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Il mercato non è più una virtù

Dalla crisi alla fine dell’egemonia economica dell’Occidente

Che sta succedendo? In queste settimane si è parlato di un nuovo ’29, di fine del capitalismo finanziario (ricordate il coro osannate al mercato, particolarmente nutrito nella sinistra post-comunista, o l’inno di Tremonti alla "finanza creativa"?); si è discusso di ritorno a Keynes, persino di rispolvero delle teorie del buon vecchio Marx, o della necessità di più stato e meno mercato: sembra la caduta degli dei, quelli di chi ci ha governato e assordato con il pensiero unico del Libero Mercato… Basta, ora, parafrasando una celebra frase di don Milani, si potrebbe dire: "Il mercato non è più una virtù".

Quando il fumo delle macerie del Grande Crollo di questo autunno 2008 si sarà diradato, in realtà il capitalismo sarà ancora lì, ma ci troveremo di fronte a una realtà nuova di cui solo oscuramente si aveva finora un qualche sentore: la fine dell’egemonia economica dell’Occidente. Quarant’anni fa Europa, America del Nord e Giappone – il Primo Mondo - mettevano ancora insieme l’80 % della ricchezza e del commercio mondiale; ieri, ossia alla vigilia del Grande Crollo, l’Asia (Paesi petroliferi arabi, Cina, India, Tigri del Sud-Est asiatico, ossia la parte più dinamica dell’ ex-Terzo Mondo) più la Russia, pareggiava la ricchezza del Primo Mondo. Nel day after ci accorgeremo che l’Asia sarà ripartita alla grande (oggi sta solo rallentando), mentre noi europei e americani – ossia l’Occidente ricco che ha dominato il mondo dal ‘500 a oggi - staremo ancora a leccarci le ferite. Intanto perderemo velocemente quote percentuali di ricchezza reale (quella gonfiata della finanza è già scoppiata) e di commercio internazionale a favore dell’Asia; vivremo un aumento vertiginoso dell’insicurezza sociale (disoccupazione, lavoro precario come regola generalizzata, pensioni sempre più magre e a rischio).

La paura del futuro, la percezione di caduta sociale di interi strati sociali appartenenti all’ormai ex-classe media, che già in questi anni ha visto crollare la sua capacità di consumo, probabilmente acuirà le tensioni e i conflitti sociali. Si ricorderà che il brusco depauperamento della classe media fu un fattore decisivo nella gestazione del nazionalsocialismo e del fascismo. La storia forse non si ripete, però…

Una recente proiezione statistica, stimava che nel 2050 la classifica dei più ricchi Paesi del mondo avrebbe visto la Cina al primo posto, l’India al terzo, gli USA solo al secondo; che avremo al più un paio di Paesi europei tra i primi dieci (uno, sicuro, è la Russia); e arrivava a pronosticare che stati che oggi si stanno sviluppando a ritmo velocissimo come Turchia e Nigeria supereranno in ricchezza prodotta l’Italia e la Francia! Tutto questo stravolgimento veniva ipotizzato prima del Grande Crollo, ossia nell’ipotesi che il Primo Mondo continuasse a svilupparsi a ritmi del 2-3 % annuo (contro le percentuali a due cifre di Cina e India); ora quel 2-3% appare sogno anche al più ottimista degli economisti.

Com’è potuto avvenire, quasi senza che ce ne accorgessimo, questo colossale trasferimento di ricchezza? Tre fattori, ci spiegano gli economisti, sono stati decisivi: l’apertura del commercio mondiale, attraverso i vari accordi GATT di abbattimento delle tariffe doganali su scala mondiale, che hanno aperto i nostri mercati ai prodotti di Cina, India, Corea, Taiwan, ecc.; il trasferimento massiccio di tecnologie verso i Paesi a manodopera a basso costo (si pensi alle innumerevoli filiali di multinazionali europee e americane, cresciute come funghi per l’Asia); la grande vitalità economica di Paesi in cui "c’è ancora da fare tutto" (ossia dare un’auto, un frigorifero, un telefonino a miliardi di individui appena approdati a soglie di benessere accettabile) in condizioni in cui non esistono gravosi vincoli normativi (leggi ecologiche) e sociali (sindacati forti) che ostacolino la "libera impresa".

Per i primi due punti, potremmo dire, il Primo Mondo s’è gettato la zappa sui piedi. L’apertura dei mercati e il trasferimento di tecnologie con la delocalizzazione delle imprese, decisi dalle multinazionali in un’ottica di profitto privato, hanno in pochi decenni allevato e fatto crescere sani e forti i concorrenti che oggi ci troviamo di fronte: prima le Tigri del Sud-Est asiatico (anni ‘80-‘90), poi India e Cina. Insomma la globalizzazione dell’economia in un’ottica privatistica e regolata solo dal Dio Mercato ci ha alla fine impoveriti. Ma, in buona parte, ce la siamo andati a cercare.