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QT n. 12, 14 giugno 2008 Monitor

“I liceali” affondano nel buonismo

Ispirata a una spinta contemporaneità nel tratteggiare i problemi adolescenziali, la miniserie di Canale 5 sul timido professore di campagna alle prese con una classe di figli di papà risulta decisamente interessante. Peccato si perda pensando di risolvere i problemi di una scuola (esageratamente?) degradata, con il buonismo.

"Com’è andata quest’estate: hai baciato un ragazzo?" "E tu, l’hai toccato il cazzo?" "No, ma mi sono allenata mettendo preservativi alle zucchine". Questo colloquio tra quindicenni al rientro dalle vacanze, dà l’idea della disinvoltura con cui viene rappresentato l’universo giovanile nella miniserie "I liceali" andato in onda su Mediaset.

Beh, a mettere in bocca parolacce alle ragazzine si fa facilmente audience, può essere il commento. In realtà l’operazione "liceali" è più complessa, e vale la pena parlarne.

Da "I liceali": a sinistra il prof. Cicerino (Giorgio Tirabassi); a destra il prof di greco Cavicchioli, carogna, che interroga in gita scolastica e dà 3: "Quando siamo a Roma, ricordamelo, che lo metto sul registro; e se non lo fai, ti dò 2".

Iniziamo proprio dal linguaggio. Che sia franco, che rispecchi quello effettivamente usato dai giovani, non è che positivo. Anche perché un suo edulcoramento sarebbe uno stravolgimento del contesto: se una sedicenne urla al padre "ma cosa cazzo fai?", la parola "cazzo" ci vuole, indica un livello di rapporti. Che poi possa piacere o meno, è tutto un altro discorso.

In questo contesto di spinta contemporaneità, sono affrontati i soliti problemi dell’adolescenza: i rapporti conflittuali con i genitori, la gestione difficoltosa dei sentimenti, lo studio. In più le problematiche dell’oggi: il sesso facile, l’appannamento dell’autorità in famiglia e a scuola, via via fino alle corse d’auto notturne o ai filmini hard messi a tradimento su Internet.

Il racconto ruota attorno alle vicende del timido professore di campagna (Cicerino, ben interpretato da Giorgio Tirabassi) trasferitosi con la figlia quindicenne al prestigioso (si dice) liceo romano Mamiani, frequentato dai figli viziati della Roma bene. Il bravo e buon Cicerino si ritrova in un ambiente ostile: con colleghi sostanzialmente menefreghisti, un preside che sarebbe da denunciare, studenti che hanno poca voglia di studiare e molta di prenderlo in giro. "Il contadino" lo chiamano, dall’alto dei soldi di papà. Se a questo aggiungiamo le ambasce della figlia, che nella stessa scuola deve adattarsi ai nuovi compagni, abbiamo l’idea dei problemi del professore, e di come essi attirino subito l’attenzione dello spettatore.

Cicerino non si smonta: con entusiasmo e professionalità, con il carisma che anche una persona mite può avere, conquista la stima di molti colleghi e quella dei ragazzi. Anzi, facendo molto di più, seguendoli anche nei loro piccoli e grandi drammi extrascolastici, si guadagna un affetto sincero e tenace.

Tranne nel più ricco dei ragazzi, Claudio Rizzo, rovinato dal padre, sprezzante e classista fino al ridicolo, leader indiscusso nella classe fino all’arrivo del professore guastafeste, cui dichiara una guerra personale e crudele. Fino a tentare di sedurgli la figliola, impasticcandola e buttandola di notte in mezzo a una strada; per poi deridere il giorno dopo il padre: "Dovrebbe stare più attento a sua figlia, professore..."

Come si vede lo sceneggiato mescola bene sentimenti e situazioni, tiene viva l’attenzione dello spettatore, partecipe, commosso, indignato.

Dove invece I liceali franano, è nella soluzione dell’intreccio. Cicerino vince sempre perché è buono. Il che non è facilissimo da credere, chi scrive da insegnante ha presente il caso di professori bravissimi ma troppo buoni, e quindi regolarmente sbertucciati in classe. Cicerino va oltre, è buono al cubo: quando lo stronzissimo Rizzo non viene più a scuola perché emarginato (evviva!) dai compagni, lo va a cercare a casa, dove lo trattano come un pezzente. E quando questi torna il giorno degli scrutini, ma con una pistola in mano, a minacciare tutti, lo perdona ancora. Non esageriamo.

Il caso di Rizzo non è fuori dal mondo. Circa venti anni fa, proprio a Roma, imperversava il giudice Aliprandi, neofascista e in combutta con Giulio Andreotti, per far piacere al quale fece arrestare i vertici della Banca d’Italia, il governatore Baffi e il vice Sarcinelli con l’accusa di aver messo sul conto della Banca dei cappuccini, in realtà per rimuoverli per non aver avallato le imprese bancarie del mafioso Sindona. Il figlio di Aliprandi, picchiatore fascista, protetto da cotanto padre veniva a scuola con la pistola, e in vari episodi fu scandalosamente assolto da una magistratura corriva. Finchè un giorno in un conflitto a fuoco con la polizia rimediò una pallottola in testa. Tutti dissero che a ucciderlo era stato il padre, i suoi insegnamenti, la sua indulgenza.

Insomma, il buonismo di Cicerino, così estremo, è fuori luogo, l'indulgenza deve avere dei limiti.

E a noi pare fuori luogo pure l’indulgenza con cui viene giudicata una scuola in realtà degradata. Un liceo classico dove gli studenti non sanno spiccicare una parola sull’amore in Dante e l’Ariosto. Dove il preside amoreggia con la giovane supplente (bene) e poi infierisce sul ragazzo che ritiene un rivale (molto male, ma viene presentato come normale). Dove i prof approfittano della gita scolastica per andare a puttane (un inedito).

Gli studenti, quelli veri, del Mamiani, si sono ribellati, dicendo che loro non sono così. E il preside, quello vero, non ha concesso l’autorizzazione a far girare nella scuola "I liceali 2". Forse tra le due cose c’è una relazione, una qualche pastetta. E forse c’è anche la stizza dei ricchi a veder messe in piazza le loro arroganze.

Noi preferiamo prendere la reazione degli studenti per il lato positivo: che abbiano voluto dire di non aver bisogno di troppe indulgenze, ma di più serietà.

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