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QT n. 16, 29 settembre 2007 Servizi

Il partito di Homer Simpson e quello di Beppe Grillo

I rischi dell’antipolitica e le difficoltà di chi non vuole stare né con Mastella né con Grillo.

Immaginiamo Homer Simpson candidato alle primarie del Partito Democratico. E’ facile ipotizzare i suoi principali punti programmatici: edonismo alimentare, consumi, egoismo divanesco e pigrizia domestica come rivendicazioni politiche. Homer Simpson non è una persona di ideali. Quando "scende in campo", finisce di solito per combinare danni.

Homer Simpson

Uno degli esempi più belli lo si ritrova in un episodio della stagione 9 dei Simpson, "Spazzatura fra i titani". La puntata inizia con un Homer che non ne può più di dedicarsi a un’attività noiosa: portar fuori la spazzatura da casa. Litiga con gli operai della nettezza urbana e poi col commissario all’igiene pubblica del comune. La baruffa diventa una sfida. Homer decide di candidarsi contro di lui alle nuove elezioni per la carica di capo dei netturbini. Lo fa, naturalmente, alla Homer. E riesce a inventarsi uno slogan elettorale straordinario, geniale: "Non può farlo qualcun altro?".

Lo slogan fa ridere, ma il problema è che, oltre a far ridere, alletta. A chi piace portar fuori l’immondizia? Non può farlo qualcun altro? L’elogio della pigrizia, com’era prevedibile, convince gli abitanti . Homer viene eletto, ed è l’inizio di un cataclisma che ridurrà Springfield a un’enorme discarica a cielo aperto. A fine puntata, la città viene messa su ruote e trasferita a qualche chilometro di distanza.

Il fallimento della democrazia rappresentativa – e lo sfruttamento da parte della politica degli istinti più bassi della popolazione – trova in questo episodio (e in quello slogan) una visualizzazione efficacissima. Homer rappresenta in modo enfatico e grossolano la corsa al ribasso di cui siamo tutti testimoni: lo slogan più demagogico, che punta sulla paura (si pronuncia: sicurezza), sull’egoismo (magari fiscale), sulla pigrizia (fisica o intellettuale) è quello che ha più probabilità di vincere.

E’ all’episodio "Spazzatura fra i titani" che assomiglia più di ogni altro il film dei Simpson uscito nelle sale. Anche in "Simpsons – il film", Springfield si trova a fronteggiare un’emergenza ambientale. Il maggior responsabile della catastrofe che ha indotto il governo americano a sigillare la città all’interno di una cupola di vetro è naturalmente Homer. La trama dà però a Homer la chance per una redenzione. E’ una struttura narrativa che ritorna spesso nei Simpson: Homer è il responsabile di una sciagura cui riesce, dopo varie peripezie, a rimediare egli stesso.

La cosa che piace di Homer è che non fa nulla per nascondere i suoi difetti. Non li camuffa da virtù. Se si lancia in proclami politici, non fa finta di essere diverso da quello che è. Quando fallisce, i suoi fallimenti sono eclatanti. Il suo essere un perdente è uno stato dell’anima. Homer è quel che si dice un beautiful loser, una persona che non ha possibilità di vincere ma che trova in questa manifesta debolezza/sfigataggine/ottusità un motivo di enorme simpatia.

Nella sua scorrettezza è una persona corretta in modo esemplare. Paga infatti in prima persona le conseguenze del suo essere insensibile, grasso, consumista, cinico, "senza valori". Quando si applica a cose più grandi di lui candidandosi a salvatore della patria, non lo fa perché ritiene di poterci guadagnare personalmente qualcosa (per stare bene non gli serve poi tanto: ciambelle, divano e birra); è perché sente maldestramente di avere idee per cambiare il mondo.

Rispetto alla politica e anche all’anti-politica che ci troviamo intorno, la differenza è che Homer paga sulla sua pelle le conseguenze delle sue azioni. Umanamente e socialmente. Nell’episodio televisivo, dopo che Springfield è immersa nella spazzatura, Homer viene mollato dal popolo che l’ha eletto, che rivuole indietro il commissario di prima. Nel film, rischia di subire un linciaggio da parte degli abitanti della comunità in cui vive.

La scorrettezza di Homer è talmente manifesta e auto-esposta che conferisce al personaggio un grosso pregio: quello di essere sincero. Homer Simpson non sa dire, rimbaudianamente, "moi est un autre". Homer Simposon è l’Homer Simpson che vediamo, e nient’altro: non ha altre personalità da nascondere nell’armadio, è incapace di celare le componenti brutte del suo essere. Alla fine, quindi, ritroviamo in lui un’invidiabile correttezza. Non è poco, in un mondo in cui fanno tutti finta di essere più buoni, più intelligenti, più onesti di quello che sono.

