata: il prevalere nella Margherita dei feudatari di valle, una “casta” privilegiata, foraggiata e contraria ad ogni innovazione. Così il Trentino diventa, da supposto laboratorio, ultimo vagone: e l’Autonomia stessa perde le proprie ragioni d’essere.

E così ha vinto la Margherita: il Partito Democratico non si farà. Per intanto; poi, dopo le elezioni provinciali, nel 2009, si vedrà.

Giorgio Tonini, senatore dei DS.

Risultato forse scontato: per fare un matrimonio bisogna essere in due; e se per di più a non volerlo è il partner più bello e più ricco, non c’è niente da fare. Così i derelitti DS trentini, senza credito né locale né nazionale, che per disperazione il matrimonio lo volevano a tutti i costi, capitanati dal segretario Andreolli si erano rivolti a Roma per ottenere soddisfazione; e dalla capitale sono tornati con le pive nel sacco. "E non poteva che andare così" commenta il senatore Giorgio Tonini, diessino e smagato, ben addentro alle cose romane.

Il 14 ottobre, alle primarie, in tutta Italia si voterà per il segretario nazionale del nuovo partito (Veltroni, Letta o Bindi) e per l’organigramma locale; a Trento invece solo per il segretario nazionale, perché il Partito Democratico in Trentino non esisterà.

La cosa, di per sé, anche se segnala un pauroso arretramento del Trentino, ex "laboratorio politico" (e su questo torneremo) non è tragica. "Questa scelta nazionale, cui io ero contrario, di far svolgere contemporaneamente il voto nazionale e quello locale – dice Tonini – ha imbastardito il momento costituente. Si sono sovrapposti i due aspetti: che partito vogliamo da una parte, e gli assetti a livello regionale dall’altra. Ne sta uscendo un processo poco edificante, con i ceti dirigenti locali che si spartiscono i posti. Per questo non mi strappo le vesti se in Trentino non si segue questo percorso".

Il politologo Sergio Fabbrini.

"Sì, questa sovrapposizione sta risultando negativa – conferma il politologo Sergio Fabbrini, docente a Sociologia a Trento – Di più: votare per il partito locale in date diverse da quelle nazionali, è un passaggio positivo: per sottolineare il carattere autonomo del Partito Trentino, che con quello nazionale non potrà che essere federato a quello nazionale".

Quindi, niente drammi?

Calma. Non è che in Trentino il PD venga costituito in data diversa da quello nazionale, uno o due mesi dopo; non viene costituito affatto. E soprattutto per ragioni poco nobili, anzi molto gravi.

"Si dice, a iniziare da Dellai, che non si vuole fare un ‘partito fotocopia’ di quello romano, che il nostro deve essere un partito autonomo, ecc... Tutte storie – afferma Giovanni Kessler, nella scorsa legislatura senatore per i DS – Il 14 ottobre si doveva eleggere l’Assemblea Costituente Trentina, che doveva redigere lo Statuto del partito trentino: più autonomi di così! La verità è un’altra e più brutale: per le elezioni del 2008 vogliono farsi le liste loro, per farsi i loro soliti giochi, senza primarie tra i piedi, senza assemblee costituenti che sono un’incognita".

Giovanni Kessler, sentore (Ds) nella scorsa legislatura.

Difatti, tutto il dibattito sul Partito Trentino Autonomo è risultato semplicemente grottesco; per il PD romano la più ampia autonomia a Trento andava e va benissimo, e i nostri prodi continuavano a "lottare" per un’autonomia da nessuno messa in discussione.

La verità è quella sostenuta da Kessler: è il PD che non vogliono. "I vertici della Margherita ce lo dicevano in faccia, con plateale arroganza: ‘Il Partito non si fa. Punto’" – rivela Chiara Simoncelli, vicepresidente dell’Associazione per il Partito Democratico.

Il punto allora è: perché la Margherita trentina il PD non lo vuole?

Come abbiamo visto, Kessler ha portato una motivazione, brutale ma reale: i posti per le elezioni 2008. Verissimo, ma non basta.

La motivazione che più si sente ripetere, è che nelle valli non si è pronti a votare per un’alleanza con i DS, gli ex-comunisti. Una riesumazione dell’antico "fattore K", per cui non si poteva votare – e con qualche buona ragione – per i comunisti. La motivazione sta poco in piedi: nelle valli hanno già eletto sindaci, senatori, deputati comunisti doc, ex e post comunisti, il fattore K tutt’al’più sussiste per una frazione irrisoria dell’elettorato. E’ vero invece che, oggi come oggi, la sinistra porta scarso valore aggiunto: maciullata (per sua colpa) nell’esperienza della Giunta Dellai, all’interno della quale i suoi assessori sono i peggiori, senza più progetti né orizzonti, è un alleato ormai poco ingombrante, eppur fastidioso.

Anche i rapporti personali sono sotto i tacchi: a livello nazionale tra Veltroni, Bindi e Letta c’è competizione, ma indubbi rapporti di reciproca stima; a Trento il presidente Dellai apertamente disprezza i suoi assessori diessini Cogo e Andreolli, e questi, per converso, lo detestano. Non sono ovviamente queste le premesse per un’unificazione.

