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L’ultimo autobus

Chi è stato Silvius Magnago?

Silvius Magnago

Venerdì 28 maggio sono scesi dalle valli, diretti al Duomo e poi al cimitero di Oltrisarco. In autobus organizzati dal partito, come quel giorno del ‘57, quando lui, Silvio, Silvius Magnago, da poco divenuto segretario col golpe di maggio, li aveva convocati a Castel Firmiano. “Los von Trient”, via da Trento, era il suo slogan. I sudtirolesi erano esasperati dal comportamento dello stato italiano. Dopo vent’anni di fascismo, anche la democrazia si era rivelata insensibile ai bisogni di una minoranza. Così nella Svp avevano avuto la meglio i duri, gli optanti, cresciuti e diventati uomini sotto due dittature. “Via da Trento” era una politica comunque fondata sulla diplomazia e sul rispetto delle istituzioni. Magnago sapeva e vedeva che numerosi erano i cartelli e le grida di “Los von Rom”, via da Roma. Giocò la sua partita e vinse. La sua oratoria straordinaria unita all’aspetto ascetico, magro, alto, con il moncone esibito della gamba persa sul fronte russo dove aveva combattuto con l’esercito del Reich, dopo un periodo poco conosciuto di componente della commissione per la valutazione dei beni degli optanti, e l’orgoglio di reggersi sempre da solo, aveva domato anche i più facinorosi.

Si sono radunati come a Merano, quel giorno d’autunno del 1969, per decidere se accettare il “pacchetto” per l’autonomia, frutto di un decennio di trattative riservate fra Stato e Svp. Vinse ancora, per pochi voti, e raccontava volentieri, di avere approfittato del fatto che la discussione si era prolungata fino all’una di notte e gli autobus erano ripartiti prima, e la sua resistenza fisica aveva avuto la meglio sui rimasti. La scelta dell’autonomia ebbe la meglio sulla tentazione dell’autodeterminazione.

Figlio di un magistrato trentino e di una sudtirolese, aveva studiato diritto a Bologna. Elegante, tagliente e anche spietato, finì per diventare la personificazione della volontà della minoranza sudtirolese di sopravvivere e di non farsi assimilare.

Hanno scritto molto, infinite pagine agiografiche, in buona parte meritate, ma la storia deve ancora cominciare a raccontare il taciuto, per sua stessa volontà o interesse altrui.

Il suo modello separatista dei gruppi etnici, destinati per volontà politica e sistema istituzionale a vivere sullo stesso territorio, ma “senza mescolarsi”, ha avuto successo. Il Sudtirolo di oggi è ciò che Magnago ha voluto, e saputo realizzare, nei 28 anni di presidenza della Provincia e soprattutto nei 32 di guida politica del partito. Tempi difficili: dopo l’ascesa al potere (1957) erano cominciate le bombe, e gli anni ‘60 avevano visto esercitarsi sul territorio sudtirolese servizi segreti nazionali deviati ed esteri, e neonazisti accorsi nella speranza di risuscitare la questione nazionale tedesca. Magnago contribuì a garantire la pace anche nei momenti più burrascosi. Era contrario alle bombe ma le usò come arma di pressione sul renitente governo italiano. Si sorprese quando nel 1987-88 scoppiarono le bombe di Ein Tirol, e il popolo bolzanino andò in piazza con i cartelli bilingui contro la violenza e a favore della convivenza. Scosse invece la testa, colpita da un tremore senile, quando un’ala della Svp nel 1991 cercò di buttare via l’autonomia e riprendere la via avventurosa della secessione. E con ferma discrezione pose il suo peso per chiudere la vertenza internazionale.

Avversò con durezza i giovani sudtirolesi che verso la fine degli anni ‘60 diedero vita a iniziative editoriali e politiche miste. Meglio Mitolo di Langer, diceva, l’uno nemico e chiaro da comprendere, il secondo pericoloso seduttore. Non si amarono, anche se entrambi si erano dedicati alla vita pubblica in perfetto disinteresse personale, entrambi con una lungimirante e forte visione del futuro per una terra difficile e bella.

Sapeva raccontare con gusto gli avvenimenti di cui era stato testimone e protagonista, le persone, i questori, i prefetti, Moro. Nel 1989, alla mostra sulle Opzioni del 1939, venne solo uno degli ultimi giorni, scontento che su un argomento tanto lacerante e volutamente ignorato per decenni, lavorassero insieme storici italiani, tedeschi e ladini. Per lui tutto era politica etnica, le questioni sociali venivano trasformate anch’esse in questioni etniche, la casa, il lavoro, le scuole.

Morto a 96 anni, Magnago era già da tempo diventato un personaggio “storico”, perché il suo tempo era finito e il suo Sudtirolo, sofferente e ferito dall’ingiustizia, si era già trasformato in ciò che è oggi, nel bene e nel male. Un paese in cui trionfano ricchezza e cinismo, bellezza e avidità, felicità e invidia, nuove povertà e indifferenza, generosità ed egoismo. Un paese normale. Silvius Magnago gli ha dato la “normalità” riducendo alla ragione una complessità che pareva potersi esprimere solo nel conflitto. Chi lo ha seguito avrebbe dovuto sviluppare questa speciale normalità e porsi nuovi obiettivi culturali e morali. Ma ciò non è stato.

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17 novembre a Castelfirmiano

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