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QT n. 17, 13 ottobre 2001 Scheda

La Resistenza, la popolazione, la memoria

Tre interviste a margine del convegno

Nostro primo interlocutore è Gustavo Corni, docente di storia contemporanea all’Università di Trento. Al convegno di Borgo ha tenuto la relazione introduttiva su "L’occupazione nazista in Italia e il movimento resistenziale."

C’è un’analogia fra le guerre di oggi, scoppiate nel mondo dopo il 1989, l’anno conclusivo del "secolo breve", e la seconda guerra mondiale?

"In quella guerra, per la prima volta nella storia, sono stati coinvolti in modo massiccio i civili, persone senza divise e senza armi, che sono stati ‘occupati’, trasferiti in maniera coatta, uccisi. I civili però sono stati anche protagonisti della Resistenza, si sono ribellati all’occupazione militare tedesca e italiana. Ricordiamoci che fino al ’43 anche l’Italia fascista occupò territori della penisola balcanica".

Quali furono le ragioni dell’occupazione?

"Furono diverse. I nazisti occuparono l’URSS per ragioni ideologiche, razziali addirittura, puntando alla distruzione totale del nemico: quelli erano sotto-uomini slavi, governati da un regime ebreo-comunista, con il quale nessuna pace era possibile. La Francia era il nemico politico storico della Germania. La Norvegia era un paese ricco di risorse idroelettriche. L’Italia e l’Ungheria furono occupate per ragioni militari, quando stavano per cambiare alleato. L’Alpenvorland, e quindi il Trentino, per preparare, dopo la vittoria, la sua annessione definitiva al Reich".

Quale fu la reazione delle popolazioni occupate di fronte alla potenza occupante?

"Furono complesse, diverse all’interno di ogni paese. Ci furono i collaborazionisti: Quisling in Norvegia condivide il progetto razziale di Hitler; Petain vuole riformare la Francia, abolire i valori della Rivoluzione francese, per sostituirli con la triade ‘Dio, Patria, Famiglia’; i Cosacchi si appoggiano ai nazisti perché sono anticomunisti e antirussi. Anche la Repubblica sociale italiana è una forma di collaborazionismo. Persino fra gli ebrei ci furono collaborazionisti".

Poi ci furono coloro che si opposero, i "resistenti".

"Ma anche la Resistenza è complessa, non è tutta eroica. Il fatto che la Costituzione italiana sia figlia della Resistenza ci ha impedito a lungo di vedere questa complessità. Le forze che vi parteciparono avevano obiettivi diversi: non solo guerra di liberazione patriottica, ma, per alcuni, anche di classe, per la costruzione di una società comunista. Che s’intrecciavano con la guerra civile: di italiani contro altri italiani.

Ci fu la Resistenza armata e quella civile, ci furono i partigiani con un chiaro obiettivo politico, e i partigiani per caso. E poi non dimentichiamo che la gran parte della popolazione non si schiera, non combatte per la libertà, ma si arrabatta per sopravvivere, in attesa che la guerra finisca".

Qual è oggi la memoria di quegli eventi?

"E’ una memoria ‘divisa’. Persino nelle zone rosse d’Italia, per le stragi naziste si tende ad attribuire la responsabilità ai partigiani, in un perverso meccanismo di azione-reazione. Eppure le stragi ci furono anche dove la lotta partigiana fu assente.

La Resistenza va studiata più a fondo, a partire dalla popolazione civile. Impariamo così che la storia siamo noi".

Passiamo ora a due giovani ricercatori del Museo Storico di Trento, cominciando con Walter Giuliano, che ha tenuto una comunicazione su "Resistenza civile in Trentino".

Che cosa s’intende con Resistenza civile?

"E’ un concetto morale di Resistenza, presente soprattutto in Trentino, dove anche la maggior parte dei partigiani che scelse la lotta armata non lo fece per ragioni ideologiche e politiche. E’ il sostegno ai partigiani, l’assistenza ai ricercati politici, ai militari sbandati, agli ebrei, ai renitenti alla leva. E’ il sabotaggio dei servizi pubblici e dell’industria bellica. E’ la diffusione della stampa clandestina. Sono la donna e il sacerdote che soccorrono i feriti".

Può fare qualche esempio?

"Giuseppe Pojer è un distillatore di Salorno. Discriminato perché italiano, fu arruolato nella Polizia tedesca di Bressanone, e lì, in caserma, spinse la sua disubbidienza civile fino al suicidio, perché temeva che, fuggendo, i tedeschi avrebbero deportato in Germania i suoi familiari.

Antonio Nicolini è un funzionario dell’Unione Agricoltori di Trento. Egli falsificò numerosi documenti per sottrarre i contadini al servizio militare, e molti interessati probabilmente non vennero mai a saperlo.

Enrichetta Zanon venne arrestata per aver fornito viveri ed alloggio a soldati fuggiaschi dopo l’8 settembre 1943. Sono quelle forme di Resistenza assistenziale che umanizzarono il conflitto".

Un prete, o una donna, che soccorrono un partigiano ferito, per ragioni umane, o cristiane, fanno Resistenza civile. E se aiutano un soldato nemico ferito, sono dei collaborazionisti? O non fanno Resistenza anch’essi, inconsapevoli sul piano politico, con quel loro comportamento che contesta alla radice la violenza nazista?

Quell’aiuto ai nemici feriti riguarda la coscienza etica della persona, ma non mi spingerei fino a includerlo nella categoria della Resistenza.

Elena Tonezzer ha tenuto una comunicazione su "L’Archivio della scrittura popolare". Le chiediamo:

Il Museo storico possiede un archivio di memorie fornite da semplici cittadini, che costituiscono una fonte importante per comprendere il periodo della guerra e della Resistenza. Vuole raccontarci qualche storia?

"I 18 diari sono di persone comuni, che fecero soprattutto da pubblico agli eventi. In essi domina il senso dell’attesa, l’incapacità di uscire dall’incertezza, di identificare chi è il nemico da combattere e l’amico da proteggere e da aiutare.Fortunato Favai è un maestro ladino, privo di coscienza politica. Per lui i partigiani sono persone misteriose, venute da fuori, quasi dei briganti che si aggirano pericolosi nei boschi. Quando assiste all’impiccagione di alcuni di loro prova pena per il destino dei ‘disgraziati’, ma non arriva ad un’aperta condanna dei tedeschi occupanti".

Perché fu così difficile in Trentino la partecipazione alla lotta dei partigiani?

"Intanto, dopo la lunga dominazione austriaca, non è chiaro il sentimento di appartenere alla nazione italiana, che è l’elemento determinante per lo scatenarsi della resistenza nell’Italia settentrionale. Poi la delusione per l’amministrazione italiana dopo l’annessione del 1919, i patimenti inflitti dalla guerra, una certa condiscendenza verso l’autorità quale essa sia. Claudio Busolli, un contadino di Brentonico, prigioniero in Germania, scrive, con due patrie, di sentirsi ‘orfano’.

Ci sono testimonianze di chiara consapevolezza politica, e quindi di adesione alla lotta in corso?

"Annetta Rech, di Folgaria, è antifascista, partecipa attivamente alla resistenza civile, ma pagherà la sua scelta con l’isolamento nella comunità e le piccole vendette riservate a lei e alla sua famiglia. Enrico Pedrotti, fotografo di Trento, sa, per educazione familiare, che ‘l’uomo della Provvidenza è un torobet’. Partecipa con orgoglio alla Resistenza, fino alla prigionia nel lager di Bolzano".