Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca
QT n. 13, 28 giugno 2008 Monitor

Tutte le canzoni di Bob

Finalmente Bob Dylan arrivò: e il concerto fu veramente grande.

Ulli Sandner

E sì che il tempo non lasciava scampo, pioggia e freddo, diceva. Invece, contro la pessima disposizione dei più, la notte ha dimostrato ancora una volta di volere bene a Dylan e alla gente che va a vederlo. Non si accennerà qui di seguito all’opportunità o meno di prevedere posti a sedere in una situazione simile, né alla frustrazione mal repressa dei lanciatori di giornali appallottolati, perché già troppo si è detto, ma vedremo di sviscerare emozionalmente lo splendido concerto tenuto da un vecchio Bob Dylan nel prato fangoso del Palazzo delle Albere.

Si inizia con "Tweedle Dee & Tweedle Dum", gran pezzo rockeggiante che scalda le gambe degli astanti e le mani dei musicanti. Subito l’atmosfera si fa vibrante, il suono delle chitarre promette bene e la band scivola verso quel gioiellino di canzone che è "Lay, Lady lay", suonata lievemente e portata sulle labbra come un piccolo e zuccheroso regalo. La voce del cantautore è il grande regalo di questa serata, profonda e disperata, rauca e traballante, indispensabile come un paio di scarpe buone ad un matrimonio. "Watching the river flow" è di nuovo potente, fa saltare sulla sedia chi ancora ci si siede e assegna al 4/4 lo scettro di comandante del vascello. Dylan siede sulla riva e osserva scorrere il fiume e nell’acqua galleggia "Blind Willie Mc Tell", il corpo gonfio e gli occhi fissi che riflettono il blues, che nessuno sa cantare meglio di lui, che mai ne aveva suonato una versione così ricca di sentimento, di rabbia per un’America ormai persa nei versi delle sue canzoni, deviata dal germogliare dei semi corrotti del suo bisogno di potere.

Esagero nell’enfasi? Direi di no, visto che i due brani seguenti, tratti dall’ultimo lavoro dell’artista, "Modern times", sono il corrispettivo musicale di una battuta in una partita di tennis: "Spirit on the water" è la pallina lanciata in aria che fluttuante e leggera aspetta che la botta violenta, Rollin’ and tumblin’, la scagli oltre la rete.

Poi Dylan strimpella un po’ sulla tastiera, muove lo sguardo e inizia "Tryin’ to get to heaven", la canta da brividi, parla con il cuore in mano e la canzone ha a che vedere con la vita e la morte di tutti noi che lo guardiamo stropicciarsi sotto il cappello da cowboy mentre regala i suoi denti da cavallo alla luna.

Non c’è un attimo di respiro, perché ora è il turno di "Highwater (for Charlie Patton)", suonata con tanto di banjo ad accarezzarci le orecchie, seguito dalla piccola pausa (ecco, ora si ripiglia fiato) di "Beyond the horizon" prima del lancio nell’aria fresca di Trento di una "It’s alright, ma" che strappa la pelle a tutti i serpenti che strisciano sulle rive dell’Adige. Una versione che gronda blues da ogni nota, da ogni ruggito della voce e che lascia spazio, nel silenzio che la segue, ad una "Don’t think twice it’s all right" innocente e soffice.

Ma che bello che è Bob Dylan, diciamolo. E’ quello che ha scritto "Highway 61" e che la canta anche stasera, per la milionesima volta, per la gioia saltellante di chi l’ascolta, per chi di certo non si aspetta che ora venga il turno della bellissima, lenta e popolareggiante "Nettie Moore", per chi poi si scatena nel rock & roll di "Summer days" e che crede che il concerto sia finito qui.

Ma si sbaglia e si sbaglia di grosso.

Subito dopo infatti si riconosce il riff maestoso di "Ballad of a thin man", quella che dice che qualcosa sta succedendo, ma tu non sai che cos’è, vero mister Jones? Quel brano che farebbe impallidire dalla vergogna ogni anima colpevole di indifferenza, quella canzone che Dylan canta a un centimetro dal suo naso, quella che i musicisti sul palco magari non ci credono più di tanto, ma che importa, finché c’è Bob tutto va bene, andiamo avanti.

Ora c’è una piccola pausa di rito, gli artisti si ritirano nei camerini, parlottano e riescono sul palco a suonare una spensierata "Thunder on the mountain" e una "Blowin’ in the wind" decisa a concludere un concerto entusiasmante che, se non fosse finito lì, ci avrebbe deliziato per tutta la notte fino alle prime ore del mattino seguente.