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Ancora sull’Inno al Tirolo

Osvaldo Tonina

Mi sento costretto a intervenire in risposta a un articolo di Quinto Antonelli apparso su questo periodico. Lasciando perdere le offese gratuite dell’autore, che testimoniano anche la poca sensibilità verso interpretazioni della storia diverse rispetto alla sua, vorrei ricordare che nell’articolo veniva delegittimato in forma caricaturale lo studio da me condotto e pubblicato nel 2006, intitolato “Dall’Antologia di don Livio Rosa, tra gli scritti rimasti. L’inno al Tirolo”.

In sostanza Antonelli non ha compreso la questione. Ripartiamo dall’inizio. Don Rosa, chierico trentino, nel 1915, mentre era profugo in Boemia, riportava in una sua antologia (scritta in 4 lingue), fra tante preghiere e inni, anche l’Inno al Tirolo, che testimoniava anche l’appartenenza e il legame della nostra gente alla propria terra. Ho preso atto che quell’inno era stato successivamente manipolato da ignoti e le modifiche lo facevano perfettamente coincidere con l’Inno al Trentino. Non a caso tutta l’antologia di don Rosa è stata manipolata, come chiunque può constatare: la parola “Tirolo” diventa magicamente “Trentino” e “Austria” altrettanto magicamente diventa “Italia”.

La critica mossa da Antonelli e altri riguarda il fatto che l’Inno al Trentino sarebbe stato pubblicato nel 1911 sul giornale socialista “Il Popolo” e che quindi può essere datato prima del lavoro di trascrizione dell’inno da parte di don Rosa, il quale però, come già detto, non è da considerarsi l’autore dell’Inno al Tirolo nel 1915 ma colui che nel 1915 riportò questo inno come numerosi altri appartenenti al repertorio popolare tirolese trentino.

Livio Rosa ha quindi pensato bene di trascrivere pure l’originale dell’Inno al Tirolo che conosceva, come ha fatto per gli altri inni originali. Quindi non esiste nessun errore di anacronismo, a meno che non lo si voglia costruire artificiosamente; per quanto mi riguarda, ho solo preso atto dell’esistenza di un documento - l’Inno al Tirolo riportato da don Rosa - nel quale è evidente una manipolazione successiva ad opera di ignoti.

Antonelli esprime quindi numerosi giudizi su don Rosa e sull’Inno senza avere visto la documentazione originale. Forse uno storico professionista dovrebbe prendersi la briga di andare a vedere questi documenti prima di emettere sentenze inappellabili. Di seguito cita l’Inno a S. Vigilio, riportato anch’esso da don Rosa, come se questo dovesse dimostrare in qualche modo il sentimento di italianità della popolazione del tempo: la prima ideologica manomissione la fa però proprio Antonelli, volutamente. Si tratta di un semplice inno alla fede cristiana e al pontefice che sta a Roma ed è chiaro cosa significhi in quel contesto il concetto di “italico idioma”, perché quella era la lingua utilizzata dalla maggior parte dei fedeli trentini nelle chiese cattoliche. Roma è qui cantata non come capitale ma come sede del Vaticano. Oltretutto, l’Italia era vista dai trentini proprio come terra laica e anticlericale.

Passiamo all’inno Alla Giovinezza che don Rosa trascrive nell’antologia; un altro caso di strumentalizzazione di un canto studentesco che poi il fascismo ed altri manipolarono a proprio piacimento, dimostrando un forte parallelismo rispetto a quanto accaduto per l’Inno al Trentino.

Poi tira in ballo i nostri “meno colti” Kaiserjäger trentini. Ma lui che ha scritto tanto sui caduti dimenticati non ricorda che venivano chiamati Tiroler Kaiserjäger? E in quanto all’espressione “meno colti” risulta strana pronunciata da chi, attraverso l’Archivio dei diari, da decenni cerca di dimostrarci quanto fosse elevato il livello culturale, di istruzione e di alfabetizzazione dei sudditi tirolesi-trentini. Quanto a strumentalizzazioni, mi pare che Antonelli sia maestro nel cercare, attraverso una piccola strofa anti-imperatore, che non si sa bene da dove provenga, un presunto sentimento contrario agli Asburgo nel Tirolo trentino di allora.

Quanto al terzo testo, “Su fratelli lasciamo le spose”, Antonelli vuol farci credere che il prosieguo dell’inno sia addirittura un inno garibaldino. Non si capisce come Antonelli, sulla base di pochissime analogie e riferimenti, abbia potuto pensare e quindi scrivere che “Su fratelli lasciamo le spose” sia in qualche modo collegato con l’Inno al Tirolo, cercando di dimostrare non solo la non originalità del testo dell’Inno al Tirolo, ma addiritura un riferimento a scritti di epoca garibaldina.

Sulla base di un’analisi approfondita si rileva che il testo “Su fratelli lasciamo le spose” ha un percorso filologico tutto proprio, pur risalendo al periodo riferito alla seconda guerra di indipendenza. Prendendo in mano il testo originale e verificando le presunte manomissioni denunciate dal nostro ricercatore, ci si rende conto che anche in questo caso ci si trova di fronte ad una panzana, in quanto le presunte sostituzioni operate da Rosa sul testo garibaldino - se effettuate - producono comunque qualcosa che non ha a che vedere per nulla con le presunzioni di Antonelli. Le similitudini sono praticamente inesistenti.

