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QT n. 13, 28 giugno 2008 Monitor

“E venne il giorno”

Del regista indo-hollywoodiano Night Shyalaman, un ottimo spunto iniziale (sulla natura che si ribella all'uomo e lo spinge al suicidio), ma una sceneggiatura e una storia che non procedono oltre. Peccato.

Night Shyamalan è un regista strano. È in grado di raccontare storie hollywoodiane in modo sorprendente ("Unbreakable"), di ragionare sulla metafisica ("Il sesto senso") e anche di costruire allegorie profonde, motivate, capaci di metter radici, come nell’ottimo "The Village", uno dei migliori ragionamenti (non solo in pellicola) sulla ricerca di sicurezza dell’America post-11 settembre. Il suo penultimo film, "Lady in the water", era un tentativo di ragionare sul cinema, la narrazione e (ancora) la metafisica, ma ne è uscita una pellicolaccia infarcita di intenzioni magico-fiabesche e di personaggi ingiustificati. Imbarazzante. "E venne il giorno" è molto meglio di "Lady in the water", ma molto peggio di "The Village". Peccato che non sia un film compiuto, perché l’idea di partenza era interessantissima.

Si sparge per gli Stati Uniti nord-orientali, partendo da New York, un’incredibile epidemia. La gente che ne viene colpita è spinta all’autodistruzione. Assistiamo a continui suicidi di massa. La spiegazione più accreditata ne attribuisce le cause a un meccanismo di autodifesa prodotto dalle piante, che riconoscono nell’uomo un pericolo per il pianeta e lo inducono attraverso delle tossine all’annientamento.

La metafora è di lettura piana: la specie umana sta distruggendo il pianeta, che potrebbe presto non tollerarne più l’esistenza. La distruzione del pianeta è un gigantesco suicidio. È un tema simile a quello affrontato da Werner Herzog ne "L’ignoto spazio profondo", che finisce con gioiose inquadrature di foreste e cascate e una Terra tornata rigogliosa perché è riuscita a liberarsi dalla presenza dell’uomo.

Il protagonista, Mark Wahlberg, fugge da New York, la città contagiata, e si trova bloccato in campagna – la provincia americana, quel luogo a tutti gli effetti inafferrabile dove Shyamalan (nato a Madras, India, nel 1970) finisce per ambientare quasi tutti i suoi film. Il gruppo con cui si muove Wahlberg viene decimato dai suicidi indotti dalle piante. Ma lui, la sua compagna e una bambina che gli è stata affidata da un amico proseguono, cercando scampo, aspettando che passi la nottata.

Anche lo spettatore aspetta che passi la nottata. E, ahinoi, anche il regista. Il quale ha avuto un’ottima idea di partenza – le silenziose piante che si ribellano all’uomo, i suicidi di massa. Ma poi?

Ce lo vediamo, il regista-sceneggiatore, uscire soddisfatto dalla doccia dopo aver partorito questa idea. Lo immaginiamo poi sedersi alla scrivania per tentare di dare un seguito all’intuizione. Aprire Word, scarabocchiare con la matita delle carte… Niente. Buio totale su come far proseguire e concludere la storia. Nessuna pensata che riesca ad essere vagamente all’altezza dell’idea originale. Nel frattempo, però, Shyamalan di quell’idea originale si era innamorato. Al punto da non volerla buttar via a nessun costo. E farci sopra un film anche quando lo sviluppo e la conclusione della vicenda sono manifestamente inadeguati. Lo si capisce guardando il film: nemmeno il regista è convinto che la trama, così, tenga. Come, nel calcio, un vecchio difensore, M. Night Shyamalan lavora quindi d’esperienza – piazza un po’ di colpi di scena qua, qualche omaggio là, si rifà ai passaggi classici già visti in film che hanno per tema il contagio.

Non c’è niente di male, per carità. Ma dispiace vedere che un giovane regista sicuramente bravo non riesce a progredire di film in film, come sembrava aver fatto fino a "The Village". Anche in "E venne il giorno" si percepisce la bravura di Shyamalan. Le scene di suicidi di massa sono inquietanti, nella loro gelida lentezza. Tutte le sequenze sono ben girate, e trovano un loro equilibrio tra l’originalità della messa in scena e riferimenti alla storia del cinema (Hitchcock / Psycho, ad esempio). Le allusioni politiche, semplici semplici, non sarebbero malvagie. L’esercito degli Stati Uniti, che di solito la fa da padrone nei momenti dell’emergenza, compare solo nella veste di un modesto soldatino, che esce fuori dalla sua jeep quando incontra per strada il gruppo di Wahlberg. "C’è l’esercito, siamo salvi!", esclama qualcuno. Ma il soldatino è più spaventato di loro, è lui a cercare aiuto.

Insomma, in molte cosette il film funziona. Shyamalan continua a dimostrare di saper essere un autore anche in queste produzioni hollywoodiane ad alto budget.

È questa la sua peculiarità: lavorare a Hollywood e non limitarsi a fare l’artigiano. Peccato che un film sia un’idea iniziale, uno sviluppo e una conclusione.

Se fosse solo la prima componente, "E venne il giorno" sarebbe un capolavoro.

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