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Il fascino paganiniano di Uto Ughi

Recensione del concerto trentino (op. 77 di Brahms) e intervista con il grande violinista genovese.

Annalisa Somariva

Un suono che strega e conquista è senza dubbio quello del violino di Uto Ughi. La performance che egli ha offerto a Trento ha incantato il pubblico. L’esecuzione del Concerto per violino e orchestra op.77 di Brahms ha evidenziato tutti i particolarissimi passaggi che richiedevano un fondersi e distinguersi fra solista e orchestra.

Come spesso accade nella scrittura di Brahms, il primo movimento del concerto già conteneva una tale densità di temi e variazioni, da poter essere considerato un intero capitolo di letteratura per violino e orchestra. Le suadenti note del secondo movimento, cesellate con cura dal solista e da una Haydn in splendida forma, hanno incatenato gli ascoltatori alle sedie. Dopo questa magica esecuzione, il famoso maestro si è anche prodotto in un piccolo brano, appena un movimento da Paganini. Nello spazio di questa esecuzione si è potuto comprendere quale rapporto di discendenza diretta ci sia fra questo nostro contemporaneo e il Maestro genovese. Non solo hanno in comune lo strumento, ma anche un certo charme naturale, che, si dice, facesse di Paganini un incontrastato beniamino nei salotti d’Europa. Ughi accompagna questa dote a una cavalleresca cortesia e a una totale serietà riguardo la propria attività artistica. Grazie ai buoni uffici del responsabile rapporti con la stampa della Haydn, M. Franceschini, abbiamo avuto modo di incontrare il Maestro e porgli alcune domande

Anzitutto voglio complimentarmi per il suo sito Internet, molto accurato, nel quale ho notato che lei si è occupato della preservazione di opere d’’arte.

"La salvaguardia del patrimonio artistico, è stato un mio obbiettivo nel periodo in cui abitavo a Venezia. Avevo una casa a Venezia, che possiedo ancora, anche se non ci vivo più, e avevo fondato un festival che si chiamava ‘Omaggio a Venezia’. Lo scopo principale era il restauro delle opere artistiche della città. Quando un musicista offriva un concerto, il ricavato andava per i restauri; ad esempio, abbiamo contribuito a sistemare la loggia del Sansovino; oppure ci siamo impegnati per il ripristino di alcune chiese. È’ un’iniziativa che abbiamo portato avanti 15 anni, istituendo anche un premio che si chiamava ‘Una vita per la musica’, con l’intenzione di tributare un riconoscimento alla vita e alla carriera dei grandi interpreti del nostro secolo".

Devono aver presenziato dei grandi nomi...

"Sono venute grandi personalità, mi fa piacere ricordare Rubinstein, Segovia, Menuhin, Giulini, Bernstein, Rostropovic, Horowitz... e anche tanti altri, leggende viventi, miti dell’interpretazione che ormai, ahimé, sono quasi tutti scomparsi".

Consola, almeno un poco, il fatto che Rostropovic è in ottima forma.

"Rostropovic lo conosco bene. Ho suonato con lui sia musica da camera, che come solista sotto la sua direzione. Un mese fa a Parma, abbiamo suonato un concerto di Ciajkovskij, mentre a Washington, quando era direttore stabile, abbiamo eseguito Beethoven, Brahms, Mendelssohn, Dvorak. È’ una persona straordinaria, un artista di notevole fantasia e una persona di grande umanità: è venuto gratuitamente, sia a Venezia che a Roma, dove adesso organizzo un’altra rassegna, questa volta, per i giovani. E’ venuto a tenere un concerto e non ha voluto un soldo".

Una rassegna musicale a Roma?

"Da 4-5 anni mi occupo di questo festival, rivolto soprattutto ai giovani. Per incentivarne la curiosità musicale, facciamo delle prove aperte, possono venire a vedere come si costruisce un’esecuzione...; lo facciamo per chi ha poche possibilità di andare ai concerti. L’ho chiamata: ‘Omaggio a Roma’. Prima c’è stato "Omaggio a Venezia", chissà che prima o poi non faccia un "Omaggio a Trento’! Purtroppo a Trento non riesco mai a fermarmi più di un giorno. Mi sembra una città vivace culturalmente, con un buon pubblico, l’ultima volta ho suonato in Duomo, c’era un po’ di amplificazione e un pubblico fantastico. Purtroppo la sala di stasera non ha una buona acustica, è molto asciutta, ma questo è un male che coinvolge tutta l’Italia: non ci sono sale da concerto con una buona acustica. A differenza del Giappone o della Spagna, dove negli ultimi dieci anni hanno costruito ottimi teatri, qui viviamo sui resti del passato. Del resto l’acustica è qualcosa d’imponderabile, non è misurabile con degli strumenti. Ci vuole l’orecchio del musicista. I teatri dell’antichità sono tutti perfetti, quando fanno un auditorio nuovo spesso falliscono, perché?"

Meglio passare a parlare del concerto di stasera. In programma un interessante Brahms. Ha qualche ricordo particolare legato a questo pezzo, come cambia la preparazione per l’interpretazione man mano che si acquisisce esperienza?

"Ogni volta che si affronta un capolavoro bisogna avvicinarlo come se fosse un pezzo nuovo. Ogni performance è un’esperienza diversa. Non esiste una interpretazione unica, ma tante vie per arrivare alla verità. Anche a causa delle personalità del direttore, del solista, dell’orchestra. Il brano di stasera è una grande opera sinfonica con l’apporto del violino; non è un concerto di violino con accompagnamento d’orchestra, è un tutt’uno perché Brahms era un grande sinfonista, quindi orchestra e violino si integrano e hanno la stessa importanza. Questo pezzo di Brahms l’ho suonato una volta con Giulini a Londra, ma anche con Zubin Metha, Rostropovic, e ognuno dei grandi maestri dà qualcosa di particolare. Lo scambio di vedute con personalità diverse è importante, sennò ci sarebbe una sola interpretazione. Le indicazioni dell’autore sono sempre di massima, poi c’è il lato personale soggettivo che gioca un grande ruolo. Devono sempre esserci ricerca e creatività, altrimenti si scade nella ripetitività e non c’è niente di peggio per uccidere la spontaneità dell’interpretazione".

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