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QT n. 20, 21 novembre 1998 Scheda

Scienziati in guerra: intervista a Roberto Malocchi

Roberto Malocchi, storico della scienza, docente al l'Università cattolica di Milano, ha tenuto al convegno una relazione su "L'organizzazione delle scienze di guerra: il caso italiano."

Intellettuali sono solitamente considerati i filosofi e i letterati, al massimo i cultori di scienze umane, gli economisti e i sociologi. Quale fu la funzione svolta dagli scienziati, gli studiosi delle scienze dure della natura, nell'ambito della prima guerra mondiale?

"Molti scienziati italiani parteciparono alle numerose iniziative propagandistiche nelle nostre università, ma essi operarono come cittadini, senza che questo impegno fosse collegato alla loro specificità di scienziati. In Germania, Francia, Inghilterra, gli scienziati cercarono di trarre argomenti propagandistici dal campo scientifico, ricavando dalla storia della scienza visioni nazionalistiche dello sviluppo scientifico che servivano a giustificare la lotta contro il nemico. Fra gli scienziati italiani questa posizione fu marginale".

La grande guerra fu uno spartiacque nella storia della società e della politica. Lo fu anche per la scienza?

"Sì, la guerra determinò in tutti i paesi partecipanti una svolta nella concezione fino allora dominante di scienza, del suo ruolo, delle sue finalità, dei suoi poteri. Il conflitto impegnò non solo gli eserciti, ma le comunità nazionali nel loro complesso, chiamandole a uno sforzo produttivo senza precedenti, sforzo che richiedeva anche la mobilitazione delle forze scientifiche, per fronteggiare problemi tecnici nuovi e immani, che riguardavano tanto la condotta della guerra, quanto la vita dei popoli ".

La guerra in Europa scoppiò nel 1914 all'improvviso, forse non voluta, quasi per caso. In Italia, e solo da noi, il dibattito fra interventisti e neutralisti durò dieci mesi. Come vi parteciparono gli scienziati italiani?

"E' difficile definire i reali contorni di quella 'discordia '. Ci furono scienziati interventisti, mossi da un nazionalismo indifferente agli schieramenti internazionali, che miravano all'intervento dell'Italia come occasione per accrescerne la potenza. Fu l'atteggiamento di Giuseppe Garbasse, un fisico influente, che poi durante il fascismo assumerà ruoli politici di rilievo. Altri si schierarono per un intervento a fianco di Francia e Inghilterra, sia in continuità con i sentimenti anti-austriaci risorgimentali, che per una certa avversione alla cultura tedesca, cui era contrapposta la scienza dei paesi latini, come fu il caso del matematico Vita Volferra. Mail legame con la cultura tedesca, difficilmente assimilabile alla barbarie, spinse su nette posizioni pacifìste uomini come il fisico matematico Tullio Levi Civita. che intrattenne ancora nel 75 un carteggio importante con Albert Einstein, tedesco e pacifista. Molti preferirono, crocianamente, il silenzio, il disimpegno, che ben si accompagnava con il neutralismo, prigionieri di una visione ottocentesca della scienza come pura contemplazione della verità, al di sopra delle parti, patrimonio dell'umanità e non delle nazioni ".

Equando anche l'Italia, nel 1915, entrò in guerra a fianco delle potenze dell'Intesa, quale fu il comportamento degli scienziati?

"Allora la Sips (Società italiana per il Progresso delle Scienze) presieduta dal fisiologo Camillo Golgi non ebbe dubbi a schierarsi a sostegno della grave scelta compiuta dal governo. Anche un anarchico e quindi aspro critico della guerra, come il chimico Ettore Molinari, accettò di dirigere la fabbrica di esplosivi di Cengia. Al fronte scienziati e tecnici utilizzano le loro conoscenze: Mauro Picone, matematico, in due mesi corresse le tavole di tiro in uso, adattandole all'artiglieria di montagna; Volterra, volontario, studiò l'idrodinamica dei dirigibili e tavole di tiro per cannoni montati su dirigibili; Garbasse lavorò a un metodo telemetrico per l'individuazione delle batterie nemiche ".

La 'mobilitazione degli scienziati' fu un'iniziativa privata o fu promossa e coordinata dal governo dello Stato italiano?

"Fino alla fine del 1916 si trattò di iniziative private, promosse da industriali, appoggiati dal Politecnico di Milano. Il governo, in parte per insensibilità, in parte perché convinto di avere i mezzi per fare da sé attraverso le strutture militari, nulla fece per sfruttare in modo organico scienziati, tecnici, e laboratori delle Università. Successivamente, su sollecitazione di personalità del mondo scientifico, come il chimico Pietro Giocosa, e del mondo industriale, in prevalenza dell'elettricità e della chimica, come Pirelli, Conti, Salmoiraghi, Lepetit, il governo istituì dei comitati di coordinamento, ad imitazione di ciò che avveniva in Francia, Inghilterra, Stati Uniti. Nel 1917 nacque l'Ufficio invenzioni e ricerche, e furono intraprese ricerche per l'individuazione dei sottomarini, per l'accertamento di nuovi giacimenti di minerali per la produzione di acciai speciali, per la difesa contraerea. L'Istituto di chimica dell'Università di Napoli aveva già iniziato a produrre proiettili alla cloropicrina, un lacrimogeno asfissiante ".

Possiamo trarre un bilancio complessivo sul rapporto fra la scienza e la grande guerra?

"I risultati immediati non furono entusiasmanti: l'attività si svolse con ritardi, con mezzi inadeguati, attraverso scambi difficili con le potenze alleate. Quanto l'esercito italiano fosse impreparato a fronteggiare la guerra chimica lo dimostra il fatto che, dopo la disfatta di Caporetto, si dovettero chiedere alla Francia 800.000 maschere antigas. Tuttavia si rafforzò il legame fra industria e università, e si ebbe una rivalutazione forte delle scienze applicate L'UIR, per opera del suo direttore Vito Volterra, si trasformerà nel dopoguerra nel Consiglio nazionale delle ricerche: fu la tragica esperienza della guerra a far maturare negli industriali, nei politici, negli scienziati una nuova sensibilità verso la politica della ricerca scientifica, come elemento decisivo per le sorti dell'Italia. La storia successiva del CNR sarà però travagliata, fino all'estromissione del suo fondatore, inviso al regime fascista".

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