Il problema vero, è comunque dentro la Margherita. Dove, non dimentichiamolo, Dellai ha perso l’ultimo congresso. Il Principe, il Governatore, il geniale inventore di scatole politiche, si era reso conto della deriva della Margherita: ostaggio dei potentati di valle, in una sorta di neofeudalesimo territoriale (come definito da Renato Ballardini), che agglutina attorno ai boss politici il ceto amministrativo e i poteri economici più arretrati, dipendenti dai contributi pubblici; una macchina del consenso poderosa ma oggi vecchia, non più all’altezza; e difatti costretta ai ricatti (il famoso scandalo della "magnadora") ed entrata in crisi nelle ultime consultazioni. Dellai capiva la situazione, ma rispondeva confusamente, lanciando comitati etici e nuovi giovanissimi segretari; ma al congresso veniva sconfitto pesantemente.

Lorenzo Dellai, presidente della Giunta provinciale, nonchè inventore/fondatore della Margherita.

Nella Margherita, ora, la linea di fondo non la dà più Dellai, che con i vincitori è dovuto scendere a patti leonini, bensì la coppia Silvano Grisenti (l’ex potentissimo assessore all’asfalto, ora presidente dell’A 22) e Adelino Amistadi (consigliere provinciale e boss delle Giudicarie).

L’immagine visiva, plastica, dell’agglomerato sociale costituitosi attorno ai due, è venuto da un raduno di quest’estate di sindaci e amministratori; organizzato nella sua Roncone da Amistadi, ha avuto il momento clou nella visita pastorale di Silvano Grisenti, arrivato – nel ruolo di politico - a bordo dell’Audi presidenziale dell’Autobrennero (come se un poliziotto la domenica usasse l’auto di servizio per andare a sciare), e subito scagliatosi contro l’"antipolitica" e le campagne "demagogiche" sul "costo della politica, che in realtà non è un problema"; gli astanti, tutti beneficiati dai corposissimi aumenti di diarie e indennità propugnati in Consiglio provinciale da Amistadi, estasiati applaudivano.

Da una siffatta base sociale e gruppo dirigente, quale Trentino può venir fuori? E per converso, da essi è logico aspettarsi l’ostracismo verso qualsiasi cosa che lontanamente odori di modernizzazione e sburocratizzazione: di qui l’odio viscerale per la sinistra da una parte, e la ripulsa delle primarie dall’altra.

"Certamente, dove c’è l’Autonomia, possono in negativo emergere caratteristiche di corporativismo territoriale – commenta Fabbrini – Questo è il compito della politica: elaborare una strategia, dei progetti per un territorio, non solo distribuire risorse. E’ qui che proprio la sinistra, per i suoi legami con i ceti modernizzanti, dovrebbe svolgere il suo ruolo; e qui si apre il discorso di dove si situa il baricentro del PD: se con chi vuole riformare, o con chi vuole un nuovo Patt".

Silvano Grisenti (Margherita) già super-assessore provinciale ai Lavori Pubblici ed agli Enti Locali, oggi presidente dell'Autobrennero.

Di fatto Grisenti e Amistadi hanno detto no: questo discorso neanche lo incominciamo, il partito non lo facciamo proprio.

"In questi anni, in Trentino, abbiamo avuto, unici al Nord, un governo di centro-sinistra proprio perché la Margherita è una cosa larga, perchè comprende gli Amistadi – replica Tonini – Se ora noi spingessimo perché la Margherita si rompa, regaleremmo tutto un ceto sociale al centro-destra".

Il ragionamento di Tonini ci sembra formalmente ineccepibile, ma in realtà drammaticamente inerte e statico, in linea con l’immobilismo diessino di questi ultimi anni. L’obiettivo da perseguire non ci sembra debba coincidere con quello che fa vincere il centro-sinistra, ma con quello che fa progredire il Trentino. E la "casta locale" allevata dagli Amistadi è un fattore fortemente regressivo.

Rinunciare alla progettualità che urti le baronie locali, rinunciare all’innovazione in politica per non infastidire i boss, ci sembra una strada senza sbocchi.

"Il PD doveva dare una casa alle idealità e agli elettori dell’Ulivo. Mi sembra che per inseguire un certo ceto amministrativo, si stiano voltando le spalle all’elettorato ulivista" - afferma Chiara Simoncelli.

E’ questa la strada giusta? Per di più proprio oggi, quando il fenomeno Beppe Grillo, come il più generale sentire della popolazione, manda segnali di vistosissima e salutare insofferenza verso le caste incistatesi nell’apparato pubblico.

C’è infine un ultimo elemento di preoccupazione: il percorso testè intrapreso riempendosi la bocca della parola Autonomia, proprio per l’Autonomia ci sembra pericolosissimo.

Non prendiamoci in giro: il Trentino Provincia Autonoma, per di più a statuto speciale, è nel mirino di tanti. Noi possiamo rivendicarne il senso solo se siamo per davvero, e non a parole, un laboratorio, e in questo ruolo siamo utili agli altri. E in effetti lo siamo nella politica per la montagna, e possiamo esserlo in quella per la ricerca, nel risparmio energetico; lo siamo stati nelle politiche ambientali, nell’acculturazione diffusa. Siamo anche stati laboratorio politico (sull’unità socialista, su quella sindacale, sulla stessa intuizione della Lista Civica Margherita).

Ma in questi ultimi anni abbiamo segnato il passo. Ora, con l’arroccamento nel feudalesimo territoriale, esemplarmente espresso dal rifiuto del Partito Democratico e delle sue sia pur parziali innovazioni, andiamo drammaticamente indietro. Da laboratorio a retroguardia, sempre in nome dell’Autonomia. E sempre in nome dell’Autonomia combattiamo battaglie regressive con l’Italia e con l’Unione Europea, con cui la nostra economia clientelare e sovvenzionata entra spesso in conflitto.

Di questo passo siamo destinati a perdere rapidissimamente i bonus economici, e in un futuro non lontano la stessa Autonomia.