A questo proposito, è illuminante un dialogo di Gipi che riportiamo dal penultimo "Internazionale": "E quando sono tornato, nel mio Paese erano comparse un mucchio di persone oneste. (‘Noi siamo onesti!’). Erano una folla enorme ed erano tutti onesti. Tutta gente per bene. (Madre del narratore: ‘Sì, certo. E il culo gli profumava di violette’). Questo non lo so. Ma avrei voluto unirmi a loro e dire ‘sono onesto anch’io’. E pure: ‘Insieme cambieremo il mondo!’. (Madre: ‘Snif snif’. Narratore: ‘Mamma, cosa annusi?’). E non ci sono riuscito".

Il movimento di Beppe Grillo si scontra con una difficoltà evidente, che coglie tutti coloro che si vanno a schierare a passo deciso, senza dubbio alcuno, dalla parte del bene – delle battaglie giuste, dell’onestà, della denuncia, della grazia. Viene subito in mente Brecht, quando scrive: "Ci sedemmo dalla parte del torto, visto che tutti gli altri posti erano occupati".

Con Grillo avviene il processo opposto: sono i posti del torto, nella politica italiana di oggi, a risultare tutti occupati. E così a Grillo è bastato raccogliere al volo lo Zeitgeist per diventare a tutti gli effetti un capopopolo. Il fisico del Savonarola Grillo ce l’ha sempre avuto.

Beppe Grillo

Già anni fa girava i palazzetti dello sport di tutta Italia indossando un saio. Anche se per molti anni la rabbia di Grillo non si è sfogata più di tanto contro la politichetta italiana ma, piuttosto, contro come va il mondo: contro i disastri del capitalismo, i suoi controsensi ambientali, le truffe, gli inganni delle multinazionali... Sarebbe bello se anche dietro a questi temi si manifestasse il consenso di massa che si è evidenziato prepotentemente con la manifestazione dell’8 settembre.

Un consenso che ha colto impreparati i politici nazionali, e ha suscitato almeno un paio di incredibili reazioni nella politica trentina: vale la pena non perdersele. Una è quella di un Giacomo Bezzi folgorato sulla via di Damasco dell’anti-politica. Bezzi – il 23 settembre, il giorno prima della (mancata) venuta a Trento di Grillo – scrive un’e-mail direttamente al comico genovese in cui dichiara fra le altre cose: "Sono convinto e dico che i troppi soldi dell’autonomia trentina stiano addormentando le idee delle future generazioni, danneggiando l’immagine di sana laboriosità e determinazione che era dei nostri padri i quali hanno offerto di questa regione un buon esempio di convivenza pacifica fra gruppi linguistici diversi e di una vita solidale e dignitosa.

Oggi abbiamo la ‘pancia piena’ e siamo forse anche un po’ egoisti; per questo condivido la tua sollecitazione".

Il tono è evangelico. Il peccatore pentito spera che il suo parce domine arrivi – per intercessione non di qualche santo ma dell’ADSL – nell’alto dei cieli grilleschi.

Altro momento ridicolo è quando il consigliere Cristano de Eccher, anche lui, prova maldestramente a cogliere al balzo la palla dell’anti-politica. Dicendo ai giornali (L’Adige del 24 settembre) che occorre far sapere ai cittadini "che in questa Provincia si spendono milioni di euro per la pace, la solidarietà internazionale, le associazioni culturali. Che qui, tanto per fare un esempio, si spendono 14 mila euro per i detenuti del Mozambico".

Ecco che anche quei 14 mila euro per le carceri africane – soldi ben investiti come pochi – finiscono nel calderone dell’anti-politica. Persino la pace nel mondo diventa motivo di attacco contro gli sprechi. La pace nel mondo!, il motivo per eccellenza, retorico quanto si vuole ma forte e motivante, per investire e darsi da fare nella politica.

Non si riesce quindi a parteggiare né per la politica dei politici né per l’anti-politica, che ci mette un attimo a degenerare in uno sparare indiscriminato, contro quale bersaglio non importa; a esprimere solamente uno sterile vaffanculo contro ogni tipo di scelta, di investimento, di prospettiva.

In mezzo a tutta questa confusione non si capisce nemmeno più che senso dare a quella parola, politica, un tempo amata e ora tanto odiata.

Per essa bisognerebbe andare in cerca di nuovi significati, ripartendo da se stessi e dalla propria sincerità per trovare, passando magari anche per Springfield, un modo per non stare né con Grillo né con Mastella.