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QT n. 11, 31 maggio 2008 Monitor

“Il treno per Darjeeling”

Di Wes Anderson un road movie su un viaggio in treno in India: stralunato, divertente, coinvolgente.

I titoli di testa ci mostrano un uomo, Bill Murray, sopra un taxi che corre frenetico per le strade di una città dell’India. Murray arriva in stazione, compra il biglietto senza rispettare la coda, rincorre un treno appena partito. Il treno è lento, ma ancor più lenta è la corsa di Murray, che ha già in faccia, preventivamente, tutte le delusioni e lo scoramento dell’esistenza. Mentre si affievolsiscono le sue speranze di raggiungere l’ultimo vagone, Murray si vede sorpassato da Adrien Brody: è giovane, atletico, ha la falcata lunga, riesce a lanciare le sue valigie e se stesso sul treno. A Murray non resta che guardarlo mentre si allontana, conservare la solita faccia, sospirare. Con questo cameo, ha già concluso la sua parte nel film.

E’ un cinema di sorpassi, quello messo in scena dal regista Wes Anderson. Un cinema che continua a rilanciare situazioni comiche, gag, invenzioni visive, scenografiche, di sceneggiatura. Una lanterna magica, un juke-box, un mazzo da cui escono jolly a ripetizione. Ma su questo gioco accumulativo giace, di fondo, una dolce melanconia su quelle che sono le relazioni umane e, in particolare, le relazioni parentali. "Il treno per il Darjeeling" si porta dietro le tematiche dei due precedenti lavori di Wes Anderson: il tema della famiglia e dei rapporti tra fratelli, come ne "I Tenenbaum", e quello del viaggio alla scoperta del mondo e di un qualche scopo di vita, come ne "Le avventure acquatiche di Steve Zissou".

"Il treno per il Darjeeling" è uno stralunato road movie che si svolge, appunto, su un treno. Come afferma Wes Anderson in un’intervista, "cercavo soprattutto di scoprire quello che c’era realmente lì, in India. Così, tutto quello che c’è di fronte alla cinepresa è qualcosa che abbiamo scoperto, più che qualcosa che abbiamo realizzato. Ne ‘Le avventure acquatiche di Steve Zissou’ abbiamo costruito buona parte del film, avevamo tanti set e location. In questo invece siamo andati lì e abbiamo trovato le location, e abbiamo sistemato e coreografato quel che c’era in un certo modo, per rappresentare quello che esisteva davvero di fronte alla cinepresa. Quello che volevo veramente per questo film era mantenerlo il più libero possibile e molto personale, a partire dai rapporti con gli attori, per rendere il processo di realizzazione molto simile alla storia, facendone un’avventura dello stesso tipo".

In India, generalmente, non si va per mero turismo ma per cercare qualcosa – illuminazione, spiritualità, un senso alle cose. Non si sottraggono a questa regola i tre fratelli Whitman (Adrien Brody, Owen Wilson, Jason Schwartzmann), che si ritrovano in uno scompartimento di prima classe. Il viaggio è stato organizzato da Owen: vuole ricomporre una nuova armonia con i suoi fratelli e andare, dopo la recente morte del padre, in visita dalla madre, che fa la suora laica in un villaggio indiano.

Come nella famosa scena della cabina del transatlantico in "A Night at the Opera", lo spazio, sul treno, si rivela presto troppo stretto. Diversamente dallo scompartimento dei fratelli Marx, quello dei fratelli Whitman, però, non è intasato di gente, ma di brutti pensieri. Ognuno di loro, infatti, oltre che reduce dal funerale del padre, è alle prese con grossi problemi personali: Owen ha la testa avvolta da bende, scampato a un incidente stradale che era un tentativo di suicidio; Jason, scrittore o aspirante tale, ha appena rotto con una fidanzata splendida e dominatrice; Adrien sta per diventare padre, e scappa dalle responsabilità.

Ma il treno non è il mezzo giusto per una fuga. Il treno si muove su dei binari, lineare, secondo orari prestabiliti. Torna utile, però, per specchiare se stessi mentre si guarda fuori dal finestrino. L’India, il treno, la convivenza forzata...

Man mano che viaggiano sui binari, i tre non arrivano a capirsi meglio l’uno con l’altro (troppo strampalati, impossibile); ognuno di essi, invece, trova qualcosa lungo la strada che lo spinge a una nuova interazione con i fratelli e a un nuovo modo di ragionare sulla sua vita. La storia non prevede illuminazioni, ma ciascuno dei protagonisti ha un incontro che lo tocca, lo scuote. Facendosi largo in mezzo a questa foresta di avventure e avventurine – sesso in toilette, serpenti velenosi, la morte su un fiume... –, sui destini individuali sembra posarsi almeno uno squarcio di luce.

Wes Anderson si conferma un regista capace di produrre film riusciti, coinvolgenti, divertenti, ma ancora non del tutto memorabili. Se gli manca qualcosa, è molto probabile che presto, come i personaggi che popolano i suoi film di viaggio e ricerca interiore, riuscirà a incontrare un soggetto, un nucleo tematico forte in grado di fargli compiere l’ulteriore salto di qualità che da lui ci aspettiamo.

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