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QT n. 9, 3 maggio 2008 Monitor

Hubbard Street Dance: happy end al Sociale

Cinque coreografie di diversa scuola ed ispirazione, per il gran finale della rassegna "In Danza".

Finale in grande stile per la stagione di "In Danza" grazie alla presenza dell’acclamata compagnia statunitense che ha regalato al pubblico trentino uno spettacolo vario ed esuberante, la cui principale caratteristica stilistica, oltre ad un impeccabile controllo tecnico, sembra essere l’estrema musicalità e fluidità di movimento dei danzatori.

Il ricco programma di sala, che prevede cinque coreografie molto diverse l’una dall’altra, è cominciato con "Bardo", termine che i giapponesi usano per definire lo stato inquieto del corpo e della mente nelle settimane immediatamente successive alla morte. I movimenti degli interpreti si fanno infatti inquieti e febbrili, interrompendosi bruscamente in brevi pause di sospensione che riecheggiano l’atmosfera di un mistico viaggio tra vita e aldilà, sottolineato, probabilmente non solo per una curiosa coincidenza, dalla musica dei Dead Can Dance e intrapreso simbolicamente in scena dalla danzatrice che, liberatasi dall’intenso abbraccio dei compagni, si allontana infine verso l’oscurità del palco.

Più solare e gioiosa la seconda coreografia, "Cor perdut", un lirico duetto tra due danzatori che dimostrano un’intesa davvero eccezionale, in un amalgama perfetto di corpi e colori scanditi dai ritmi ipnotici dei tamburi e dalla voce ammaliante della cantante maiorchina Maria del Mar Bonet.

Dalle espressive atmosfere asiatico-mediterranee dei primi due pezzi si passa allo spirito neo-folk più casual di "Lickety-split", accompagnato dalle ballate melodiche e un po’ stonate di Devandra Banhart. Pur non perdendo in fluidità, i movimenti si fanno svagati e ironici, assecondando le bizzarie e le lunghe pause della colonna sonora. La coreografia, nata probabilmente dalla libera improvvisazione su gesti e movimenti della quotidianità, è diretta con grande maestria dal giovane coreografo Alejandro Cerrudo, che dimostra un insolito e sofisticato senso dell’organizzazione dello spazio nello sviluppo negli imprevedibili "giochi d’amore" delle tre coppie protagoniste. Sempre di scherni d’amore si parla anche nel breve intermezzo prima del gran finale, intitolato per l’appunto "Passomezzo": duetto in cui gli scattanti movimenti contemporanei dei danzatori, non immemori dei passi veloci e scattanti delle danze tradizionali, contrastano con la musica del cinquecento inglese. Dal Rinascimento anglosassone si passa infine a quello italiano con Palladio, vero e proprio trionfo di forme e di numeri in un finale mozzafiato interpretato dalla compagnia al completo.

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