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QT n. 3, marzo 2010 Servizi

Questa riforma non s’ha da fare

Come la Provincia intende svilire la sorveglianza del territorio

Il territorio della provincia di Trento è percorso da diverse figure professionali che controllano boschi, fauna selvatica, torrenti e spazi di biodiversità. Sono persone quasi invisibili che vagano nelle ore più impensate dagli ambiti rocciosi fino nei fondovalle e lungo i corsi d’acqua, persone ben inserite nel contesto sociale. Si tratta dei guardaboschi, dei guardiacaccia, dei guardapesca e dei guardaparco.

Ognuno di questi costituisce un riferimento preciso per residenti, agricoltori, cacciatori, pescatori, turisti, e amministrativamente risponde a soggetti diversi, pubblici o privati. Si va dai comuni e le ASUC per i guardaboschi, alle associazioni dei cacciatori e dei pescatori per i guardiacaccia e i guardapesca, agli enti parco per i guardaparco.

Lo Statuto di Autonomia ci ha permesso di difendere la presenza di queste professioni e di metterle in rete con il coordinamento, più o meno diretto, del Corpo Forestale Provinciale, senza ledere le specificità dell’intervento, incrementandone le professionalità e offrendo un servizio diretto ai cittadini e alle amministrazioni pubbliche.

Un quadro complesso e dispersivo? È esattamente il contrario: più occhi vedono meglio di pochi e la specializzazione produce efficacia. Da alcuni mesi l’insieme della vigilanza ambientale in Trentino viene messo in discussione dalla Provincia attraverso un disegno di strisciante “razionalizzazione”. Una decisa azione sindacale condotta dalla CGIL e che ha trovato alleanze inedite nella Associazione dei Cacciatori e nel Consiglio delle Autonomie Locali in questi giorni ha di fatto azzerato ogni proposta riguardante i guardaboschi e ha indotto il presidente Dellai a ritirare le prescrizioni di massima del calendario venatorio che toglievano ai guardiacaccia efficacia nella vigilanza.

 Si volevano colpire tutti gli organi di vigilanza sopra citati: 171 custodi forestali, 18 guardaparco, 20 guardapesca e 35 guardiacaccia.

Si tratta di un disegno articolato che avrebbe creato disagio diffuso, non soltanto negli ambiti specialistici.

La professionalità di queste figure sarebbe stata ridimensionata, incidendo soprattutto sulle funzioni di vigilanza: ai guardiacaccia e guardiapesca si sarebbe tolto il patentino di guardie giurate particolari, ai custodi forestali e ai guardaparco quello di Agente di Pubblica Sicurezza o di Polizia Giudiziaria. Ad ognuna veniva lasciata solo agibilità per interventi di carattere tecnico. Appare dunque evidente il percorso di accentramento nel Corpo Forestale Provinciale delle varie competenze di vigilanza.

Per come proposto, il nuovo regolamento dei custodi forestali ne ridurrebbe il numero dai 171 attuali a circa 120, facendo perdere loro ogni autonomia nella gestione del lavoro e di fatto rendendoli manodopera a diretto servizio delle Stazioni Forestali. Si limitava il loro intervento alle sole aree forestali e pascolive, si ampliavano a dismisura le zone di custodia, si slegava il custode dalla sua specifica zona. Ma, quel che è peggio, gli enti proprietari di boschi e pascoli ed i cittadini che godono di diritti di uso civico avrebbero perso il contatto diretto con la conoscenza delle foreste e di quanto vi accade.

Anche i guardiacaccia hanno rischiato un ridimensionamento feroce mantenendo solo competenze di monitoraggio della fauna. La riforma proposta avrebbe ridotto le tradizionali competenze tecniche di controllo della fauna cacciata, limitando l’operatività di professionisti già formati e specializzati in queste funzioni. Anche i guardapesca, una volta privati del patentino di guardie particolari giurate, si ritroverebbero a svolgere il ruolo di supporto tecnico ai pescatori, delegando di fatto ogni controllo al Corpo Forestale.

Guardaparchi da cartolina?

Guardacaccia mostra un laccio per la caccia di frodo al capriolo, cui verrebbe procurata una morte lunga e dolorosissima.

Clamoroso quanto sta avvenendo per i guardaparco, e sull’argomento si registra un preoccupante silenzio dell’assessore all’ambiente Pacher. Si tratta di personale addestrato ad applicare le leggi ambientali della Provincia e le norme attuative dei piani parco, che ha monitorato nel corso degli anni ogni specificità del territorio di competenza ed ha contribuito a portare la propria esperienza diretta di campo al servizio dei percorsi formativi per le scuole e per i visitatori Un guardaparco riassume l’essenza e la qualità stessa di un parco. Con la riforma proposta dalla Provincia alcuni passerebbero direttamente al Corpo Forestale, mentre altri rimarrebbero sul territorio con un ruolo soprattutto didattico-informativo e di mera rappresentanza del parco, una cartolina-immagine priva di ogni efficacia reale e relegata a pura funzione di promozione turistica, con un evidente svilimento del proprio ruolo.

