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QT n. 4, aprile 2010 Servizi

Satana è su Facebook

... e in molti altri siti “pericolosi”. Dalla denuncia di mons. Vecchi al decreto del Governo.

Satana è su Facebook. Lo spiegò, in novembre, mons. Ernesto Vecchi, vicario del vescovo di Bologna, argomentando con logica ferrea che non potrebbe essere altrimenti, dacché “il demonio è moderno e aggiornato”. In dicembre, commentando il lancio della statuetta del Duomo contro Berlusconi (“il tanto atteso faccia a faccia con la chiesa”, ironizzarono sul blog www.spinoza.it), Bruno Vespa notò che Tartaglia era un personaggio “vicino agli ambienti dei social network”. Puntuale giunse la chiusura dei gruppi Facebook che inneggiavano all’attentatore, preludio di ulteriori provvedimenti di controllo e restrizioni su Internet.

Il decreto Romani approvato il primo marzo dal Consiglio dei Ministri rappresenta un caso emblematico dell’attitudine del governo verso l’informazione on-line (e, più in generale, verso tutti i diversi mezzi di comunicazione su Internet): un ferreo controllo politico, “un corollario del minzolinismo” dice il blogger e giornalista dell’Espresso Alessandro Gilioli. Si tratta di un provvedimento che lascia in una zona grigia i servizi commerciali basati sulla distribuzione di video, sia amatoriali che professionali, come ad esempio YouTube, che si troverà a dover chiedere un’autorizzazione ministeriale per poter continuare a offrire servizi di live-streaming e, in generale, per distribuire su Internet i prodotti dei network televisivi. Una situazione esclusivamente italiana (a parte, ovviamente, la Cina, la Corea del Nord e gli altri regimi un tantino autoritari e impegnati in una caparbia censura del web), nonostante il fatto che la legge sia stata parecchio limata rispetto alla sua concezione iniziale. Google, proprietario di YouTube, è stato tra i suoi più accesi avversari; i suoi manager, forse parafrasando Forrest Gump al termine della sua maratona (“Mi sento un po’ stanchino”), si sono dichiarati “un po’ inquietati”.

Nonostante tutte le resistenze, comunque, la direzione sembra tracciata: il governo continuerà a spingere per un maggiore controllo di Internet nel tentativo di porre dei paletti alla comunicazione on-line, ora imponendo la richiesta di autorizzazioni, ora sanzionando chi crea gruppi “sovversivi”. Nessun altro Paese europeo ha mai pensato a restrizioni analoghe. Tuttavia si tratta di tematiche delicate, che meritano di essere approfondite: nessuno, in fondo, nega l’esigenza di un qualche controllo per la rete.

Il problema è che in Italia persistono grande ignoranza e superficialità rispetto all’argomento Internet, che coinvolge la Chiesa di mons. Vecchi, i giornalisti come Bruno Vespa, e molte fasce della società. Internet è una grande nebulosa in cui tutto è uguale: blog, social network, Google, YouTube. I veri esperti, coloro che Internet almeno lo usano per fare qualcosa di più raffinato che non soltanto controllare la posta elettronica, sono marginalizzati o esclusi tout court dal dibattito pubblico. E così l’Italia finisce per essere l’unico Paese del G8 che, anziché considerare lo sviluppo tecnologico (l’estensione della copertura Internet su tutto il Paese) una priorità indispensabile per uscire dalla crisi, lo relega “ai primi posti fra le priorità che il Governo intende considerare appena usciti dalla crisi” (Gianni Letta, sottosegretario al Consiglio).

Povero Internet: in Italia sembra proprio che nessuno intenda valorizzare davvero il suo enorme potenziale. Per il momento ci si accontenta di limitare la condivisione di materiale video e di chiudere qualche gruppo Facebook qua e là.

Una trovata tragicomica: il click sicuro

Uno degli aspetti più controversi del decreto Romani è il “click sicuro”, un programma che manda in automatico un sms al telefono dei genitori ogniqualvolta uno dei figli (minorenni) accede a un sito web “pericoloso” (laddove, ovviamente, la scelta dei siti pericolosi è a discrezione del governo). Trovata, questa, che ha scatenato l’ilarità di molti, che hanno provato ad immaginarsi il giovane che si trastulla felice con YouPorn e il genitore che, avvisato via sms (resta da capire quale sarà il testo scelto, suggerisce Gilioli: burocratese stretto “Ai sensi di legge La informiamo che è in corso una navigazione scorretta”, o qualcosa di più giovanile, tipo “Uè, attento a quel segaiolo di tuo figlio!”) irrompe furibondo nella stanza e fa un macello. C’è chi commenta: “Se ci fosse stata una roba così ai miei tempi, avrei fatto fallire lo Stato a colpi di sms”.

Comunque, come in molte altre leggi recentemente approvate, oltre al danno (uno Stato etico e orwelliano, che si arroga il diritto di distribuire moralità, decidendo arbitrariamente quali siti sono off-limits e quali invece no), c’è anche la beffa: l’ideatore della norma, Paolo Romani, quando era editore di Lombardia 7 produceva programmi come “Vizi privati e pubbliche visioni”.