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QT n. 8, 19 aprile 2008 Servizi

Un diluvio aspettando l’Arcobaleno (che non venne)

Il professore è davanti alla televisione. Arrivano le prime proiezioni. La destra affarista e leghista sta allungando minuto dopo minuto. Possibile? Il professore non vuole cedere al pessimismo...

Alle 15.10 il giovane professore si avvicina alla postazione informatica dell’aula insegnanti e digita con una certa trepidazione un indirizzo internet. Repubblica o Corriere. E’ troppo teso per farci caso. Non è un giorno qualsiasi. E’ il lunedì elettorale e il professore sa benissimo che su quello schermo lo aspettano i primi exit poll. Il computer ci mette un po’ prima di caricare parole e immagini e le unghie della mano destra sono già belle che morsicate. Prima o poi dovrebbe smettere, si dice.

Finalmente gli occhi incrociano i primi dati: quasi pareggio. Berlusconi e Veltroni se la giocano, tutto è ancora in bilico. Un colpo di tosse ad espellere la tensione. Strana quella reazione di attesa mista a speranza, per uno che non ha votato né per Berlusconi, né per Veltroni; per un giovane che non ha ceduto alla tentazione del voto utile e ha incrociato il tratto della matita esattamente sulla parola "Sinistra", al di sopra di un graffio multicolore. Ma non c’è tempo per riflettere. Suona il campanello. Bisogna tornare in aula. I ragazzi lo aspettano. Proprio gli stessi che quel giorno ha visto giocare in cortile spacciando euro falsi timbrati Padania, inneggiando allo spadone leghista. Brutta storia, lo spadone.

Un’ora dopo, al termine della lezione, il professore non concede nessun altro sguardo al computer. Esce in fretta da scuola e si dirige alla fermata dell’autobus. Vuole goderseli a casa i risultati. Intanto sulla città comincia a scendere una fitta pioggia, accompagnata da una coltre di nubi carica di cattivi presagi. Il professore non ci pensa. Stupide superstizioni. Il labbro, però, tremola leggermente e la speranza si fa pesante nel diaframma, dove il respiro inciampa spesso.

Il respiro non inciampa più. E’ regolare, ora. Il professore è davanti alla televisione. Arrivano le prime proiezioni. La destra affarista e leghista sta allungando minuto dopo minuto. Possibile? Il professore non vuole cedere al pessimismo e cerca di rasserenarsi, pensando che due anni prima a quell’ora anche noi si pensava di aver già vinto. E invece…

Alle 20 la macchina del professore si allontana da uno studio medico. Brutta rogna agli adduttori, gli hanno detto. Dovrà farsene una ragione ed iniziare una lunga terapia di recupero. Quisquilie. Sono altri i pensieri in quel momento. E’ da quasi due ore che non ha notizie dello scrutinio e ancora non si fida a sintonizzarsi su RadioUno. Preferisce la musica degli SkaP. Quasi un presentimento.

Sotto una bufera d’acqua e vento arriva una telefonata al cellulare. Clic: "Pronto?". Dall’altra parte un amico, voce funerea. E’ finita, gli comunica freddamente. La saliva fatica a scendere in gola. Ha vinto Berlusconi, ovvio. La maledetta voce dell’amico però non si arresta. Non ci siamo neanche alla Camera, sussurra rabbioso. Come? Se non fosse per la bassa velocità dovuta al timore della pioggia la macchina uscirebbe di strada. Come, fuori anche dalla Camera? L’amico lo ragguaglia in breve sulla situazione: la Sinistra è estromessa dal Parlamento. Per la prima volta nella storia della Repubblica, socialisti, comunisti e ambientalisti italiani non saranno rappresentati. La sconfitta è assoluta. A Pontida, Arcore e Palermo brindano. Tutti con la coppola in mano.

Quando il professore chiude la comunicazione telefonica gli occhi gli si fanno piccoli. Per vedere meglio la strada. O forse per non piangere. E pensa. Così intensamente che la testa gli fa male. Pensa che essere senza rappresentanza è come essere la metà di un niente. Pensa che adesso la storia prenderà una piega pericolosa. Verranno le riforme istituzionali e una nuova legge elettorale che sancirà la scomparsa legale di chi non si allinea ai due grandi partiti. Pensa che un suo caro amico romagnolo lo aveva pure rampognato quando gli aveva detto che avrebbe votato la Sinistra, della quale gli aveva anticipato la sicura débacle.

Pensa ad una classe dirigente fallimentare, da Bertinotti a Pecoraro Scanio, da Giordano a Diliberto, che forse è davvero solo un gruppuscolo di dirigenti da salotto, privi di strategia e lontanissimi dalla gente. E che già si preparano a scannarsi tra loro come i capponi di Renzo nei "Promessi sposi", pelosamente divisi tra comunisti puri e socialisti speziati, per nulla rispettosi della coscienza della gente che li ha votati. Osceni.

Pensa a quelli come lui che non ci stanno a vivere in un sistema che in nome di un presunto benessere squallidamente materialista stanno seminando paura, veleni ed ansie. Pensa che mettere in discussione tutto questo non sarà facile. Perché il popolo della sinistra è orfano. E che certi padri è meglio dimenticarli in fretta, prima che li liquidi Vespa con una pacca sulle spalle nel suo studio televisivo.

Figurarsi che basterebbe guardare le due puntate di "Report" sull’energia alternativa e sull’agricoltura biologica per capire dove deve andare con decisione la sinistra. Troppo lontano? Pensa che ricostruire un ideale ecologista e pacifista, però, adesso sarà impresa improba, perché quelli davvero in gamba spariranno, per delusione o per ignavia. Pensa che forse anche lui dovrebbe pensare di più agli affari suoi. E magari mettere a posto finalmente quegli adduttori malconci.

Pensa ai suoi ragazzi di terza media che giocavano a fare Calderoli che lancia la crociata contro gli islamici. E a quella loro compagna di classe che non ci stava e li prendeva per il culo, anche se loro la sfottevano, gridando "Allora sei una comunista!". Sbornia elettorale, a tredici anni.

Pensa a tutto questo, quel professore, mentre la pioggia non si placa e la macchina che pattina sulle pozzanghere ha lasciato il posto ad un letto familiare. Non riesce a sorridere e una leggera tachicardia lo tormenta, scandendo i secondi di una lunga insonnia. Immagina i commenti e le analisi dei giorni successivi e prova nausea. Una sola idea, ora, rimbomba nella mente: l’Italia è un Paese conservatore che ha voluto concedersi un salto al ’22, cancellando decenni di storia.

La Terza Repubblica è arrivata. Accomodatevi gente, hic sunt leones.