Strano che Antonelli, solitamente così preciso nell’individuare particolari a tutti poco noti, non si accorga che l’ultima frase dell’Inno al Tirolo recita così: “Sì sì cadrà, sì sì cadrà, sì sì cadrà”. Questa espressione, ripresa anche da altri studiosi, ci permette di contestualizzare l’Inno al Tirolo all’epoca precedente alla morte di Hofer, nel contesto del periodo delle invasioni napoleoniche. Infatti, si tratta di una storpiatura di un canto dei soldati francesi napoleonici, il più famoso canto della rivoluzione francese (dopo la Marsigliese) che recita, per l’appunto, “Ah ça ira, ça ira, ça ira”.

Quanto ai riferimenti di tipo sessuale dei soldati tirolesi trentini nelle caserme austriache, c’è da chiedersi se veramente Antonelli, dopo anni di studi, abbia veramente avuto a cuore il tragico destino di migliaia di padri di famiglia che morirono sui campi di Galizia con un ultimo pensiero alle numerose bocche da sfamare lasciate nel Tirolo (e non “i testi espliciti del desiderio sessuale”, come vuol farci credere). Quanto all’espressione che a detta di Antonelli sarebbe stata usata dai nostri soldati all’epoca parlando di “famiglia dei barbari” in riferimento all’esercito asburgico, ci può lo studioso dire in quanti diari compare questa espressione, dato che lo spirito generalista pare permettergli di dedurre da un singolo giudizio il parere di un intero popolo?

Non si possono cancellare mille anni di storia. Ci hanno già provato nel secolo scorso. Una lettera circolare dell’Ufficio Distrettuale Politico di Trento del 26 settembre 1922 nel dare disposizione affinché ogni riferimento al Tirolo venisse cancellato, imponeva ai sindaci trentini la “rimozione di questi residui...da eseguirsi con mezzi efficaci sì da farli definitivamente scomparire. Dovranno pure essere tolti dalla circolazione tutti gli stampati di qualsiasi ufficio pubblico che, per avventura, portassero ancora in capo o nel testo, o dove che sia, un accenno o un simbolo del tramontato regime”.

Concludo con un piccolo omaggio che serva di spunto per chi vuole approfondire la questione dell’Inno al Tirolo: lo squillo di tromba d’inizio dell’Inno al Trentino che poi si ripete ancora nell’Inno, è del tutto identico allo squillo di tromba nel trio dell’inno dei Tiroler Kaiserjäger. Una banale coincidenza anche questa?

* * *

Signor Tonina, proprio non ci capiamo. La discussione così si incattivisce senza ragione e senza costrutto per nessuno, in particolare per i lettori di QT, che non hanno sotto gli occhi i documenti per seguirci nelle nostre scorribande filologiche. Replicare in modo non liquidatorio alla sua lettera richiederebbe uno spazio che non ci è consentito. La cosa più seria, a questo punto, sarà dedicare a tutta la tematica degli inni politici e civili nuove ricerche e specifici incontri di studio, nei quali il confronto si possa svolgere in modo adeguato. Per parte mia intendo percorrere con determinazione questa strada e proporla nelle sedi di lavoro storico più idonee. So che Quinto Antonelli, Mirko Saltori e molti altri condividono l’opportunità di iniziative in questa direzione. Se si concretizzeranno, forse anche gli interrogativi polemici che costellano la sua lettera potranno essere affrontati alla luce di una documentazione più ricca e di criteri interpretativi più lucidi.

Fabrizio Rasera

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La giostra delle identità
La Storia e le sue caricature
Quinto Antonelli

Commenti (2)

I MA ZAPADI COL 'ZOP ANTONIO PANCHERI

Mio nonno era un Tiroler Kaiserjaeger trentino della Val di Non, io non l'ho conosciuto, ma il mio papà mi ha raccontato che lui rimase fedele all'Impero anche dopo la sua dissoluzione. Non accettò di fare la tessera fascista, pur essendo rimasto invalido di guerra per anni non ricevette la pensione perché un paesano senza cuore gli rubò la tessera e ritirò al posto suo la pensione che gli spettava come invalido di guerra. Mio nonno disse a mio padre che "i tagliani" erano un popolo disonesto e analfabeta a causa dei suoi governati, invece l'Impero Autro-Ungarico era giusto, onesto e rispettoso dei suoi cittadini, di qualunque lingua fossero. Le ultime cose che voglio dire è che mio nonno disse anche che l'Austria perse la guerra perché i suoi soldati erano più affamati e stremati che quelli italiani; inoltre voglio ricordare che nel libro di Don Lorenzo Dalponte cappellano degli Shuetzen Trentini l'esercito italiano che veniva a liberarci dall'Impero imprigionò 12000 soldati trentini in campi di lavoro e solo dopo anni solo 6000 di loro tornarono a casa.

Michele Giacomelli

Vorrei ringraziare il Sig. Tonina per la ricerca piena di informazioni storiche. Come lui dice, mille anni non si cancellano nei 93 in cui non appena un inno fu manipolato, ma anche i libri scolari, la politica e la mentalità delle nuove generazioni. Bellissimi esempi di caricature della Storia si trovano nelle versioni "ufficiali" create doppo 1918. Senza la rimozione dei "residui" (documenti, foto, simboli, targhe) di patriotismo austriaco non sarebbe molto difficile trovare informazioni sull'identità originale del Trentino fino al 1918.
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