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QT n. 10, novembre 2009 Servizi

Primarie: è stata la volta buona?

Nel Pd eletto Michele Nicoletti. Attraverso un percorso che forse indica una svolta.

foto Parisi

Anche a livello locale le primarie del PD sono state un successo:ventimila votanti. Successo insperato. “Dodicimila andrebbe bene” si dicevano i dirigenti, che peraltro vivevano l’appuntamento come una sorta di ultima spiaggia: “Gli elettori non possiamo deluderli ancora”. Pesavano le precedenti primarie, quelle che avevano plebiscitato come segretario Alberto Pacher, dopo un anno transitato in Provincia e (giustamente) dimessosi. E pesava soprattutto l’(in)attività politica del partito, formalmente il primo in provincia, in realtà assente dalla scena politica, tutto ripiegato su se stesso a definire statuti e ad aprire circoli, attività senz’altro meritorie ma di cui all’elettore poco interessa.

Invece il risultato è stato positivo: più votanti che non all’elezione di Pacher. Probabilmente ha contato ancora l’effetto primarie, questa volta enfatizzato dal fatto che sia a livello locale - tra Nicoletti, Tonini, Pinter e Veronesi - sia a quello nazionale - tra Bersani, Franceschini e Marino - non ci fosse il candidato ultra favorito e quindi designato, come a suo tempo appunto Pacher, o Veltroni, o Prodi; questa volta l’elettore era chiamato a scegliere, non a ratificare. Insomma, la democrazia, se non è una burletta, convince.

Poi c’è stato il post-primarie. Che, grazie a uno statuto balzano (forse al Pd ci pensano su troppo e alla fine le decisioni le prendono con il mal di testa; anche a livello nazionale, ma come si fa a prevedere una doppia elezione del segretario, prima da parte degli iscritti, poi attraverso le primarie?) rimetteva la nomina del segretario (se nessuno raggiungeva il 51% dei voti) all’Assemblea degli eletti, in cui i candidati potevano lavorare di accordi ed alleanze. Insomma, la solita vecchia politica era dietro l’angolo; in un partito erede soprattutto dei Ds, notoriamente divisi in clan l’un contro l’altro armati, e che già era stato attraversato dall’aspra divisione tra seguaci di Pacher e di Kessler.

Ecco invece il miracolo. I quattro candidati si accordano per assegnare la carica di segretario al più votato (sia pur di poco, Nicoletti con il 33%), che sarà una sorta di primus inter pares, attraverso una gestione congiunta del partito. Le armi rientrano nel fodero. Miracolo? Chiaramente non è il concetto giusto. Forse nel Pd sono all’opera altre dinamiche, che qui ci azzardiamo ad interpretare.

Il lungo lavoro di costruzione dei circoli, con conseguente serie di dibattiti (“Siamo diventati un’efficiente organizzazione culturale” ci diceva con ironia il segretario uscente Agostini, sottolineando in questo dato l’evidente limite, ma anche le potenzialità), l’affacciarsi alla politica di persone nuove, la selezione dei dirigenti operata non da riunioni di capobastone, ma dagli elettori attraverso le primarie, ha cambiato la fisionomia degli organi dirigenti. L’assemblea dei 64 eletti alle primarie, investita del compito di eleggere il segretario, non è composta di altrettanti soldatini, pronti ad eseguire gli ordini del capo-corrente (i quattro candidati) e a coprirne i mercanteggiamenti. Insomma, lo schema paventato da Giovanni Kessler (“Tonini, secondo arrivato, si mette d’accordo con Pinter, terzo, per far fuori Nicoletti, primo”) cozzava, prima ancora che con la volontà di Tonini o Pinter, con quella dei relativi supporter, non tutti disponibili a votare qualsiasi cosa secondo l’ordine di scuderia.

Se le cose sono in questi termini, il Pd in effetti può aprire una stagione nuova. Lo vedremo subito. Una cartina di tornasole sarà lo scioglimento o la cristallizzazione dei raggruppamenti attorno ai quattro candidati.

Se, terminato l’iter congressuale, ci saranno ancora “toniniani” “pinteriani” “nicolettisti”, ecc, vorrà dire che il vecchio ritorna. “Non credo ci saranno ulteriori riunioni dei candidati della lista di Nicoletti - ci dice Agostini - In ogni caso, se ci saranno, io non ci andrò”.