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QT n. 7, 7 aprile 2008 Servizi

Difesa delle Alpi e buoni affari

Come combattere con successo l’omologazione industriale dell’agricoltura.

Un ciclista sta pedalando su una dolce salita; nel porta-pacchi posteriore della sua bicicletta spunta ai due lati una cassetta in legno, carica di verdure. Poco dopo, ecco un altro ciclista che porta sul portapacchi anteriore una cassetta simile, piena di caciottine, formaggi, yogurt… dai bordi spuntano anche due salamini. Stiamo attraversando il paese di Saint Cassien, alle porte di Grenoble, in Francia, Tutt’attorno alla più grande città delle Alpi, decine di agricoltori biologici hanno deciso di fare fronte comune: è sorta così una cooperativa, poi decine di cooperative. Vi sono produttori che coltivano ortaggi e frutta, altri specializzati nell’allevamento del bestiame e nella produzione dei relativi prodotti secondari, altri ancora commerciano essenze aromatiche. Tutte le aziende hanno ottenuto la certificazione biologica dei loro prodotti e sono unite nell’Associazione per al Conservazione dell’Agricoltura tradizionale, AMAP. Ogni AMAP conta venti- trenta associati che stipulano dei contratti, degli impegni. Devono cioè fornire settimanalmente al centro di raccolta una o più ceste di prodotti freschi. Gli obiettivi statutari di queste associazioni sono quelle di offrire al consumatore prodotti genuini, a basso costo e inseriti in una filiera di gestione più breve e diretta possibile. Ogni produttore riesce in tal modo anche a costruirsi un lavoro redditizio, indubbiamente più salubre e sereno. Ma a quanto sembra, non sono solo questi i risultati ottenuti dal lavoro cooperativo: si è diffusa solidarietà fra agricoltori, la campagna e le colline circostanti sono ritornate a fiorire, si è costruito un legame diretto di scambio culturale ed economico fra la città e la campagna, e i grossisti abituati alle speculazioni sono stati costretti ai margini del circuito economico.

Nel viaggiare fra queste associazioni, di collina in collina, troviamo altre sorprese: fra gli agricoltori vi è un’elevata percentuale di ingegneri, che lavorano a part-time ad esempio sulla progettazione e realizzazione di case clima, di case in legno, sfidando i palazzoni della città, il traffico autostradale che incide le campagne. Si percepisce anche una rinnovata armonia: la produzione locale e la sana alimentazione aiutano a ritrovare, a comprendere il ritmo delle stagioni.

Queste forme associative di produttori hanno riscontrato un successo che ha dell’incredibile, tanto che per aderirvi ora bisogna mettersi in fila, superare severi test che riguardano la qualità dei prodotti offerti e la continuità produttiva; dalla città si scappa ormai con sempre maggiore frequenza nella vicina campagna o montagna. In pochi anni si è così invertita la tendenza avviata con il dopoguerra: dalla città si fugge, anche disperati a volte, per ritornare a vivere ritmi più umani e recuperare la socialità perduta. 

Passando alle Alpi orientali, in Slovenia, troviamo invece altre intuizioni sociali. La stupenda valle del Logar rischiava di venire soffocata dal turismo: Marko Slapnik, una guida alpina,  voleva evitare alla sua valle la fine ingloriosa delle varie Cortina d’Ampezzo o delle Campiglio trentine. Se si fosse lasciato spazio al normale trend dello sviluppo turistico, la "risina" per il trasporto delle bore sarebbe scomparsa, i silenzi di questi ampi spazi sarebbero andati perduti per sempre, le tante storie di vite sofferte si sarebbero trasformate in vuoto folklore. Come poter vivere nella valle del Logar senza perdere identità e autogestendo la locale ricchezza? Il turismo fa parte della storia di questa valle ed infatti nel 1987 l’amministrazione comunale di Morizje istituì un parco paesaggistico. Ma allora non c’erano soldi né per gestire la conservazione del territorio, né per indirizzare ed accogliere gli ospiti in continuo aumento. Dopo la caduta del muro di Berlino il boom turistico sembrava dirompente: arrivavano i turisti, sempre più numerosi, sempre più invadenti, e la valle cominciava a presentare fratture sociali e squilibri ambientali. Fuochi accesi nei boschi, rifiuti ovunque, assenza di sorveglianza e le macchine che arrivavano fin dove i motori permettevano, nel cuore dei pascoli. Ma negli abitanti della valle rimaneva presente una forza, una idealità comune. Non si dovevano vendere le proprietà, specialmente agli estranei, era fondamentale mantenerle intatte. Ma queste virtù, all’inizio degli anni Novanta, non erano più sufficienti: bisognava costruire un’alleanza, con degli obiettivi comuni per affrontare un’emergenza. La soluzione venne individuata, dopo un lungo percorso, nella costituzione di una cooperativa con tutti gli interessati protagonisti a pari titolo; e direttore divenne l’ex guardia forestale  August Lenar. Oggi l’azienda è autosufficiente, assume dipendenti, gestisce i flussi di visitatori, permette una ricaduta equa delle entrate e specialmente si è trovato un metodo condiviso per tutelare la risorsa principale della zona, il paesaggio.

La valle del Logar, in Slovenia.

