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La crisi, lo stato sociale e l’idraulico polacco

Perché non conviene mandarli a casa

Nel 2005, nel pieno del dibattito sulla Costituzione europea i sogni dei francesi furono a lungo turbati da questa figura mitica che finì per acquistare anche una certa rilevanza politica grazie a Philippe de Villiers, fondatore del “Mouvement pour la France” (Movimento per la Francia, partito di destra). Per de Villiers l’idraulico polacco rappresentava la metafora di tutto quanto di negativo il rafforzamento del processo di integrazione - sancito dalla costituzione - avrebbe potuto significare per la Francia. In particolare la direttiva Bolkenstein sui servizi, che avrebbe permesso a datori di lavoro esteri di proporre i loro servizi in un paese UE alle stesse condizioni che in patria, determinando un pericoloso dumping sociale, venne impugnata dai movimenti di tutt’Europa ma anche dalla destra nazionalista e xenofoba. Quest’ultima con l’argomento della “preferenza nazionale” per i lavoratori autoctoni.

Oggi che l’Europa dei grandi capitali, della moneta prima che dei cittadini, sembra essere stata affossata dalla crisi economica, alcuni si illudono che l’idraulico polacco, l’autista pakistano, l’operaio cinese se ne torneranno a casa. Sperando così - come fu con la crisi del 1973 - che la brutalità dei meccanismi economici risolva d’un tratto solo il “problema” immigrazione.

Ma si illudono: secondo le proiezioni dell’Istat nei prossimi vent’anni i residenti stranieri cresceranno in modo inarrestabile, fino a rappresentare nel 2030 il 13% della popolazione.

L’aumento della disoccupazione nel 2008 ha solo rallentato il tasso di crescita degli stranieri residenti. Secondo un articolo apparso recentemente su “Lavoro italiano”, mensile della UIL (si trova su www.ituc-csi.org) la persistenza delle entrate nel nostro paese è dovuta alla “esistenza di una vasta economia sommersa che attrae irregolari, nonché il basso indice di crescita demografica degli italiani, che apre spazi nel tessuto economico ed occupazionale (specie quello informale)”. Inoltre c’è da considerare il fatto che la crisi colpisce anche i paesi di provenienza degli immigrati, che continuano a vedere da noi maggiori opportunità di occupazione.

Quello che però è certo è che per gli stranieri rimasti in Italia la crisi - secondo il Censis - pesa tre volte di più sulla loro capacità di mantenere o trovare un lavoro (i dati si trovano su www.aiil.it).

In Trentino la recessione - secondo il rapporto 2009 del Cinformi, che si può consultare online su www.cinformi.it - fa sì che “al momento di assumere, i datori di lavoro, potendo scegliere più del passato, tendono a volte a preferire gli italiani”. E se - in generale - il lavoro degli stranieri nella nostra provincia “tiene” con un +0,5% di assunti rispetto al 2008, nel settore dell’industria e dell’edilizia le cifre fanno spavento: -16% di assunti immigrati.

C’è dunque da considerare anche questo aspetto della questione: il numero degli immigrati che si appoggeranno allo Stato sociale italiano per rispondere a difficoltà economiche aumenterà e questo - in tempi di recessione e di tagli alla spesa sociale - non sarà senza conseguenze. Per chi soffia sul fuoco del malcontento con argomentazioni xenofobe, la crisi è una manna che permette di acuire lo scontro sociale. Per chi cerca di avanzare l’idea di una società dell’accoglienza rischia invece di trasformarsi in un bavaglio: la coperta è troppo corta - si dice - e si tratta di decidere a chi destinare risorse. Ma può essere la nazionalità il criterio da seguire?

Soprattutto per un paese come il nostro, che ha un debito immenso nei confronti degli immigrati. Quando qualcuno dirà che “vengono qui e si fanno curare a spese nostre”, bisognerà rispondere che i contributi degli stranieri pagano il 4% delle nostre pensioni, consentendo di mantenere in piedi il sistema pensionistico. Secondo la Banca d’Italia agli immigrati va circa il 2,5% di tutte le spese di istruzione, pensione, sanità e prestazioni di sostegno al reddito, al massimo la metà di quello che assicurano in termini di gettito fiscale (dati tratti dal bel documento “Mandiamoli a casa”, www.civati.it).

Dopo che l’idraulico venuto dall’Est assurse agli onori della politica, l’ufficio del turismo polacco a Parigi diffuse un manifesto ironico nel quale un giovane biondo con tubi e attrezzi diceva: “Io resto in Polonia, venite numerosi”. Speriamo che l’idraulico polacco ci ripensi.

 

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