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Drodesera, quando il gioco vale la candela

La performance avveniva in un locale piccolo, dove un tempo i saldatori della centrale idroelettrica di Fies forgiavano il metallo; ma ora, dismessa, anche grazie all’allestimento sembrava più una cappella gotica. Ma lo spazio era avaro con i troppi spettatori, e quelli che erano riusciti a entrare stavano pigiati, seduti per terra. Al mio fianco avevo alcuni ragazzi ruspanti, capitati per caso o per sbaglio ad un festival di ricerca, quando invece una serata in discoteca gli sarebbe stata molto più congeniale; e se ne dolevano, con schiamazzi fastidiosi. E io mi stavo spazientendo. Poi salì sulla pedana la performer, un’anziana soprano, che avrebbe eseguito dei brani lirici: i ragazzacci la presero come una provocazione ("anca ‘sta vecia, dio bono!") e le risatacce si fecero insultanti. Ma la porta era ormai chiusa, non potevo neanche invitarli ad uscire.

Poi l’anziana signora iniziò il suo canto: le note, incredibili, forti, acutissime, le uscivano dalla vecchia ugola, si libravano nell’aria, si arrampicavano su per le volte dell’antica fucina. Ci ricadevano addosso, a noi increduli, ansiosi per quel miracolo dell’arte che oltrepassava le leggi della natura e dell’età, trepidanti per quelle vetuste corde vocali spinte oltre l’estremo. Gli occhi si facevano umidi.

Guardai i ragazzi: ascoltavano rapiti, commossi, estasiati. Quando l’anziana finì, esplosero in un applauso fragoroso eppur composto.

L’arte aveva vinto.

Niente di nuovo, ma non accade spesso. E quando accade, e in questi termini, è sempre un piccolo miracolo.

Era stato questo, opera di Francesca Grilli, lo spettacolo per me di gran lunga più riuscito dell’edizione dello scorso anno di "Drodesera". Indicativo di cosa può dare un festival d’avanguardia: far vivere momenti di eccezionale intensità. Accanto ad alcuni altri di pura noia, e altri ancora così così. Ma alla fine, tirando le somme, il gioco vale senz’altro la candela.

Il festival di Dro è anche molto di più. Ormai consolidato (ora pure ufficialmente premiato dall’Associazione Nazionale Critici di Teatro, per essere "cresciuto fino ad assurgere ad uno degli appuntamenti più importanti della lunga estate italiana"), è una vetrina per tante compagnie, momento di incontro tra produttori e uomini di cultura, luogo esso stesso di produzione (sono ben cinque le compagnie che preparano i loro spettacoli negli spazi della Centrale idroelettrica di Fies), specchio dello stato della ricerca artistica in Italia e oltre. Non è poco.

Due soli avvertimenti. Primo: se vi trovate a vedere uno spettacolo che non vi piace, non doletevene; prima o poi è quasi inevitabile ("Cosa provi se vedi che il pubblico se ne va?" ho chiesto a un’attrice di una delle compagnie più quotate. "Provo dolore, dolore autentico; ma è parte delle regole del gioco"). Non perdete il buonumore e passate al prossimo, e intanto rilassatevi nel bel parco attrezzato attorno alla Centrale.

Secondo: affrettatevi a prenotare. I biglietti sono sempre troppo pochi.