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Nera cronaca

Come funziona l’ingranaggio mediatico che stritola gli immigrati

I carabinieri non possono farsi fotografare senza il cappello. Lo sapevate? Forse voi no, ma i fotografi dei quotidiani sì: il militare reo di non essersi coperto la zucca per la foto con il copricapo d’ordinanza rischia di venire ripreso da un superiore e la redazione del quotidiano che ha pubblicato la foto di ricevere una telefonata dall’Arma.

È un esempio - per quanto banale - di un fenomeno generalizzato e dai risvolti inquietanti: le forze dell’ordine curano con sempre maggiore attenzione la loro immagine pubblica e per farlo cercano di sfruttare a loro vantaggio il sistema dei media. Dalla loro parte hanno un’arma straordinaria, una merce che per televisioni e quotidiani non ha prezzo: la cronaca nera.

Una storia come un’altra, raccontatami da un collega di un quotidiano trentino. Sono circa le 15 di un giorno d’estate, squilla il telefono, lui risponde. All’apparecchio c’è un funzionario del posto di polizia, che senza tanti preamboli (mostrando quanto il suo atteggiamento sia abituale) comincia quasi a dettare: “Stamattina abbiamo arrestato due ghanesi che avevano rubato delle magliette in alcuni negozi del centro. Grazie alla segnalazione dei commercianti li abbiamo beccati subito. Si chiamano XY e YX, le mando le foto via email”. Seguono età, precedenti e tutto il resto. Il giornalista, un po’ sorpreso ma non troppo, chiede al funzionario se il tutto non risulti un po’ eccessivo per un semplice furto di T-shirts e se non vi sia il dovere di tutelare la privacy degli arrestati. Risposta piccata: “Non ci sarà certo nessuno che verrà a protestare”. Fine della telefonata.

Il livello di rispetto della privacy per le forze dell’ordine sembra insomma essere, in alcuni casi, inversamente proporzionale alla forza sociale degli individui finiti nelle maglie della legge.

Un atteggiamento, questo, piuttosto condiviso nelle redazioni di quotidiani e TV: secondo la “Ricerca nazionale su immigrazione e asilo nei media italiani” svolta nell’ambito della “Carta di Roma” e presentata nel luglio 2010, “il 36,8% degli articoli con migranti protagonisti o sull’immigrazione contiene informazioni o immagini che possono portare all’identificazione di persone colpevoli di atti di violenza”.

Perché spesso a prendere quella telefonata c’è un giornalista assuefatto a considerare - soprattutto se si occupa quotidianamente di “nera” ed ha quindi scambi continui con le forze dell’ordine - gli immigrati come portatori di diritti “deboli”. E il contatto quotidiano (anzi, ogni ora) tra professionisti dell’informazione e forze dell’ordine è essenziale per costruire le pagine di cronaca nera dei quotidiani e si risolve spesso in uno scambio di favori, non necessariamente diretti (“Io ti do questo se tu fai questo”), ma che sempre comporta una forte messa in discussione della capacità critica di una testata. Come infatti prendere posizione contro chi dà le notizie che spesso costituiscono l’ossatura del giornale o del Tg e difendere le norme deontologiche sui migranti definite per esempio nella Carta di Roma?

Ovviamente in questa relazione pericolosa ad avere il coltello dalla parte del manico è chi fornisce le notizie: così le forze dell’ordine godono di una presunzione di innocenza che non viene altrettanto generosamente accordata agli immigrati, vera merce di scambio in questo pericoloso mercato. Gli episodi di microcriminalità che li vedono protagonisti, infatti, si fanno sempre leggere, si possono pompare senza fare troppa attenzione alla privacy e alle carte deontologiche, sapendo che difficilmente ci sarà una reazione legale degli interessati.

Gli immigrati fanno notizia quando delinquono, raramente in altri contesti: ricordo di aver testardamente speso un pomeriggio nel cercare informazioni su un incidente sul lavoro con un lavoratore marocchino coinvolto. Sapevo che non gli sarebbero state dedicate più di dieci righe.