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QT n. 1, gennaio 2010 Monitor: Cinema

A serious man

I segni di Hashem

Come ci parla Dio? Che modi sceglie per rivolgersi a noi? Come vanno interpretati i segni che ci manda? Gira intorno a queste domande fondamentali A Serious Man dei fratelli Coen, uno dei film più intelligenti, compiuti e profondi (e forse meno immediatamente comici) di tutta la loro carriera.

La storia è quella di Larry, un professore di fisica le cui certezze iniziano un giorno a vacillare. Contemporaneamente, senza catastrofiche esplosioni ma con lenti movimenti a vortice, tutto intorno a lui comincia a sprofondare: la moglie lo tradisce e gli chiede il divorzio; la commissione che deve esaminare la sua richiesta di promozione riceve lettere anonime che lo diffamano; il fratello che vive in casa con lui viene arrestato; e anche i figli, del tutto indifferenti alla separazione dei genitori, ci mettono del loro, combinando stupidaggini da adolescenti.

Ma le sventure o le crisi non valgono solo in sé: devono essere anche il segno di qualcosa d’altro. Tutti questi drammi vanno infatti collocati all’interno di un contesto ebraico che, per fede, tradizione e modo di ragionare, prevede che in casi come questi ci si rivolga a Dio: non, banalmente, in cerca di una grazia, ma in cerca di significato. A Larry, quindi, viene consigliato di contattare dei rabbini, persone che sanno interpretare i segni che Hashem invia. Hashem vuol dire “il nome”. E sta appunto a rappresentare il nome (impronunciabile) di “Dio”, o del tetragramma YHVH che lo descrive nell’Antico Testamento. Le “spiegazioni” dei rabbini si collocano però tra il ridicolo, il patetico e l’inutile.

Il primo rabbino è il rabbino giovane, che proprio per la sua età e scarsa esperienza gode di poco prestigio. Se ne rode. Ci mette impegno, ma rivende a Larry una storiella preconfezionata, che non si adatta per nulla ai suoi problemi concreti. Il terzo rabbino non lo riceve nemmeno, ma avrà una memorabile comparsata nel finale del film. Il secondo rabbino, invece, ha nelle sue corde un racconto straordinario, quello dei “denti del non-ebreo”: un dentista ebreo trova nell’interno dei denti di un cristiano le lettere ebraiche che compongono la parola “aiutami”. Sarà uno dei modi oscuri che quel Dio innominabile ha trovato per parlargli? Ma cosa gli vorrà dire esattamente? La lettura che il rabbino fa di questa storia, perfettamente coerente con il senso del film, è una delle lezioni di vita che teniamo buone per l’anno nuovo.

Non riveliamo le conclusioni del rabbino, ma diciamo la risposta, una sola, che il film fornisce rispetto alle domande poste all’inizio. La risposta è: accetta il mistero. Lo afferma un padre sudcoreano mentre abbozza, sulla soglia della casa di Larry, un’improbabile difesa del figlio bocciato al test di fisica. Quando il professore gli dice che non può proporgli come veridiche una tesi e la sua antitesi, il coreano gli risponde proprio così: “Accetti il mistero”. È quanto è costretto a fare anche lo spettatore, nel più bel finale offerto dal cinema nel 2009, di fronte a una conversazione telefonica montata in parallelo con un uragano in arrivo.

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