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Caro Rasera, l’Austria era la patria…

Lorenzo Baratter

Rispondo volentieri a Fabrizio Rasera, che mi chiama in causa nell’ultimo numero del vostro mensile (Antieroi e eroi per forza). Egli trova "aberrante" che io abbia scritto che "i 60.000 trentini che combatterono per l’Austria Ungheria non furono ‘costretti’ a combattere" (la mia frase originale è: "I 60.000 trentini che combatterono per l’Austria Ungheria non furono ‘costretti’ a combattere, come ancora oggi qualcuno scrive, ma nemmeno degli ‘eroi’ come si vorrebbe far intendere altrove.").

Nel mio articolo – pubblicato in un volume edito dal Comune di Trento, dalla Fondazione Museo Storico del Trentino e dal Circolo Gaismayr di Trento – la parola "costretti" è posta tra due virgolette, per il significato particolare che ho voluto dare a tale espressione: mi riferivo infatti alle parole riportate su innumerevoli lapidi imposte in epoca post-bellica e fascista, in cui i caduti trentini per l’Austria vennero definiti come "soldati costretti a pugnare per l’oppressore" o "costretti a combattere per la patria nefanda".

C’è un secondo motivo che rende inspiegabile l’attacco di Rasera. Una nota a margine nella frase incriminata chiariva che la mia affermazione era in risposta a quanto scritto dallo storico Nils Arne Soerensen (secondo il quale i trentini furono costretti a combattere per l’Austria).

I soldati trentini non furono "costretti" a combattere per uno Stato malefico, straniero ed oppressore. L’Austria per i trentini non fu una Patria più nefanda di quanto non fosse il Regno d’Italia per coloro che all’epoca abitavano a sud del confine di Borghetto. I trentini di allora si sentivano austriaci né più né meno di quanto i trentini si sentano oggi italiani.

Che piaccia o meno a Rasera, poco importa: il Trentino faceva parte di uno Stato plurinazionale asburgico che in epoca pre-bellica non perseguitò i tirolesi di lingua italiana (altrettanto non fecero gli irredentisti fascisti della Legione Trentina contro gli "austriacanti" o il senatore Tolomei contro i sudtirolesi di lingua tedesca) e che operò secondo linee di decentramento grazie a cui il Trentino poté ottenere indubbie positive ricadute, di cui beneficiamo anche nel presente.

Rasera, sempre più in solitudine, continua a proporre una visione classista ed elitaria ormai superata, che perdura da decenni e tuttora non convince. Un "declassamento pietista" della massa dei contadini trentini, contrapposta all’esaltazione d’una ristretta élite intellettuale e borghese irredentista cui vanno le evidenti simpatie – peraltro malcelate – del professore roveretano.

Il contadino trentino provava rispetto e riverenza per l’Imperatore e per l’Austria, preferendo il cattolicesimo ostentato dagli Asburgo al laicismo sospetto dei Savoia: era lo Stato in cui era nato e in cui avevano visto la luce i suoi genitori e i suoi antenati, rispetto al quale aveva dei punti di riferimento solidi e forti. Per il quale andò in guerra, con lo stesso spirito e con lo stesso groppo in gola con cui rispose alla chiamata il fante di Messina o l’alpino di Viggiù. Senza porsi il dilemma se la Patria per cui andava a combattere fosse quella giusta o quella sbagliata. L’Austria era la sua Patria: sic et simpliciter.

Lorenzo Baratter è storico e direttore del Centro Documentazione Luserna