È difficile capire il senso di questa riorganizzazione. La nostra specificità autonomistica e il rispetto verso i territori più periferici ci hanno permesso di costruire nel tempo alte professionalità nel monitoraggio della qualità del nostro ambiente naturale. Svuotando le diverse competenze dirette ed inserendole in compiti generalistici affidati alla Forestale, si tolgono alle comunità locali, quindi ai cittadini, riferimenti ormai consolidati, momenti formativi e collegamenti diretti fra comuni, ASUC, parchi naturali, cacciatori e pescatori con il Corpo Forestale Provinciale.

È una riforma che, se attuata, avrebbe portato ad una pesante perdita di autonomia nella gestione del personale da parte dei comuni, delle ASUC e dei parchi naturali, inficiando così ogni proposito annunciato di sussidiarietà.

Le vicende di Monte Zaccon e della discarica di Sardagna, hanno alimentato una diffidenza diffusa nel cittadino verso il Corpo Forestale Provinciale e specialmente verso l’APPA. La credibilità di queste istituzioni è crollata ai minimi termini; basta scorrere i sondaggi di un quotidiano locale. Nonostante ciò, le Stazioni Forestali stanno subendo un collasso continuo di uomini: chi va in pensione non viene sostituito e il lavoro sul territorio di fatto scompare, assorbito da una burocrazia che non lascia respiro ad altre attenzioni.

Altri forestali vengono dirottati a bloccare il traffico sui passi quando nevica o vengono spediti per tutto l’inverno a fare controllo piste. Un investimento di pura immagine! Non c’è dubbio che ad oggi le Stazioni Forestali non riescono ad offrire una vigilanza efficace; allora, perché privare di professionalità e potenzialità d’intervento le altre figure attive sul territorio?

Una riforma che insospettisce

Mori. “Trofei” recuperati dai guardacaccia a un bracconiere.

Chi guida la politica provinciale sostiene di investire sulla territorialità e sul principio di sussidiarietà. Risulta tanto più contraddittorio quindi privare comuni e ASUC della loro autonomia di gestione dei territori, dei pascoli, delle malghe, dei boschi, tramite la riforma proposta dei Custodi Forestali. Una volta legati ad un mansionario imposto dai Distretti Forestali, gli assessori comunali perderebbero il loro riferimento diretto. Perché poi togliere al mondo venatorio e a quello dei pescatori la responsabilità di gestire anche la sorveglianza dei loro associati? Il 95% delle contravvenzioni sulla pesca è elevato dai guardapesca e circa il 60% delle infrazioni sulla caccia sono rilevate dai guardiacaccia. Inoltre, gran parte delle sanzioni in area parco sono operate dai guardaparco. Sono i numeri che confermano la marginalità del Corpo Forestale nella vigilanza ambientale.

È una riforma che alimenta sospetti. In alcuni casi, come quello dei custodi, i documenti che la compongono sono pervenuti per vie non ufficiali. Il sospetto è che Dellai volesse uniformare la vigilanza sul territorio per poterla controllare, per evitare che figure autonome nel loro lavoro, come quelle citate, possano individuare situazioni di irregolarità che non dovrebbero essere viste. Come accaduto con l’APPA e con i servizi ispettivi del lavoro, una vigilanza non completamente controllabile infastidisce il potere politico, non solo in Provincia, ma anche in tanti comuni.

Invece, proprio partendo dalla crisi di fiducia nelle istituzioni ispettive dell’ambiente, dovrebbe rinascere un moto d’orgoglio della nostra autonomia, per ritornare ad investire, potenziare e riqualificare le energie diffuse sul territorio, a motivarle nell’azione diretta, a garantire ai cittadini qualità ed efficacia negli interventi, a ricostruire la fiducia perduta. E garantire, ovunque e per tutti, il rispetto delle regole.

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Commenti (1)

Omar

La nostra amata Provincia sta facendo di tutto e di più per screditare le figure che hanno ancora un legame con il territorio.
La cosa che fa imbestialire ancora di più è che il Servizio Foreste non ha i numeri per effettuare tutto ciò che si propone di portare avanti, e conta di ridurre le altre figure a dei semplici manovali da poter utilizzare o scaricare a suo piacimento.
Così, come tra il resto accade spesso tutt'ora, i meriti sono per il Corpo Forestale Provinciale, mentre il lavoro dietro le quinte, quello che garantisce i loro risultati spetta alla manovalanza.
Al C.F.P. piace troppo stare sotto i riflettori e prendersi meriti che molto spesso non gli competono; non mi spiego perchè loro possono discutere del nostro futuro senza interpellarci.
Mi auguro che i nostri datori di lavoro effettivi si rendano conto di ciò che stà accadendo e prendano opportune contromisure.
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