Per entrare con l’auto si paga, specie il turista giornaliero, altrimenti si lascia l’auto all’entrata della valle e si prosegue a piedi o con mezzi di trasporto pubblici. La valle conta 100.000 visitatori l’anno, i progetti vengono finanziati dall’Unione Europea, sono stati costruiti sentieri, sono state formate e quindi assunte guide naturalistiche, si promuovono passeggiate a cavallo, tiro con l’arco, voli in parapendio, lavoro per le guide alpine. Sono state scartate ipotesi importanti, come quelle riguardanti campi da tennis e specialmente un grande campo da golf, e si è costruito invece un nuovo ordine urbanistico. Il motto è sempre stato "Non costruiamo un parco divertimenti, ma costruiamo e gestiamo noi casa nostra". E così è stato istituito il marchio "Logar".

Quest’anno l’area protetta sarà allargata, diventerà un parco naturale ampliato di ben sei volte, tanto da inglobare tutte le Alpi di Kamnik, guardando già oltre, al parco transfrontaliero, verso l’Austria. Allo scopo di allargare la solidarietà, rafforzare la democrazia partecipata e la condivisione delle decisioni, moltiplicare l’effetto impresa, mantenere attivi i servizi offerti. E così parte questa nuova, esaltante scommessa, unica in Europa. 

Abbiamo riportato due esperienze che hanno una base comune, in cui le decisioni riguardanti lo sviluppo e la qualità del vivere vengono prese sulla base di un confronto ampio, di un intreccio positivo fra istituzioni e volontà popolare. E’ possibile esportare sul nostro territorio queste esperienze?

Riguardo la prima, alcuni fermenti sono già attivi da alcuni anni, anche consolidati. Pensiamo all’energica azione dimostrata dai malghesi sul Lagorai, o alla società agricola di Mezzomonte gestita da Francesca Monti; altre sono rimaste isolate, marginali, ancora in sofferenza. Il settore agricolo trentino è schiacciato dallo strapotere politico ed economico della Federazione dei Consorzi Cooperativi o dall’Assessorato. Se si accetta di industrializzare la propria azienda, sia questo un allevamento o una specifica produzione agricola, spendendo patrimoni incredibili nell’acquisizione di macchinari imponenti, ampliando le stalle fino ad oltre i 100 capi, si viene sostenuti. Se invece si ricerca l’autosufficienza, la moderazione, la sostenibilità, si viene cancellati ed isolati. Eppure chi vive in montagna lo sa: solo il piccolo contadino riesce a garantire la cura selettiva del territorio. Chi vive la sua giornata sul trattore deve correre, dalla stalla al caseificio, dal campo al silos, dal veterinario fino al letto, per riposare finalmente. Non rimane tempo per sistemare un muretto, per coltivare un angolo di orto, per allontanare il bosco che avanza sui pascoli, per regolare il deflusso delle acque superficiali o migliorare la qualità del foraggio.

Quanto all’esperienza slovena sui parchi, qui in Trentino soffriamo di gravi carenze dovute all’autosufficienza, economica e politica, provocata dall’autonomia assistita. Mentre l’ambientalismo alpino nel 1998 si ritrovava a Laggio di Cadore per tessere la rete delle aree naturalistiche, in Trentino i parchi venivano regalati alla miope gestione dei sindaci; in pratica venivano dominati dagli interessi di breve respiro degli albergatori, degli impiantisti, dei cavatori e dei cacciatori. Ma anche l’ambientalismo trentino, forse perché intimorito dalla violenza dell’azione amministrativa della Provincia e da una totale mancanza di fiducia nei confronti delle istituzioni, non ha offerto spunti di innovazione. Mentre si discuteva la nuova legge sulla montagna, l’associazionismo ambientalista ha preferito ingaggiare uno duro scontro con la Provincia, senza accorgersi che grazie alla sensibilità del consigliere Roberto Bombarda (Verdi), della SAT e di CIPRA, nel testo di legge passavano novità strategiche importanti, come l’istituzione della rete dei parchi naturali e delle aree protette, la creazione di possibili parchi locali e agricoli, i parchi fluviali. Solo una minoranza dell’ambientalismo trentino si è accorta che il Parco di Paneveggio nell’estate 2007 aveva avviato nuovi spazi di sperimentazione della partecipazione: il nuovo piano parco veniva costruito grazie ad una lunga serie di incontri con il mondo agricolo, dei cacciatori, delle imprese, dei cittadini, delle istituzioni. Un’esperienza ancora limitata, che è possibile migliorare, ma indubbiamente innovativa e strategica per il futuro della democrazia nella nostra provincia, per le ricadute che potrà avere e le novità che porterà sul territorio. E’ questa frattura fra istituzioni, associazionismo e cittadini che impedisce al Trentino ogni innovazione, che provoca diffidenza, che alimenta solo inconcludenti conflitti.

Al di là delle Alpi le migliori energie vengono investite per coinvolgere le popolazioni nei processi decisionali.

Nelle Alpi italiane, come del resto in Trentino, si preferisce invece mantenere il cittadino rinchiuso nel suo appartamento, discutere di territorialità e di autonomia senza permettergli di comprendere il significato reale di questi termini, senza aiutarlo a crescere all’interno di un processo formativo collettivo.

Il destino di questo percorso ha un solo nome: marginalità.