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Piazza Alexander Langer?

Una proposta avversata con squallide motivazioni. La convivenza predicata da Langer fu allora sconfitta; ma oggi si inizia a rendersi conto dell'errore fatto.

Si è trascinato per una lunga parte dell’estate il dibattito sui nomi da dare alle strade del capoluogo. Fra gli altri nomi proposti c’era quello di Alexander Langer. Letti tutti insieme da chi scrive, al ritorno da una lunga assenza, gli argomenti contrari, portati dalla SVP e infine accettati dai partners di centrosinistra della giunta, mi hanno fatto venire voglia di espatriare nuovamente.

La proposta è stata bocciata dal capogruppo della SVP, un esponente dell’estrema destra nazionalista all’interno del partito, al quale però nessuno del gruppo si oppone. Il suo linguaggio è brutale e sproporzionato, ricorda i titoli sui giornali degli anni del conflitto, per intendersi quando Magnago diceva che Langer era di gran lunga più pericoloso dei neofascisti, per avere contrapposto al progetto separatista un modello di convivenza interetnica che metteva a rischio il monolitismo del gruppo etnico tedesco.

La convivenza teorizzata da Alexander Langer in realtà coniugava la valorizzazione delle differenze e la creazione di una società integrata, e puntava alla nascita di una cittadinanza indivisa in cui l’una o l’altra identità non costituisse un elemento di valore o di disvalore. Un’anticipazione di quanto accade oggi, a dispetto dei politici. Allora vinsero gli altri, ma ancora oggi moltissimi sentono che, per la gente che qui vive, è stato un errore quello di non aver saputo accogliere a tempo quella proposta. Rimane, nel Sudtirolo dei diritti etnici garantiti, qualcosa di irrisolto, che provoca malessere e non permette di sviluppare appieno le possibilità offerte da una condizione di pluralismo culturale.

In queste settimane si raccolgono firme per salvare le sperimentazioni linguistiche della scuola italiana, che verrebbero soppresse se venisse approvata la legge della SVP contro l’autonomia delle scuole. Se accadesse l’inverso, la SVP andrebbe immediatamente alla Corte Europea, per rivendicare l’autonoma decisione in materia culturale.

La prima pagina della Zett (il settimanale del Dolomiten) del 30 settembre sui bambini del gruppo tedesco che imparano “segretamente” l’italiano. In basso, i due articoli: “Muro di silenzio sui corsi segreti” e “Per l’immersione nessuno perde l’identità”.

In questi giorni la Zett e il Corriere della Sera scoprono che in alcune scuole di Sarentino, Castelrotto ed Ora, i bambini della scuola per l’infanzia di lingua tedesca prendono lezioni di italiano. A spese dei genitori, ma soprattutto di nascosto. Come è accaduto per anni e anni negli asili di lingua italiana, nei quali ora vige la cosiddetta sperimentazione (estesa a tutti e senza termine).

La proposta politica di Alexander Langer era esposta in modo semplice, ma era complessa e chiedeva impegno e cultura da parte dei politici e dei cittadini: troppo difficile per la mediocre classe politica italiana locale al governo, attenta alla divisione dei soldi, ma senza progetti né idee generali. Così ci si fece complici di un modello di autonomia che immiseriva le intenzioni di Degasperi e Gruber che in ben altro avevano sperato.

Anche oggi i politici comunali hanno reagito al veto della SVP con l’incredibile motivazione, enunciata (sic!) dai consiglieri verdi, che "Langer non avrebbe voluto un conflitto sulla questione di un nome". Negando con queste parole tutto il senso di un’esistenza, esemplare nell’assunzione di responsabilità nel fare scelte anche difficili e di minoranza, impegnandosi per ciò che si ritiene giusto, pronto a pagare in prima persona il conto del proprio coraggio, consapevole fino in fondo del significato delle parole. Soprattutto per chi fa politica.

Nello specchietto "dei favorevoli e dei contrari" pubblicato dall’Alto Adige si trova nella prima colonna anche qualche esponente della SVP, della destra e Durnwalder; verdi e sinistri sono fra i "favorevoli, ma però...".

Infine decisivo per la maggioranza è stato l’argomento che Alexander Langer si è suicidato. Una ragione che rivela ignoranza e volontà di mistificazione. Che mi fa indignare. Langer si è ucciso, come hanno fatto, tra tanti altri, Cesare Pavese, Primo Levi, Socrate. Come Giannantonio Manci, il partigiano che non voleva tradire i compagni sotto tortura.

Le persone si uccidono perché sono infelici, perché hanno perso il lavoro, perché sono sole o sopraffatte dalla durezza della vita. Siamo la regione italiana con il maggior numero di suicidi, solo i politici chiusi nel palazzo lo ignorano. Il valore di una vita non può essere negato a causa delle modalità di una morte. Ne hanno fatto una scusa per non dover riconoscere il valore di una persona speciale, e naturalmente per viltà, per non voler affrontare la Volkspartei più becera e sono certa nient’affatto rappresentante del suo popolo. Qualcuno si è ritenuto "coperto" dalla recente linea della Chiesa cattolica, spietata nel caso Welby, tanto quanto è sfuggente nel caso di gravissime colpe di suoi funzionari e compiacente con i celebri o i potenti.

Tuttavia, al contrario di una Chiesa, la società civile non può fare della mancanza di compassione e di umanità un suo valore guida. I politici che con leggerezza hanno portato questo argomento farebbero bene a leggere Kant (Etica del suicidio) e Drewermann (Psicanalisi e teologia morale), un teologo non di moda, vicino al dolore degli esseri umani. Ci dicono che prima del giudizio venga il rispetto.

Sulla proposta di dare il nome di Langer a una strada o a una piazza, il giornale Alto Adige ha aperto un dibattito. Di recente lo fa su tutto, questioni serie o frivole che siano. In questo caso ne è uscito un bel dibattito, cui hanno partecipato anche due bravi giornalisti dello stesso quotidiano. La dirigenza politica del comune del capoluogo ne è uscita a pezzi. In questo consiglio comunale è stato approvato con voto trasversale perfino un improbabile "Via martiri delle foibe" (che erano piuttosto vittime, e di vari carnefici, piuttosto che martiri in nome di un ideale o di una religione), ma non si è saputo superare l’astio e l’invidia per uno dei figli più amabili e degni di questa terra.

Negli ultimi anni il comune di Bolzano ha fatto degli sforzi per far emergere la memoria di episodi e personaggi della storia della città. La ricerca storica ha cominciato ad affrontare anche questioni spinose, che rompono i tabù dei rispettivi cortili etnici e presentano un quadro di verità condivisa che può aiutare ad andare avanti un processo di crescita della convivenza. Ora questo cedimento e lo squallore delle motivazioni addotte dai responsabili non bloccherà questo processo, ma certamente non vi contribuisce.

La società sudtirolese procede sulla via della pace e dello sviluppo, non certo per merito, ma piuttosto nonostante la sua classe politica, la quale ha dato un nuovo segnale di inadeguatezza morale e culturale, negando alla società e soprattutto alle nuove generazioni la possibilità di ricordare e di conoscere, con il segno semplice e forte di un nome su di un cartello pubblico, un cittadino che si è distinto nell’impegno per il bene comune.