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QT n. 16, 8 novembre 2008 Monitor

Il Mart va sul sicuro

“Impressionisti e post-impressionisti”

Le numerose e spesso riuscite mostre di ricerca proposte negli ultimi anni dal Mart non sono sempre premiate dai visitatori, come purtroppo è stato, non molto tempo fa, per il percorso incentrato sulle ricerche verbo-visuali dal futurismo ad oggi. Così, di tanto in tanto, per accrescere il numero di ingressi e pacare le voci ferocemente contrarie a un Mart “di nicchia”, il museo deve ricorrere a quei pacchetti espositivi così ben sperimentati da Marco Goldin a Treviso prima e a Brescia poi.

Camille Pissarro, Boulevard Montmartre (1897).

Ed ecco così, sotto le abbaglianti luci dei riflettori, le reliquie impressioniste, venerate ed osannate dalle folle quasi fossero l’unica forma di arte possibile. Dopo gli impressionisti della Phillipps Collection, dopo Klimt & Schiele (altre pop star dell’arte fin de siècle) della Österreichische Galerie Belvedere di Vienna, ecco serviti su un piatto d’argento - fino al 6 gennaio - i capolavori impressionisti e post-impressionisti dell’Israel Museum di Gerusalemme.

Tuffiamoci dunque nei boulevards della Ville Lumière di fine ‘800, brulicanti di persone, ora dirette tra i fumi e i vapori alcolici dei caffé, ora in cerca di flânerie tra il verde ozioso dei parchi pubblici.

Claude Monet, La scogliera di Aval (1885)

Ad aprire il sipario sulla città simbolo della Belle Époque è un’opera di Camille Pissarro, Boulevard Montmartre, del 1897. Accanto ad essa, come in un ventaglio dedicato alle emozioni del paesaggio, si aprono altre suggestive vedute sia cittadine che di campagna: da una fabbrica fumante a Pontoise (1873) a uno scorcio delle assolate campagne, da un tramonto a Eragny (1890), non privo di echi simbolisti, al paesaggio agreste animato dal lavoro dell’uomo, come in una tela dedicata alla fienagione. L’artificio che dominava la pittura di paesaggio precedente, popolata da personaggi mitologici o, al contrario, distorta dalla retorica del realismo, inizia così ad affondare le radici nella visione ottica attraverso la pittura en plein air. Parte degli impressionisti, infatti, abbandonarono le pareti anguste degli studi per recarsi -cavalletto sulle spalle - nell’avventura della realtà. Nonostante molti credano esattamente il contrario, nei dipinti impressionisti non c’è nulla di sentimentale, di “poetico”, di languido e stucchevole: la volontà è quella di registrare la mutevolezza dell’esistente, il divenire delle cose, ed è forte - come si può immaginare - il rapporto con la fotografia: non a caso la prima mostra degli impressionisti (siamo nell’aprile del 1874) si tenne nello studio del celebre fotografo Nadar.