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QT n. 18, 27 ottobre 2007 Monitor

“Invasion”

Di Oliver Hirschbiegel il quarto film della storia del cinema sugli ultracorpi: decisamente bruttino. Ma che presenta un'ideologia su cui discutere...

Come hanno notato due giovani amici all’uscita del cinema, le tre sale del Modena sembravano proporre tutte la stessa trama: "Invasion", "28 settimane dopo" e "Resident Evil: Extinction" raccontano storie di invasione, contagio, estinzione. Sono evidentemente spunti che attraggono il nostro sguardo. L’industria hollywoodiana continua a raccogliere ed elaborare le nostre ansie, a riproporcele attraverso il cinema. Invasione, contagio ed estinzione tornano così verso di noi opportunamente filtrate, rimesse in forma narrativa. Sugli effetti sociali che producono queste visualizzazioni cinematografiche dell’insicurezza, le tesi sono contrastanti: forse ci assuefanno al terrore, forse tengono deste le nostre paure, forse ci rendono pronti al cambiamento, anche quando esso si presenta sotto forma di disastro.

"Invasion" è un film di ultracorpi, quarta pellicola nella storia del cinema a essere tratta dal seminale romanzo di Jack Finney pubblicato in America nel 1955. Non sono molte le narrazioni su cui, come per "L’invasione degli ultracorpi", il cinema, nei decenni, continua a tornare. E’ interessante, quindi, interrogarsi sui motivi che rendono una storia tanto potente da esser capace di coinvolgere tanto il cittadino degli anni ‘50 quanto quello di fine anni Duemila.

"L’invasione degli ultracorpi" di Don Siegel (1956), inserito nelle contorte trame culturali della Guerra fredda, finisce con un uomo che avvisa le autorità del pericolo che corriamo di essere sostituiti senza accorgercene dalla nuova specie aliena. Le autorità sembrano prendere provvedimenti e il film finisce così. Nel 1978, "Terrore dallo spazio profondo" racconta la stessa storia ma con un finale diverso: gli ultracorpi vincono e l’umanità, quasi sicuramente, si estingue. Anche John Carpenter, nel 1993, realizza la sua versione della storia degli ultracorpi. E anche lì, se si intuisce giusto, per l’umanità rimangono ben poche chance.

Arriviamo ad "Invasion", anno 2007, regia di Oliver Hirschbiegel, protagonista Nicole Kidman. Un film decisamente bruttino, improbabile, dal ritmo altalenante. Non penso faremo quindi torto a nessuno se per una volta ne riveliamo il finale. Non è certo per le sue qualità cinematografiche che vogliamo infatti parlare di "Invasion". Lo facciamo piuttosto per quel che dice a livello ideologico. Per il suo finale, appunto. "Invasion" è il primo film di ultracorpi in cui, appena prima della fine della pellicola, il mondo viene liberato dagli extra-terrestri, senza dubbio alcuno sulla riuscita dell’operazione.

Per la retorica che costruisce, la cosa interessante è che quando il pianeta è dominato in gran parte dagli ultracorpi – che si sono sostituiti agli umani sin nei più alti vertici governativi – nel mondo scoppia la pace. La CNN continua a trasmettere notiziari che mostrano lo sciogliersi delle tensioni internazionali: Nord e Sud Corea si mettono d’accordo, così come Pakistan e India; cessano gli attentati suicidi in Iraq; Bush e Chavez si stringono la mano; a Teheran tutti improvvisamente diventano buoni; in Africa si distribuiscono gratuitamente i farmaci contro l’AIDS; viene nominato persino il Darfour...

Questa versione del pianeta Terra è pacifica perché è retta da ultracorpi, esseri che sono espressione di un’unica entità collettiva più che di singole esistenze individuali. E’ normale, quindi, che essi siano capaci di porre fine ai conflitti. Ma gli ultracorpi sono freddi, glaciali nello sguardo, privi di sentimenti e di emozioni. Essi vivono come tanti pacifici alberi in una foresta. Sono dei vegetali.

Quando nel finale vengono sconfitti e la Terra torna ad essere governata dagli uomini, la televisione trasmette subito resoconti sulla ripresa dei combattimenti nelle regioni del Medio Oriente. Con il linguaggio semplificato del cinema di genere, "Invasion" ci sta dicendo che se vogliamo tenerci strette le parti più passionali e creative dell’animo umano dobbiamo accettare anche che esso sia destinato a scatenare guerre. Una Terra senza guerre è una Terra dove l’uomo ha perso la sua umanità. Hollywood finisce per proporre un modello di mondo a misura di Sade, in cui la veracità della natura dell’uomo si esprime nel dare sfogo alla propria smania di violenza.

A queste condizioni, se è questa l’umanità che vogliamo tener viva, vale davvero la pena, come fa Nicole Kidman, di sbattersi così tanto per salvarla? Il dubbio è concreto. Se negli anni Cinquanta l’ultracorpo rappresentava, senza troppe ambiguità, l’egualitarismo comunista, nei nostri anni l’ultracorpo è un pacifista che ha il difetto di essere troppo serioso. La Kidman affronta l’ultracorpo più smidollato e facile da debellare della storia del cinema, destinato ad essere cancellato senza troppi sforzi e in pochi minuti.

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